La conoscenza e l’ignoranza delle religioni degli altri. L’Italia, la scuola e l’università in una prospettiva europea

di Rossana Barcellona

 

 

Premessa

 L’incremento dei fenomeni migratori sollecita ormai da decenni l’Unione Europea sul tema delle tensioni legate al modificarsi di assetti ritenuti a lungo definitivi. Da qui l’esigenza di elaborare nuove strategie di interazione, capaci di operare a più livelli con i soggetti portatori di diversità (declinate in molte direzioni), con i quali talora le relazioni si complicano nella confusione generata da pericolose derive non estranee a fattori religiosi.[1] Dopo il tempo della secolarizzazione, della desacralizzazione, della laicizzazione o comunque si voglia chiamare il processo che nello scorso secolo sembrava avere liquidato o riservato alla dimensione dell’intimità individuale e/o a una cerchia ristretta di studiosi le questioni connesse alla religione il ‘sacro’ riemerge prepotentemente e lo fa con tutta la sua dirompente ‘violenza’. Nel complesso panorama attuale, l’instabilità di chi arriva si riflette nell’instabilità di chi ospita, e sembra farla crescere con il lievito della paura alimentato da presunti scenari di scontri fra civiltà. A queste condizioni, l’incontro ravvicinato fra popoli mostra tutta la difficoltà/incapacità di trovare un possibile equilibrio, facendo emergere in modo più o meno accentuato livelli profondi di incomunicabilità, incomprensione e tensione, che sfociano in soluzioni discutibili o in episodi altamente drammatici. Penso, per ricordare solo alcuni fatti notevoli, alla cosiddetta legge francese sul velo (2004), che vieta di usare nelle scuole pubbliche accessori o capi di abbigliamento vistosamente riferibili a una religione, con la pretesa motivazione di difendere l’ordine pubblico;[2] o alla vicenda giudiziaria che ha visto la famiglia Lautsi vs l’Italia sull’esposizione del crocifisso nella scuola di Abano Terme (la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha dato ragione ai Lautsi nel 2009, e poi ha ribaltato la sentenza nel 2011);[3] o ancora alla tragedia consumatasi a Parigi nel gennaio del 2015, presso la sede del periodico settimanale satirico Charlie Hebdo, espressione di una degenerazione estrema e violenta dell’incomunicabilità. Si tratta di vicende molte diverse tra loro per dinamiche, contesti e ricadute, tuttavia accomunate da una pregiudiziale e ostile incomprensione dell’alterità. Nelle grandi città, particolarmente soggette oggi all’aumento della popolazione extracomunitaria, si sono formati e si formano quartieri ai margini del territorio urbano o nelle più disagiate periferie, interamente abitati da gruppi di cittadini immigrati, veri e propri ghetti. Si tratta di zone particolarmente a rischio di frizioni sociali destinate a investire a macchia d’olio anche il resto del territorio. Ad alimentare sentimenti pregiudiziali e di intolleranza provvedono anche le ‘campagne mass-mediali’ improntate alla stigmatizzazione di intere popolazioni. Si ha quasi l’impressione, a volte, che i media contribuiscano a creare un clima di paura, di ansia da imminente scontro fra civiltà.

In questo quadro – molto rapidamente richiamato – si colloca la promozione a livello di politiche internazionali di una rinnovata preoccupazione per la formazione scolastica e le tematiche religiose, sulla quale si intende qui richiamare l’attenzione. In Europa è stato creato un settore specifico per strutturare progetti finalizzati alla formazione di una cittadinanza democratica, interculturale e interreligiosa. Autorevoli organismi europei si occupano di avviare e sostenere serie direttive di politica educativa, indirizzate a vari livelli e progettate per diversi ambiti, all’interno dei quali una porzione significativa coinvolge il mondo della scuola. Queste cosiddette ‘politiche educative’ sovranazionali cercano di riattivare l’interesse intorno alla formazione dei giovani, specialmente in età scolare, e in particolare di sensibilizzare gli Stati in tema di ‘religione’ e di ‘fatto religioso’. Esse guardano al mondo dell’istruzione, individuato come spazio particolarmente adeguato e perfino strategico, e per tale ragione mirano soprattutto all’introduzione nei curricula scolastici di insegnamenti religiosi a valenza cognitiva o etico-formativa. Sembra raccolto il suggerimento già contenuto nel Rapporto Delors (pubblicato nel 1996, l’anno europeo dell’educazione e della formazione permanente),[4] di affidare alla scuola il compito e la responsabilità di un’alfabetizzazione religiosa che sia insieme recupero di radici e aggiornamento culturale. Dunque, pregiudizi e incomprensioni, ansia e paura hanno dettato limitazioni della libertà in nome della laicità e spesso hanno marcato le disuguaglianze, a tutela di una astratta idea di pace sociale, alimentando incomprensioni e ostilità. Ma hanno anche sollecitato un nuovo senso di responsabilità, un diverso impegno per ‘imparare a vivere insieme’ (uno dei quattro pilastri individuati con anticipo dal Rapporto Delors come base per un’efficace azione educativa),[5] e incentivato alcune riflessioni con non poche proposte.

Questo contributo si propone di dare conto di alcune importanti iniziative promosse a livello di politiche culturali europee di fronte ai profondi cambiamenti registrabili nella geografia dei popoli e delle religioni che abitano il Vecchio Continente,[6] con particolare riferimento a quelle la cui sfera di ricaduta è riconoscibile principalmente nel mondo della scuola, per poi rilevare quale ne sia la ricezione in Italia. Si intende, dunque, evidenziando nodi e ragioni della problematica specificità italiana, presentare una esemplificazione dei luoghi e dei momenti che in Italia sono stati dedicati a questi temi e di alcune esperienze che ne sono derivate – anche grazie alla collaborazione con sedi universitarie –, soprattutto sotto forma di sperimentazioni in scuole secondarie di secondo grado, pubbliche e private.[7] L’intento è duplice: informativo e progettuale. Cioè, da un lato ritengo utile fare circolare fuori dalle consuete sedi (istituzionali o meno, dedicate ai settori storico-religiosi) una serie di informazioni sulla questione richiamata dal titolo, cioè la conoscenza e l’ignoranza delle religioni degli altri, poiché si tratta di un tema politico e sociale di urgente attualità, non più relegabile solo dentro il dibattito scientifico, già attivo all’interno di una cerchia più o meno allargata di esperti. Ci troviamo in un momento in cui l’interesse e l’attenzione sulla necessità di rendere più diffusa e fruibile un’informazione storico-religiosa di base, da adeguare ai vari gradi dell’istruzione, vanno tenuti vivi e continuamente sollecitati. Dall’altro lato, proprio al fine di prevedere e/o incrementare la costruzione di ‘spazi ponte’ tra scuola e università, attraverso i quali possa essere riconosciuto ai saperi religiosi un effettivo e precipuo diritto di cittadinanza fra i saperi umanistici, queste pagine sono state pensate e scritte con l’idea di un loro possibile utilizzo come punto di partenza minimo per sviluppare una riflessione da condividere anche con i colleghi delle scuole, e progettare per loro e con loro un percorso formativo di immediata ricaduta sugli studenti. A quanto mi risulta nell’area dell’Italia insulare, allo stato attuale, non sono avviati progetti del genere.[8]

 

Cenni sullo scenario europeo

Lo scenario dei Paesi appartenenti all’Unione Europea non presenta un piano didattico omologo (quanto a contenuti, metodi e obiettivi), per formare/informare gli studenti delle scuole in tema di saperi religiosi. La varietà sul piano dell’articolazione, della gestione e dell’organizzazione dei sistemi educativi, nonché dei rapporti tra Stati e Chiese, disegna un mosaico così diversificato che solo un esame analitico può renderne conto.[9] Complessivamente l’istruzione in materia di religione/religioni negli Stati europei si misura e si organizza sulla base delle relative legislazioni scolastiche e, di conseguenza, in linea con la tipologia delle relazioni interne, che ciascuno Stato ha formalizzato e consolidato con le realtà/organizzazioni religiose presenti nel territorio.[10]

In sintesi, sono stati individuati quattro modelli epistemologici[11] ai quali si possono ricondurre i diversi e più diffusi approcci prodotti dalle singole tradizioni storiche, che sono poi altrettanti riflessi dei rispettivi modelli sociali e culturali. Essi corrispondono alle seguenti tipologie: gli insegnamenti di impostazione apertamente confessionale (Learning into religion), erogati e/o controllati da Chiese e organizzazioni ecclesiastiche, che si rivolgono agli studenti come credenti effettivi o potenziali e mirano a consenso e proselitismo; gli insegnamenti a carattere ‘misto’ che combinano contenuti teologici e strumenti desunti dalle scienze religiose di impostazione laica (Learning from religion), e hanno lo scopo di informare sui contenuti della religione e della fede e insieme di fornire strumenti critici;  gli insegnamenti  che si fondano sulla plausibilità scientifica delle scienze della religione (Learning about religion), dipendono dalla gestione scolastica e sono amministrati da docenti che si formano e sono valutati dalle strutture pubbliche; infine, un caso a parte rappresenta la Francia che si limita a rinviare la trattazione di temi inerenti alla dimensione religiosa dentro lo studio del patrimonio culturale (Learning out of religion). In altri termini nel sistema francese – in nome di una precisa e riduttiva interpretazione del concetto di laicità[12] – i saperi religiosi non godono dello statuto di disciplina scolastica autonoma: i fatti religiosi sono trattati dentro gli altri percorsi disciplinari.[13]
Le politiche culturali europee, che tendono a intervenire in quest’ambito, non si propongono, per ovvie e plausibili ragioni, di omogeneizzare o anche solo armonizzare il profilo dell’educazione scolastica in materia, ma di dettare alcune linee guida per promuovere aggiornamenti che vadano in una direzione condivisa e condivisibile, quella della sensibilizzazione e dell’apertura ‘al nuovo che accade’, per affrontare temi e problemi imposti dalle continue e rapide trasformazioni della contemporaneità, a partire dal rinnovamento/allargamento del concetto di cittadinanza.[14]

Un nuovo sguardo sulla scuola, sul mondo dei giovani, sulle politiche pedagogiche e sulla necessità di formulare o ri-formulare nuove prospettive di sapere, era già stato sollecitato dal Libro Bianco della Commissione Europea (1995) con il titolo Teaching and learning. Toward the learning society.[15] Anche se il progetto principale sembra quello di realizzare una conoscenza competitiva in funzione di una proiezione nel mondo del lavoro, in esso massima attenzione è rivolta ai cambiamenti sociali, economici, culturali, e alla promozione di un profondo rinnovamento in tema di politiche dell’istruzione e della formazione degli Stati membri, per orientare l’Europa sulla strada della società cognitiva (o della conoscenza). Ma solo con il Rapporto Delors si avvia una vera riflessione sulla persona, sulla realtà sempre più mista e interculturale dell’Unione Europea e sull’urgente esigenza di arricchire e ripensare la formazione dei giovani anche nella direzione della comprensione degli ‘altri’, dove un posto è riservato alla «storia delle religioni e dei costumi».

Dall’inizio del nuovo millennio gli interventi su tali questioni si sono incrementati in modo significativo. A Stoccolma nel febbraio 2002 è stato sottoscritto un documento della Commissione Europea, pensato come progetto a medio-termine, dal titolo: Obiettivi dell’istruzione e della formazione per il 2010. Il testo declina vari obiettivi, fra i quali spiccano: la costruzione di una cittadinanza attiva e lo sviluppo della coesione sociale; il potenziamento dei legami tra lavoro, ricerca e società; l’incremento della cooperazione europea. Anche il mondo dell’Università viene richiamato all’attenzione sui temi emergenti in relazione alle mutazioni sociali e all’accelerazione cui sono sottoposte dalla storia più recente. Al 2003 si data la Comunicazione della Commissione Europea su Il ruolo delle università nell’Europa della Conoscenza, che insiste sulle sfide considerevoli poste al mondo universitario dall’attuale momento storico. Fra queste, la necessità di una «riorganizzazione della conoscenza» e l’invito a «una maggiore permeabilità fra le varie componenti e fra i vari livelli dei sistemi di istruzione e di formazione».[16] Come rileva Flavio Pajer – esperto di didattica delle religioni oltre che attento studioso di questi processi da decenni e autore di un’abbondante e fondamentale bibliografia su tali temi – emerge da questi testi/progetti un’importante tendenza, che sembra volere guidare l’educazione scolastica europea «dall’etnocentrismo nazionale alla multicultura come condizione di fatto esistente, e da questa alla intercultura come ideale pedagogico auspicato».[17] Etnocentrismo, multiculturalismo e interculturalismo, termini e concetti al centro dei dibattiti contemporanei in fatto di religioni, società, economia, pace e guerra, sono ormai entrati a pieno titolo nella riflessione sulla formazione dei giovani europei, non sono più appannaggio di intellettuali, sociologi, politici. In altri termini la scuola e l’università sono sempre più pensate come luoghi di integrazione sociale, di preparazione all’inserimento nel mondo del lavoro, ma anche come spazi per una crescita culturale che prepari a una vita socialmente attiva.
E non è un caso che, nelle auspicate riforme scolastiche, l’Unione Europea abbia riservato una certa attenzione all’istruzione religiosa, ingrediente non marginale di questa esigenza di rinnovamento. Il Consiglio d’Europa, che dagli anni Novanta ha cominciato a pubblicare Raccomandazioni e Dichiarazioni per promuovere la lotta all’intolleranza, al razzismo, all’antisemitismo e ai fondamentalismi religiosi, è stato affiancato dall’azione dell’Ufficio del Commissario ai Diritti Umani, che si muove con altrettanto impegno verso gli stessi obiettivi. A quest’ultimo si deve l’iniziativa di quattro incontri/seminari, che hanno visto come protagonisti e interlocutori i responsabili dei Ministeri dell’educazione e le autorità delle Chiese e delle altre organizzazioni religiose, riuniti insieme allo scopo di favorire il mantenimento e la creazione di solide basi per la democrazia e le libertà (al plurale), con un accento particolare sulla libertà di religione. Questi incontri internazionali si sono tenuti rispettivamente: nel 2000 a Siracusa, sul ruolo delle religioni monoteiste nei conflitti armati; nel 2001 a Strasburgo, sulle competenze di Chiese e Stati nella salvaguardia della libertà di religione; nel 2002 a Lovanio, sulla difficoltà/necessità di coniugare diritti umani, cultura e religione nella costruzione di un’Europa attrezzata a contenere le differenze; nel 2004 a Malta si è affrontato in modo finalmente diretto il tema dell’insegnamento della/e religione/i, contro il generale analfabetismo religioso, come strategia per superare l’intolleranza e le ostilità reciproche e dunque distendere le tensioni spesso derivanti – in parte almeno – dall’ignoranza.[18] Ancora in tema di ‘fatti religiosi’ e istruzione – per ricordare non l’ultimo ma uno dei testi più precisi e articolati – intervengono nel 2007 i Princìpi guida di Toledo, un documento dell’OSCE/ODHIR (Organization for Security and Cooperation in Europe/Office for Democratic Istitutions and Human Rights), elaborato per offrire linee operative utili alla promozione dell’insegnamento delle religioni rivolte a docenti e legislatori, sul quale mi riservo di tornare brevemente discutendo la situazione nel nostro Paese.

Ma, prima di passare alla risposta italiana a queste (e molte altre) sollecitazioni derivate da una necessaria, e ormai apparentemente abbastanza matura, presa di coscienza a livello di Unione Europea nei confronti di alcune urgenze fondamentali, propongo alla riflessione alcuni dati piuttosto interessanti, che ho rilevato dal quadro che si è profilato. In primis, la scuola e l’università sembrano riguadagnare un ruolo significativo e perfino irrinunciabile nella formazione degli individui come agenti sociali. Esse, almeno nei progetti e nelle proposte, sono ri-legittimate come luoghi propulsori di un rinnovamento radicale per la definizione di una nuova e più forte identità europea, produttiva di valori etici condivisibili e da condividere. Il secondo dato da sottolineare è che la religione/le religioni si presentano e vengono riconosciute, in questo orizzonte di riflessioni e piani di rinnovamento, non solo come confessioni – con il loro carico più o meno esportabile di riti usi e costumi da conoscere e comprendere anche dall’esterno – ma come prodotti culturali e serbatoi di importanti patrimoni, come canali e mediatori di culture e, a loro volta, come ‘produttori’ di saperi, filosofie, psicologie. Infine, i saperi umanistici appaiono ri-valorizzati come bagaglio imprescindibile per rilanciare e rimettere al centro dell’attenzione generale e di un ripensamento critico concetti fondamentali come cittadinanza attiva, libertà, laicità, uguaglianza, identità e alterità.

 

Uno sguardo all’Italia

Cerco adesso di mettere a fuoco la situazione italiana, per valutare con quale atteggiamento si guardi a questi temi e con quali risposte si provi a reagire ai molti problemi dettati dal presente, anche fruendo dei diversi stimoli provenienti dalle direttive europee in fatto di politiche educative o – come preferisco – di politiche culturali e interculturali. L’Italia rappresenta una realtà con una spiccata specificità, dove ancora è dato trovare difficoltà e provare un certo disagio nel cercare di spiegare, perfino a colleghi e amici che non condividano lo stesso ambito di ricerca, cosa significhi occuparsi di studi storico-religiosi. Le parole ‘cristianesimo’, ‘religione’, perfino il plurale ‘religioni’ – almeno pronunciate in Italia – sono ancora generatrici di equivoci e sospetti, pur nell’evidente diffusione di un rinnovato interesse per le questioni implicate dai e nei ‘fatti religiosi’, che però forse l’inflazione mediatica tende a fare rifluire in una stanca indifferenza, o peggio in una semplificazione intrisa di sterile allarmismo.

Una ragione – credo la più forte – di questo gap tra quello che avviene nella realtà e la percezione che se ne ha in Italia fuori dagli ambienti accademico-scientifici, per cui non si alimenta presso giovani (e meno giovani) una naturale e doverosa curiosità per i fenomeni connessi alle religioni e direi un bisogno urgente di fornirsi di strumenti per comprenderli, per accedere con cognizione di causa ai saperi religiosi, risiede in quello che definisco ‘cortocircuito culturale’. Cioè dipende da quel salto logico che esiste tra l’insegnamento universitario e la formazione scolastica, o meglio tra l’approccio universitario, da un lato, e modi e orientamenti della formazione scolastica su questi temi nel nostro territorio, dall’altro. Si arriva così alla questione annosa e spinosa dell’ora di religione in Italia, Paese dove, peraltro, la tradizione su questi studi è notevole e il tasso di attenzione su tali temi da parte degli studiosi conosce, ormai da un certo tempo, una crescita esponenziale.[19] A questi nodi – solo per fare qualche esempio significativo  è stato dedicato il numero monografico della rivista «Religioni e Società», XXV, 68, 2010, intitolato Insegnare religione. Scuola pubblica, diversità religiosa, cittadinanza democratica: un paradigma europeo,[20] e nell’anno precedente la sezione tematica di «Studi e Materiali di Storia delle Religioni», LXXV, 2, 2009.[21] Da quest’ultima rivista è stata recentemente lanciata una call for papers, per raccogliere materiali sulla didattica disciplinare e per costruire una sorta di osservatorio permanente proprio sull’insegnamento della religione e delle religioni in Italia. Tali iniziative sono solo una esigua parte del grosso movimento sulla didattica e sulla diffusione dei saperi religiosi, che negli ultimi venti anni si è progressivamente intensificato nel nostro Paese, dove – anche in collaborazione con diverse Associazioni – si animano costantemente incontri e convegni.[22]
Come è stato ricordato in uno degli interventi presenti nel numero di «Religioni e Società» succitato: «l’Università continua a essere il luogo più dinamico e maturo di esplicazione didattica della ricerca e dunque è indispensabile, non più procrastinabile e tanto meno dissimulabile fra le carte delle riforme in atto, che essa si ponga degli obiettivi plausibili, certi, chiari, per entrare a pieno titolo nella questione Ora di religione/Ora delle religioni».[23] Mentre, infatti, per gli altri saperi umanistici – pur con tutti i problemi e nonostante la conclamata crisi – c’è una naturale contiguità con il mondo della scuola, che stimola vivaci collaborazioni e proficui progetti ‘ponte’,[24] per quanto riguarda i saperi religiosi, la collaborazione non è altrettanto spontanea e diretta, poiché non vi è alcuna continuità tra scuola e università né sui contenuti, né sul modo di amministrarli, né sui soggetti che li gestiscono. I docenti cui è affidata l’informazione scolastica sui fatti religiosi seguono un iter che non deve passare da una formazione universitaria (pubblica) in tema di scienze storico-religiose.[25] Essi, inoltre, giungono all’insegnamento in modo difforme dal resto del corpo docente. Sottoposti a un concorso abilitativo (che non ha per oggetto i contenuti), dipendono da una verifica ecclesiastica dell’idoneità, ma sono retribuiti dal Ministero dell’Istruzione.[26]

Tra le difficoltà più evidenti per arrivare a soluzioni concrete appare ancora la resistenza della maggior parte dei politici italiani, di qualsiasi schieramento, a prendere posizione sull’argomento, come fosse impossibile superare la sudditanza – più o meno cosciente – nei confronti del consenso ecclesiastico, che è poi dettata da un atteggiamento funzionale al discorso del consenso politico. Ma inoltrarsi su questi temi, che di certo meriterebbero opportuni approfondimenti, rischierebbe di portare il discorso troppo lontano dagli obiettivi prefissati. C’è un evidente iato tra il movimento intellettuale su questi temi e l’assenza di concrete risposte a livello di politica nazionale. Si tratta di problemi di vecchia e vecchissima data, connessi a rapporti complessi e travagliati. Ma oggi la realtà non è quella del tempo di Ernesto Bonaiuti o Raffaele Pettazzoni, per citare due figure di riferimento altamente simboliche di processi ben noti agli addetti ai lavori, e senza le quali la storia dei nostri studi sarebbe un’altra.[27] Allo stato attuale delle cose, la questione non può più essere il braccio di ferro o, per esprimerci in modo più garbato e moderno, la competizione ‘culturale’ tra Stato e Chiesa in merito all’amministrazione dei saperi che riguardano i fatti e i contenuti della religione/delle religioni, cioè in merito a chi e dove sia abilitato a occuparsene. Oggi la realtà è quella di un’Europa e di un’Italia che devono ri-concettualizzare parole come laicità e formazione, ripensare al senso di un approccio confessionale in contesti pubblici e che, per rilegittimare e rilanciare lo studio e la conoscenza di questi fatti e di questi contenuti a un livello più esteso possibile, non possono non tenere conto di come sia in gioco non un’esigenza scientifica ma un’urgenza, forse un’emergenza, sociale e politica.
Si è tutti ormai convinti (pure in ambito internazionale) che la diffusione di una conoscenza adeguata - anche fuori dall’Accademia cioè a livello di media e alta divulgazione - dei fatti e dei contenuti della religione/delle religioni, sia non solo un modo per aggredire l’analfabetismo generale e cronicizzato su questi ambiti, ma soprattutto una decisiva strategia culturale per la promozione di una cittadinanza attiva, come si usa dire, e aggiungerei consapevole.[28] Il nuovo – o forse solo più evidente – ruolo pubblico delle religioni nel mondo contemporaneo ne fa un oggetto di studio e interesse sempre più largamente riconosciuto, ma anche uno strumento per la comprensione del presente e per la costruzione di una più cosciente identità, frutto di un confronto aperto e plurimo, senza ansie e senza paure.  Per questo si parla di politiche educative che non possono non passare dall’allargamento degli orizzonti culturali: educare all’uguaglianza, all’interculturalità, al dialogo interreligioso significa educare alla libertà di essere tutti ugualmente padroni di scegliere di appartenere, tutti ugualmente capaci e liberi di essere diversi e di comunicare fra diversi.

Non bisogna ripercorrere le tappe storiche che hanno portato a quello che è attualmente l’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC)[29] nelle scuole italiane, dove si trova collocato in uno spazio abbastanza ambiguo (obbligatorio l’inserimento nei curricula della scuola pubblica, dalla materna alle scuole di istruzione secondaria di secondo grado, ma opzionale, nel senso che gli studenti possono scegliere se avvalersene o meno, e con una valutazione difforme dalle altre discipline), per capire che probabilmente un rinnovamento dell’offerta formativa, che riparta dai programmi e dal sistema di reclutamento dei docenti, deve essere pensato come integrazione piuttosto che come sostituzione, per potere essere realizzato in tempi ragionevolmente brevi. Come è stato recentemente evidenziato «l’auspicio e l’impegno affinché gli studi storico-religiosi non si chiudessero ai soli ambienti accademici, ma traghettassero in ambienti più aperti fu uno dei tratti peculiari dell’approccio alla disciplina di Raffaele Pettazzoni, che tentò di diffonderne l’interesse in un più largo raggio, sullo sfondo di nuove esigenze sociali e di valori umanistici più autentici».[30] Pettazzoni parlava già di esigenze sociali e di valori umanistici che appaiono oggi ancora più pressanti e attuali. Proprio lo studioso indicava nella scuola, e nella scuola secondaria in particolare, il terreno più idoneo e ricettivo per rendere questo auspicio una realtà concreta.

Esperienze in questo senso, avviate e realizzate con vari esiti, sono il frutto di lunghi dibattiti e articolate riflessioni sull’importanza/necessità dell’insegnamento della Storia delle religioni a livello scolastico, e scaturiscono anche dalla coscienza della grave insufficienza del tipo di insegnamento fino a oggi erogato. Si tratta di esperienze realizzate soprattutto a livello locale e provinciale. Alcuni dati relativi a quattro licei italiani possono utilmente fornire una esemplificazione del lavoro svolto e indicare strade percorse anche altrove percorribili. Le informazioni che di seguito riporto si riferiscono, dunque, solo ad alcune delle molte sperimentazioni attuate nel nostro territorio[31] e derivano dal lavoro di Maria Chiara Giorda, intitolato: La ‘Storia delle religioni’ nella scuola italiana. Quattro sperimentazioni negli istituti superiori, dove si trova un resoconto puntuale di percorsi sperimentali particolarmente significativi.[32] Un’esperienza ormai consolidata è quella del Liceo Valdese di Torre Pellice, dove dal 1984 è stato istituito un corso di Storia delle religioni, obbligatorio per tutti gli studenti e soggetto a regolare valutazione. Dal 2000 l’insegnamento è inserito nel piano scolastico con un’ora a settimana, per un quadrimestre, per un totale di circa quindici ore annuali. Esso ha come obiettivo la conoscenza dei principi fondamentali delle religioni antiche dell’area del Mediterraneo e delle religioni mondiali contemporanee. La finalità del corso è permettere agli alunni di conoscere le differenze principali tra le varie religioni e culture. Molti degli argomenti trattati sono spesso complementari ad altre materie, per dare ai temi svolti un carattere interdisciplinare. Un progetto importante è quello realizzato presso l’Istituto ‘Virgilio’ di Milano, e durato dal 1986 al 2000, nella forma di un corso di Storia delle religioni tenuto da Fabio Maria Pace. Il corso era rivolto agli studenti che sceglievano di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, ed era il frutto della collaborazione tra il Professore, (docente di Storia e Filosofia) e la Cattedra di ‘Storia del Cristianesimo’ dell’Università degli Studi di Milano, allora affidata al Professor Attilio Agnoletto. Dopo il primo anno, il numero degli studenti è andato incrementandosi fino al numero di 430, raggiunto nell’anno scolastico 1999/2000. L’aumento degli studenti è stato un incentivo alla stesura di un manuale prodotto nella scuola, per la scuola stessa, e divenuto poi essenziale, come approfondimento, anche per gli insegnanti delle altre discipline. Interessante, per altro verso, è la storia della sperimentazione attuata presso il Liceo artistico ‘A. Frattini’ di Varese, sollecitata dal professor De Carli, dopo la sua elezione a presidente dell’Associazione nazionale insegnanti di religione (1997). Nel 1999 il Collegio docenti riuscì a programmare l’istituzione di un corso di Storia delle religioni, opzionale ma obbligatorio per chi non si avvaleva dell’IRC. Il corso era affidato ai docenti forniti di competenze necessarie e disponibili ad assumere l’incarico. Gli obiettivi prevedevano l’acquisizione di alcune conoscenze fondamentali sulle religioni dei popoli antichi, su Ebraismo e Cristianesimo, sui testi sacri delle religioni considerate. I docenti si proponevano inoltre di problematizzare e attualizzare le questioni esistenziali sollecitate dai percorsi storico-religiosi proposti, in modo adeguato alle esigenze e all’età degli studenti. In seguito a un ricorso inoltrato al Provveditore di Varese e al Ministro della Pubblica Istruzione da parte di un membro del Comitato nazionale ‘Scuola e Costituzione’, si tornò ad offrire, agli studenti che non si avvalevano dell’IRC, le opzioni previste dalla Corte Costituzionale, lasciando il corso come materia a scelta. Purtroppo, come è noto ma ignorato come problema, chi non si avvale dell’IRC non è altrimenti impegnato nella scuola ma risulta esonerato da qualsiasi attività. Come si legge nel verbale stilato poco dopo dal Collegio docenti, si tentò di consigliare vivamente, a chi non partecipasse all’IRC, di seguire il corso alternativo di Storia delle religioni, ma dopo il secondo anno, nonostante la partecipazione dei ragazzi, l’esperimento si concluse. Infine, un’esperienza recente, iniziata nell’anno scolastico 2008/2009, è quella dell’Istituto Sociale dei Padri Gesuiti di Torino. In tutte le classi del Liceo scientifico e del Liceo classico è stato introdotto l’insegnamento di Storia delle religioni, curricolare e obbligatorio, tenuto da M.C. Giorda, per un’ora a settimana. Nell’impostazione del corso la religione viene riconosciuta e trattata come dimensione centrale delle culture, come prodotto culturale e oggetto di analisi storica, ma anche come portatrice di valori conoscitivi della storia umana. Il corso è stato attivato anche grazie a un accordo tra il Corso di Laurea Specialistica in Scienze delle religioni (Università degli Studi di Torino) e l’Istituto. Il Consiglio del Corso di Laurea ha stabilito il riconoscimento di alcuni crediti universitari (da uno a tre) per chi frequenti il corso e abbia ottenuto un attestato da parte dell’Istituto. Chi ha reso e rende possibile questa sperimentazione, valutando gli esiti del progetto, rileva che il tema del pluralismo religioso ha dato la possibilità di sviluppare le questioni relative alle differenze, all’interazione e all’integrazione nel contesto della società multiculturale. E dichiara che gli obiettivi prefissati sembrano raggiunti: gli studenti hanno maturato nuove capacità critiche e di giudizio su cose che prima ignoravano, come culture e religioni differenti da quella di appartenenza.[33] Da queste brevi notizie si evince il fatto, forse neanche particolarmente paradossale, che fra le esperienze più efficaci e riuscite sta quella che si realizza in un Istituto privato cattolico, diretto da Padri Gesuiti, disposti a cogliere l’opportunità e la sfida di insegnare le religioni agli studenti di una scuola confessionale.

Nel quadro di quello che si muove in Italia nella direzione di un rinnovamento del sistema scolastico su questi temi va ricordato il documento/petizione presentato da alcuni docenti universitari al Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Quando, nell’autunno del 2014, il governo Renzi aprì la consultazione pubblica in vista delle riforme scolastiche, perché venissero indicate le priorità in tema di istruzione, alcuni docenti universitari colsero l’opportunità per fare sentire la propria voce. Così presso l’Università di Padova si tenne una tavola rotonda, promossa da Paolo Scarpi, proprio sul tema del complesso e irrisolto rapporto tra Storia delle religioni – come disciplina accademica – e l’Ora di religione – come materia scolastica – dal titolo: Una proposta educativa: storia delle religioni (o scienze delle religioni?) a scuola. In questa sede sono state discusse le problematiche connesse con un’eventuale proposta di insegnamento di Storia delle religioni nella scuola, cioè di una disciplina finalmente non influenzata da ipoteche teologiche né da pregiudizi ideologici, anche al fine di non produrre discriminazioni verso gli studenti. Non può più essere ignorata, infatti, dal sistema scolastico e dalla sua organizzazione la presenza nelle classi di studenti di estrazioni culturali e religiose parecchio diversificate, ma questo è un tema che per le sue proporzioni andrebbe altrimenti considerato. La tavola rotonda ha affrontato problemi di ambito giuridico; quello della protezione del diritto di libertà religiosa; della programmazione degli insegnamenti attuali in ambito di religione; ma anche quello dello statuto stesso della disciplina; della eventuale denominazione del corso: Storia delle religioni o Scienze delle religioni; di quali religioni includere nel programma; del punto di vista da adottare; dei problemi politico-sociali che implica un insegnamento di carattere storico-religioso; di quali costi si prevedano per l’istruzione pubblica.[34] L’incontro, ha avuto come esito un testo/petizione per rispondere e contribuire alla consultazione aperta dal governo. Eccone le parole:

In un epoca in cui un numero inedito di tradizioni religiose differenti si trova a convivere nel nostro Paese, una scuola che voglia educare alla cittadinanza democratica e all’inclusione sociale delle sue diverse componenti culturali non può più sottrarsi al compito di affrontare lo studio dei ‘fatti religiosi’ sotto il profilo storico e comparativo. Vista l’ampia opera di consultazione promossa dal Governo in preparazione di un disegno di riforma della Scuola pubblica (la buona scuola), chiediamo che sia aperto un tavolo di confronto tra Legislatore e mondo accademico per esaminare le possibili modalità d’inserimento della Storia delle religioni nei programmi scolastici di ogni ordine e grado.[35]

Senza alcun dubbio, la petizione e le sperimentazioni sopra ricordate possono considerarsi indice di una presa di coscienza sempre più diffusa su alcuni temi centrali della contemporaneità includenti le questioni religiose e la relativa informazione/conoscenza, ma il fatto che questo pronunciamento sia rimasto inascoltato conferma l’idea che le nostre politiche nazionali restino ancora insensibili a tale ordine di problemi.
Intanto per cercare di dare seguito alle Raccomandazioni sovranazionali circa l’urgenza di rinnovare o avviare l’educazione ai saperi religiosi nel territorio dell’Unione Europea, ancora dall’università italiana ha preso l’avvio un progetto che coinvolge oltre l’Italia (sede guida: Università Ca’ Foscari di Venezia) anche la Danimarca, la Francia, la Germania e la Spagna, dal titolo Intercultural Education through Religious Studies:

The IERS Project aims at responding to the educational challenges of an increasingly multicultural and multireligious Europe. Nowadays, European countries have different models of religious education (RE) in public schools, and often the teaching about religions through scientific, critical, historical and intercultural lens is still at an experimental level. The project rationale is based on the conviction that an a-confessional, objective, high-quality teaching about religion supports the development of social, civic and intercultural competences, educating towards a constructive and critical understanding of cultural and religious differences.[36]

Gli obiettivi, individuati nelle prime righe esplicative dove si ritrovano le parole intorno alle quali si è concentrata questa riflessione, sono in linea con le indicazioni emerse dai vari testi prodotti a livello internazionale, e di nuovo confermate e reiterate dai Princìpi di Toledo, pubblicati nel 2007. A tale proposito, fra le iniziative nostrane può includersi la recentissima pubblicazione in italiano di questi Principi, che ha fra l’altro lo scopo di riaccendere il dibattito e l’interesse pubblici e forse riuscire a coinvolgere finalmente gli ambienti politici e istituzionali italiani.[37] Certo la mancata inclusione tra i PRIN 2015 finanziati dal MIUR dei progetti espressi dai settori disciplinari includenti Religioni e Cristianesimo, attenti allo sviluppo di strumenti in grado di contribuire alla costituzione di società innovative, critiche e inclusive, e in linea con le raccomandazioni rivolte alla Commissione Europea da parte dell’Advisory Group on Societal Challenge 6, del programma europeo Horizon 2020, denuncia una tenace e programmatica miopia e non alimenta particolare fiducia.

 

 


[1] Sterminata la bibliografia su questi temi, che peraltro non costituiscono il centro di queste pagine, mi limito pertanto a segnalare per alcune interessanti riflessioni P. Picozza, G. Rivetti (a cura di), Religione, cultura e diritto tra globale e locale, Milano, Giuffrè Editore, 2007.

[2] Sul caso francese cfr. la lucida disamina di V. Acanfora, Religione e Stato di diritto. Il caso francese, www.olir.it (Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose) agosto 2005.

[3] Sulla vicenda si veda L. Zagato, La «saga» dell’esposizione del crocifisso nelle aule: simbolo passivo o spia di un (drammatico) mutamento di paradigma? in M. Ruggenini, R. Dreon, S. Galanti Grollo (a cura di), Democrazie e Religioni. La sfida degli incompatibili?, Roma, Donzelli, 2011, pp. 169-194. Interessante tutto il volume nel quale voci autorevoli sono impegnate in una articolata riflessione sulle tradizioni religiose, per offrire una visione critica del passato, delle sue ipoteche sul presente e delle sue proiezioni sul futuro, con la necessaria attenzione alle particolari condizioni storico-politiche e sociali che il nostro Paese sta attraversando.

[4] È il rapporto pubblicato nel 1996 dalla commissione dell’UNESCO coordinata da Jacques Delors. Il testo si rivolge ai docenti e alle scuole, come interlocutori fondamentali per affrontare tutta una serie di problemi sociali fino a non molto tempo fa considerati esterni agli spazi della didattica: J. Delors (ed.), Learning: the Treasure within. Report to Unesco of the International Commission on Education for the Twentty-first Century, Paris, Unesco, 1996 (trad. it., Nell’educazione un tesoro, Roma, A. Armando, 1997). Moltissimi altri testi e interventi hanno fatto seguito, mi limito a citare questo perché assai lucido e per molti versi pioneristico. Cfr. i siti ufficiali dell’UE riservati alla scuola: http://europa/eu/int/; http://eacea.ec.europa.eu/education/eurydice/index_en.php. Anche il portale del Consiglio d’Europa (www.coe.int/) è ricco di documenti relativi alle politiche educative comunitarie, emanati dai vari organismi.

[5] Gli altri tre pilastri sono: imparare a conoscere; imparare a fare; imparare a essere.

[6] Cfr. G. Filoramo, F. Pajer, Di che Dio sei? tante religioni, un solo mondo, Torino, SEI Editrice, 2011; E. Pace, La nuova geografia socio-religiosa in Europa. Linee di ricerca e problemi di metodo, «Quaderni di Sociologia», LV, 2011, pp. 65-89; Id., Vecchi e nuovi dei. La geografia religiosa dell’Italia che cambia, Milano, Paoline editoriale libri, 2011; Id. (a cura di), Le religioni nell’Italia che cambia. Mappe e bussole, Roma, Carrocci, 2013; e sui nuovi indirizzi spirituali: Id., Una religiosità senza religioni. Spirito, mente e corpo nella cultura olistica contemporanea, Napoli, Guida, 2015.

[7] La bibliografia su questi temi è davvero enorme. Mi limiterò per questo a dare nelle note solo indicazioni per una informazione di base. Volumi e saggi citati sono per lo più documenti ufficiali o lavori di specialisti che da parecchi anni si dedicano alle questioni in oggetto. I rispettivi contributi, d’altra parte, sono frutto di studi informati, con aggiornata bibliografia, assai utili anche per ulteriori approfondimenti.

[8] Anche pensando a questo tipo di finalità ho limitato i riferimenti alla letteratura critica indicando percorsi essenziali di approfondimento, attraverso i quali è possibile – ove si ritenga – reperire abbondanti ulteriori incrementi bibliografici.

[9] F. Pajer, Quale sapere religioso nella scuola pubblica? Dall’orizzonte europeo al caso Italia, «Ricerche di pedagogia e didattica», IV, 2, 2009: http://rpd.cib.unibo.it/article/view/1580/945 (consultato il 25 ottobre 2016). L’articolo fa parte del dossier della «Rivista di Pedagogia e Didattica» 2009, dal titolo I saperi pubblici della/sulla religione, a cura di Stefano Martelli, primo workshop del Convegno di Sociologia della Religione organizzato a Bologna dall’omonima sezione dell’AIS e dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione (28-29 novembre 2008), sul tema La religione come fattore di dis/integrazione sociale. Più in dettaglio: E. Genre, F. Pajer, L’Unione Europea e la sfida delle religioni. Verso una nuova presenza della religione nella scuola, Torino, Claudiana, 2005; F. Pajer, Tendenze attuali e prospettive dell’istruzione religiosa scolastica nell’Unione Europea, «Orientamenti Pedagogici», LVII, 1, 2010, pp. 27-50; M. Catterin, L’insegnamento della religione nella scuola pubblica in Europa. Analisi e contributi di istituzioni europee, Venezia, Marcianum Press, 2013. Per uno sguardo storico retrospettivo rimando a F. Pajer, Scuola e religione in Europa. Un cammino di cinquant’anni (1960-2010), www.academia.edu/4917036/FPajer_AECA-PPC_2012 (visto il 15 novembre 2016). Altre indicazioni bibliografiche in tema alla nota 13.

[10] Si vedano il Trattato di Maastricht (1992, art.126) e il Trattato di Amsterdam (1997, nota addizionale n.11).

[11] La formulazione dei modelli o paradigmi interpretativi del modo in cui ‘si vede’ e ‘si gestisce’ il sapere religioso nelle scuole del territorio europeo -che propongo in sintesi- si deve ancora a Flavio Pajer, che la riprende e argomenta in vari saggi reperibili anche online; per una ricca sintesi segnalo F. Pajer, Come l’Europa insegna e impara le religioni a scuola: i tre paradigmi, Eremo di Montecastello, Corso IdR di BS, 27 giugno 2015, online; e ancora F. Pajer, Quale sapere religioso nella scuola pubblica? cit.

[12]               Per una lucida e sintetica riflessione sul complesso concetto di laicità in riferimento alle questioni in oggetto, rinvio a F. Pajer, La laicità post-secolare, un luogo teologico, in F. Cambi (a cura di), Laicità, religioni e formazione: una sfida epocale, Roma, Carocci, 2007, pp. 61-75. L’idea di laicità nel mondo contemporaneo non può che privilegiare secondo l’autore «la dimensione post-secolare, cara a Jürgen Habermas non meno che a tanta parte della riflessione filosofica e teologica più avvertita degli ultimi anni» con la quale si intende «una laicità che si costruisce e si esprime in un tempo, il nostro, in cui la religione, fuoriuscita dal privato in cui l’aveva relegata la ragione illuministica prima e scientistica poi, riacquista nuova visibilità e incidenza nello spazio pubblico, e in cui lo spazio pubblico – sia esso quello della politica o della scienza, quello dell’etica o dell’educazione – non rifiuta più pregiudizialmente, ma postula positivamente, un dialogo democratico e critico con l’istanza religiosa». Su questi temi si veda anche il recentissimo e articolato volume: C. Crosato, Dal laicismo alla laicità. La via dell’inclusione dialogica: possibilità e criticità, Roma, Armando, 2016. L’autore affronta la questione della laicità a partire dalle sfide contemporanee secondo un percorso che procede dal piano teoretico a quello politico, per approdare all’urgenza educativa.

[13] Sulle diverse modalità della didattica delle religioni in Europa e le relative questioni, la bibliografia è ormai abbondante, indico solo qualche titolo: W. Alberts, Integrative Religious Education in Europe. A Study of Religions Approach Religion and Reason,  Berlin-New York, Walter de Gruyter,  2007 e Ead., Didactics of a Study of Religions, «Numen» 55, 2008, pp. 320-345 (Wanda Alberts è la prima studiosa a livello europeo ad affrontare il problema della fondazione di una didattica delle religioni come problema metodologico e strategico); R. Jackson, S. Miedema, W. Weisse, J.-P. Willaime (eds.), Religion and Education in Europe. Developments, Contexts and Debates, Münster, Waxmann, 2007; L. Pépin, L’enseignement relatif aux religions dans les systèmes scolaires européens. Tendances et enjeux, Bruxelles, NEF (Network of European Foundations), 2009; R. Jackson (ed.), Religion, Education, Dialogue and Conflict: Perspectives on Religious Education Research, London, Routledge, 2012; L. Collès, R. Nouailhat (eds.), Croire, savoir: quelles pédagogies européennes?, Bruxelles, Lumen Vitae, 2013; M. Rothgangel, R. Jackson, M. Jäggle (eds.), Religious Education at Schools in Europe. 2: Western Europe, Vienna-Göttingen, Vienna University Press/V&R Unipress, 2014; M. Rothgangel, G. Skeie, M. Jäggle (eds.), Religious Education at Schools in Europe. 3: Northern Europe, Vienna-Göttingen, Vienna University Press/V&R Unipress, 2014; F. Arici, R. Gabbiadini, M.T. Moscato (a cura di), La risorsa religione e i suoi dinamismi. Studi multidiscipllinari in dialogo, Milano, Franco Angeli, 2014; J. Berglund,Y. Shanneik, B. Bocking (eds.), Religious Education in a Global-Local World, Dordrecht, Springer, 2015.

[14] Sulla nuova accezione di cittadinanza e sulla necessità di rinnovamento dei programmi scolastici (in Italia) anche a questo proposito, rimando al recente saggio di V. Riccardi, Cittadinanza e Costituzione in prospettiva interculturale, «Cqia Rivista. Formazione, persona, lavoro», II, 4, 2012, pp. 247-261 (online); ma segnalo tutto il numero dedicato al tema monografico Educazione e Costituzione 1948-2008: analisi di quattro paradigmi didattici. Per quanto riguarda l’istruzione religiosa in Europa, i sistemi vigenti e gli orientamenti più recenti, cfr. F. Pajer, Scuola e cultura religiosa. Un approccio europeo al problema dell’insegnamento scolastico della religione, «Quaderni MEL», VI, 2003, www.lasalle.org/wp-content/uploads/pdf/mel/cahier_mel/06cahier_mel_it.pdf (consultato il 15 novembre 2106); Id., Tendenze attuali e prospettive dell’istruzione religiosa scolastica nell’Unione Europea, «Orientamenti Pedagogici», cit.

[15] E. Cresson, P. Flynn (eds.), Teaching and learning. Toward the learning society (White paper on education and training), European Commission, Education and Culture, Bruxelles, 1995; trad. it: Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni delle Comunità europee, 1996, online in pdf.

[16] Si veda per una sintesi: eur-lex.europa.eu.

[17] F. Pajer, Quale istruzione religiosa nelle scuole dell’Europa multireligiosa?, cit.

[18] Rinvio ancora a F. Pajer (Quale istruzione religiosa nelle scuole dell’Europa multireligiosa? cit.), per una circostanziata e acuta riflessione su queste iniziative e i relativi temi.

[19] Per una critica, ricca e documentata ricostruzione storica del dibattito sull’insegnamento della religione in Italia, dall’Unità fino alla revisione concordataria, rinvio a L. Caimi, G. Vian (a cura di), La religione istruita nella scuola e nella cultura dell’Italia contemporanea, Brescia, Morcelliana, 2013. Il volume (circa cinquecento pagine) allarga lo sguardo anche alla contemporaneità, alle questioni poste dalla società multiculturale e alle realtà europee ed extraeuropee. Si veda l’accurata e circostanziata Recensione al volume, di A. Cagnolati, «Historia y Memoria de la Educación», IV, 2016, pp. 393-401.

[20] I Saggi: P. Naso, I Religious Studies nella societaÌ€ multiculturale, pp. 15-17, M. Sachot, Lo studio e l’insegnamento del fatto religioso: il trabocchetto dell’etnocentrismo, pp. 18-21, M.C. Giorda, Per una didattica della storia delle religioni, pp. 22-33. F. Pajer, Scuola pubblica, diversitaÌ€ religiosa, cittadinanza democratica: un paradigma europeo, pp. 34-51. M.C. Giorda, S. Stilla, Insegnare le religioni all’UniversitaÌ€, pp. 52-83. A. Saggioro, Il ruolo dell’universitaÌ€ nella questione Ora di religione/Ora delle religioni’: una sfida aperta, pp. 84-92. M.C. Giorda, L’insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana, cit., pp. 93-100.

[21] La sezione monografica contiene i seguenti contributi: A. Saggioro, Religione, Storia delle religioni, Religious Studies. Dilemmi umanistici fra società, scuola e università, pp. 373-386; F. Pajer, Religioni a scuola. Modelli, problemi e sfide dall’Europa, pp. 387-408; W. Alberts, L’insegnamento della Storia delle religioni in una prospettiva europea, pp. 409-424; T. Jensen, Lo studio delle religioni e Religione in Danimarca, pp. 425-442; A. Szyjewski, Political Factors in Religious Knowledge Teaching - The Case of Religious Education in Poland, pp. 443-456; A. Drakouli, L’insegnamento della religione ortodossa nella scuola statale greca, pp. 457-468; M. C. Giorda, Il ‘caso’ Italia: storia, attualità, progetti, pp. 469-496; F. Diez de Velasco, La enseñanza de las religiones (enplural) en la escuela en España. Historia, problemas y perspectivas, pp. 497-534; G. Lettieri, L’ora di religione come questione apiretica, pp. 535-564.

[22] Fra i più recenti il Convegno Internazionale tenutosi nell’aprile del 2016 a Torino, su L’insegnamento della materia “storia delle religioni e del libero pensiero” nella scuola. Per una prospettiva scientifica, laica e aconfessionale in Italia alla luce delle esperienze in Europa, che si è articolato in tre sezioni: una dedicata agli interventi di area ‘accademica’; una alle ‘esperienze’ italiane (con i contributi di esponenti di diverse Associazioni religiose e di rappresentanti del mondo della scuola: sindacati, docenti, genitori); e una, infine, agli aspetti ‘giuridico-politici’. Il Convegno è stato promosso dal: Centro di Documentazione, Ricerca e Studi sulla Cultura Laica “Piero Calamandrei” onlus in collaborazione con Associazione XXXI Ottobre, Università degli studi di Torino, Università Ca’ Foscari Venezia, Consorzio IERS, Fondazione Benvenuti in Italia, UVA-Universolaltro. Anche siti e riviste italiane online su questi temi sono una realtà ormai ricca e variegata, ricordo solo a mo’ di esempio: «IRINews», notiziario trimestrale online, curato da Benvenuti in Italia e UVA-Universolaltro (benvenutiinitalia.it/pensiero/pubblicazioni/irinews/); OLIR osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose (www.olir.it); «Scuol@Europa», Organo della Federazione Nazionale Insegnanti Centro di iniziativa per l'Europa,  www.scuolaeuropa.it/

[23] A. Saggioro, Il ruolo dell’Università nella questione ‘Ora di religione/Ora di religioni’, cit., pp. 84-92.

[24] Da quando le riforme scolastiche prevedono per i docenti un aggiornamento «obbligatorio, permanente e strutturale» progetti che collegano scuola e università si sono vieppiù incrementati. Importanti consulte scientifiche come la SLI (Società linguistica italiana attraverso il Gruppo G.I.S.C.E.L), l’ADI (Associazione degli Italianisti, con l’ADI scuola) e la SIFR (Società Italiana di Filologia Romanza con la SIFR scuola) hanno da tempo avviato stabili collaborazioni con il mondo della scuola.

[25] La nuova intesa per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, che è stata siglata nel giugno del 2012, tra il Ministro Profumo e il Presidente della CEI, il Cardinale Bagnasco, ha introdotto elementi di novità per quanto concerne la qualifica professionale dei docenti dell’IRC, anche per adeguarsi ai criteri degli ordinamenti accademici. L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole secondarie di primo e secondo grado può essere ricoperto da chi abbia almeno uno dei seguenti titoli:
un titolo accademico in teologia o nelle altre discipline ecclesiastiche, conferito da una Facoltà approvata dalla Santa Sede; un attestato di compimento del regolare corso di studi teologici in un seminario maggiore;
una laurea magistrale in scienze religiose conseguita presso un istituto superiore di scienze religiose approvato dalla Santa Sede. La Chiesa continua ad avere il compito di verificare l’idoneità degli insegnanti, che secondo il canone 804 del Codice del Diritto Canonico si basa su tre fattori: retta dottrina; testimonianza di vita cristiana; abilità pedagogiche.

[26] Dal 2003 una legge ha varato anche per i docenti di religione un concorso abilitativo (non sui contenuti, ma su competenze pedagogico-didattiche). Solo il 70% degli insegnanti è assunto a tempo indeterminato dall’Ufficio Scolastico Regionale d’intesa con l’Ordinario Diocesano. Per il restante 30% la nomina è soggetta alla discrezione della Curia e alla conferma del dirigente scolastico. La complessità normativa della condizione giuridica dell’insegnante di religione nella scuola pubblica statale si evidenzia bene nell’intervento di A. Bettetini, Lo status giuridico degli insegnanti di religione cattolica, «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», XXXIX, 2012, rivista telematica www.statoechiese.it (consultato il 15 novembre 2016). D’altra parte l’accurata, ma non sempre condivisibile, disamina di Bettetini non aiuta a sciogliere le contraddizioni. Esse sono rinviate alla nostra tradizione costituzionale con riferimento ai rapporti tra Stato e Chiesa. Insomma, Bettetini trova legittimo «l’accertamento dell’idoneità specifica all’insegnamento della religione cattolica» da parte dell’Ordinario Diocesano. Poiché ribadisce che solo la Chiesa può «farsi garante di ciò che corrisponde a sé stessa», e dunque «il decreto sull’idoneità è un provvedimento prettamente canonico, estraneo all’ordinamento italiano». Resta da accertare come questo provvedimento si incastri nei meccanismi della scuola pubblica – e ne determini il carattere dell’insegnamento religioso – e intanto pensare di attivare nelle scuole italiane l’inserimento strutturale di percorsi complementari non sostitutivi, ai quali affidare i necessari e sempre più urgenti aggiornamenti in materia. Sulla legge del 2003 anche A. Pisci, Lo status giuridico degli insegnanti di religione cattolica tra vecchia e nuova normativa, «Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose», Alberto Pisci per www.olir.it (visto il 2 ottobre 2016).

[27] A proposito delle riflessioni sulla storia degli studi cfr. bibliografia ancora in A. Saggioro, Il ruolo dell’Università nella questione ‘Ora di religione/Ora di religioni’, cit., p. 86, nota 1.

[28] Sulla situazione italiana in fatto di ignoranza ‘religiosa’, cfr. A. Melloni (a cura di), Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, Bologna, Il Mulino, 2014.

[29]  Rinvio ancora per una accurata ricostruzione a L. Caimi, G. Vian (a cura di), La religione istruita nella scuola e nella cultura dell’Italia contemporanea, cit. Cfr. anche M.C. Giorda, La Storia delle religioni: una via italiana dell’educazione alla cittadinanza, in «Ricerche di Pedagogia e Didattica», IV, 2, 2009, pp. 1-16.

[30] Cfr. M.C. Giorda, La Storia delle religioni: una via italiana dell’educazione alla cittadinanza, cit., p. 5.

[31] Per ulteriori informazioni su altre sperimentazioni rinvio a «IRInews» online.

[32]  M.C. Giorda, La ‘Storia delle religioni’ nella scuola italiana. Quattro sperimentazioni negli istituti superiori, «Storicamente», V, 2009, rivista online: http://dx.doi.org/10.1473/stor52 (visto il 10 novembre 2016). A questo saggio rinvio per maggiori dettagli. Giorda, molto attiva su questi temi, è autrice di vari studi (alcuni già citati in queste note) oltre che protagonista di varie sperimentazioni, condotte a Torino e Roma dal 2009, in collaborazione con varie Associazioni e coordinate insieme a Saggioro. Insieme hanno, fra l’altro, pubblicato: M.C. Giorda, A. Saggioro, La materia invisibile. Storia delle religioni a scuola. Una proposta, Bologna, EMI, 2011, dove in un quadro articolato eppure sintetico prende corpo la proposta di un insegnamento pensato per le scuole, e dove non mancano i riferimenti alla pedagogia interculturale. Sul rapporto fra scuola pubblica e‘cultura religiosa’ da un punto di vista giuridico, cfr. N. Fiorita, Scuola pubblica e religioni, Lecce, Libellula, 2012. Più recentemente: G. Arrigoni, C. Consonni, A. Però (a cura di), Proposte per l’insegnamento della storia delle religioni nelle scuole italiane, Milano, Sestante, 2014.

[33] Una sperimentazione nella sperimentazione è stata inoltre quella effettuata in una classe del Liceo scientifico della stessa scuola. In questa classe, si è svolto un percorso basato su un recente volume (di B. Salvarani), dedicato alla presenza della religione nel cartone animato dei Simpson. Il percorso si è svolto attraverso la visione di 10 puntate in cui emerge fortemente il tema religioso, con relativa discussione e approfondimento delle tematiche specifiche emerse. Questa sperimentazione ha fornito l’occasione di presentare la religione e il religioso attraverso uno strumento alternativo, quello del cartone animato, riconosciuto e molto apprezzato dagli adolescenti.

[34] Il problema sociale pone l’accento sulle conseguenze dell’abolizione dell’IRC: il destino degli insegnanti di religione cattolica che attualmente sono circa 20.000.                   

[35] Cfr. M. Ferrara, Una proposta educativa: storia delle religioni (o scienze delle religioni?) a scuola. Cronaca e riflessione a margine della tavola rotonda di Padova (29 ottobre 2014), «Studi e Materiali di Storia delle Religioni», LXXX, 2, 2014, pp. 839-853.

[36] Cfr.  IERS: http://iers.unive.it/ Si veda anche A. Saggioro, Storia delle Religioni a scuola, «Scuol@Europa» VIII, 119, 2015, pp. 1-3.

[37] A. Bernardo, A. Saggioro (a cura di), I Princìpi di Toledo e le religioni a scuola. Traduzione, presentazione e discussione dei Toledo Guiding Principles on Teaching about Religions and Beliefs in Public Schools- OSCE/ODHIR, Roma, Aracne, 2015.

 


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