Conclusioni

di Mario Mazza

 

Discutere del saggio di Giarrizzo su Mazzarino mi impegna non solo scientificamente, ma anche emotivamente. Sono stato un allievo diretto di Mazzarino, un lettore attento ed impegnato dei lavori di Giarrizzo, negli anni della mia docenza catanese un collega fortemente partecipe delle vicende della Facoltà di Lettere e Filosofia di Catania, sotto la presidenza di Giarrizzo e, specie nell’ultima fase della sua vita, un interlocutore continuo, partecipe ed interessato, delle sue appassionanti conversazioni storiografiche. In altra sede ho definito il saggio di Giarrizzo su Mazzarino quanto di meglio finora sia stato scritto sul grande antichista catanese («Studi Romani» 55, 2007, 511-554, n.*; cfr. anche la dedica a Giarrizzo nel mio, Due maestri. Storia e filologia in Theodor Mommsen e Santo Mazzarino, Catania 2010); non hanno finora dato un quadro completo della storiografia mazzariniana né il convegno catanese del 1988, e neppure quello romano del 1991. Speriamo che qualcosa di più sostanzioso venga dalla pubblicazione, ritardatissima, degli Atti del Convegno Linceo del 2008 e dal recentissimo (2016) convegno genovese su Il pensiero storico classico.

Vorrei iniziare dalla ‘Terza questione’, invertendo l’ordine propostoci. ‘Anticlassicismo’ e ‘umanesimo’ in Mazzarino. Giarrizzo ha posto con molta concretezza la questione. Egli ha giustamente rimarcato l’‘opzione anticlassicistica’ di Mazzarino, sostanzialmente estranea alla prospettiva neoumanistica portata avanti, proprio negli anni giovanili di Mazzarino, dal Werner Jaeger di Paideia e dal Rudolf Pfeiffer continuante il maestro Wilamowitz liquidatore del «klassisches Bild» della linea Winckelmann-Humboldt-Welcker. Operano in questa scelta anticlassicistica del giovane Mazzarino due fondamentali componenti. Da un canto il magistero di Luigi Pareti, e le idee dell’ambiente culturale nel quale Pareti si muoveva, dall’altro l’esperienza monacense, non tanto alla scuola di Pfeiffer quanto soprattutto a quella di Walter Otto. Anche se non semplice da definire, non si può trascurare il rapporto con il Pareti, acuto studioso della Magna e di Sicilia, ed impegnato negli studi sulla cultura italica ed etrusca che culmineranno nella magistrale edizione della Tomba Regolini-Galassi. A lui il giovanissimo Mazzarino appare risultare debitore dell’interesse per la grecità periferica e dell’ispirazione per uno dei motivi di fondo della ricerca storica di questi suoi primi anni – il concetto cioè di koine culturale. Grecità periferica e attenzione per le situazioni di mescolanza di culture, di koine culturale – oggi diremmo meglio di ‘interazione culturale’ - è il terreno su cui appunto si muove il Mazzarino di fine anni ’30 e dei primi anni ’40.

Più complesso il rapporto con la cultura, non solo antichistica, tedesca. Per la borsa di studio di perfezionamento all’estero Mazzarino sceglie la Monaco di Pfeiffer e di Otto, della grande scuola di diritti antichi di Leopold Wenger, di Marian San Nicolò e di Erwin Seidl – ma anche la Monaco di Max Reinhardt e dei fervidi adepti di Stefan George, dei «Münchner Kosmiker» descritti da Franziska Gräfin zu Reventlow nel romanzo Herrn Dames Aufzeichnungen. Fu importante, per il giovane venuto dalla lontana Sicilia, non tanto il rapporto con il filologo e storico della filologia classica Pfeiffer, scolaro e divulgatore del verbo filologico del Wilamowitz, quanto il rapporto con Walter Otto (1878-1941). Studioso della grecità ‘periferica’ dell’Egitto tolemaico e, al pari del maestro Ulrich Wilcken, alieno da fervori ‘classicistici’, Otto fu personalità di grande rilievo. La sua concezione della storia antica riprendeva le posizioni ‘universalistiche’ di Eduard Meyer, lo storico al quale guardava Mazzarino come insuperabile modello (cfr. W. Otto, Eduard Meyers Geschichte des Altertums, HZ 161, 1940, 309-324, con la critica a Berve, 311 sgg.). In un libro assai apprezzato, e consigliato, da Mazzarino, nella Kulturgeschichte des Altertums (München 1925), Otto significativamente ricomprendeva la storia della Grecia e di Roma nel III Abschnitt: Zur Kulturgeschichte des Mittelmeerkreises, dunque nel quadro del Mediterraneo antico. I suoi presupposti ‘universalistici’, e perciò ‘aclassici’, lo portarono allo scontro con il forse più dotato, ma indubbiamente il più brillante dei suoi allievi, con Helmut Berve, tra gli storici antichi diventato il corifeo del fronte ‘neoumanistico’ (sia sufficiente il rimando a St. Rebenich, Alte Geschichte in Demokratie und Diktatur. Der Fall Helmut Berve, «Chiron» 31, 2001, 457-496). Il giovane Mazzarino fu profondamente impressionato dal maestro monacense: nella storia dell’antichità quale era presentata da Otto, editore dell’Handbuch der Altertumswissenschaft, egli vedeva impersonato e realizzato il modello meyeriano di Universalgeschichte, mentre nei lavori di Otto sull’Egitto ellenistico sentiva confermato il suo interesse per i processi di interazione culturale, per gli incontri e mescolanze di culture. Concordo pienamente con la tesi di Giarrizzo che appunto nel periodo monacense avrebbe «[...] preso forma definitiva la scelta anticlassica di Mazzarino, che conosce direttamente Meyer, e per la mediazione degli allievi di Meyer, e Niebuhr e Burckhardt; e che la originaria ispirazione anticlassica chiama a confrontarsi con il neoumanesimo di Werner Jaeger e di Victor Ehrenberg» (p. 557).
In definitiva, l’opzione anticlassicistica rivela Mazzarino sostanzialmente estraneo, se non ostile, al neo-umanesimo di Jaeger e di Pfeiffer – anche se certi interessi ‘erasmiani’ del secondo Mazzarino rispolvererà, assai blandamente e senza peraltro nominarlo, in un breve intervento su Neoumanesimo e storia antica, pronunciato nella riunione costitutiva (Roma 20-23 settembre 1948) della Sodalitas Erasmiana (Neoumanesimo e storia antica, in G. Toffanin - M. Gentile - G. Vallese, Sodalitas Erasmiana, I: Il valore universale dell’Umanesimo, Napoli 1950, 154-159). Ha significato ciò una rinuncia completa, definitiva, all’umanesimo? O Mazzarino ha presentato, specie nella grandiosa trilogia de Il pensiero storico classico, I-II 1-2 (1965-1966), una proposta diversa? Su questo punto brevissimamente ritornerò dopo aver discusso delle altre due questioni.

Estraneo dunque alla prospettiva neoumanistica jaegeriana, due sono i grandi temi attorno ai quali, secondo Giarrizzo, si articolano, in questa prima fase, gli interessi di Mazzarino: la nascita della democrazia nella Grecia e nella Roma arcaiche – e la tarda antichità, «[...] un’età di crisi ove il disfarsi del vecchio (la ‘decadenza’) è soprattutto dare conto del nuovo». E ancora, per Giarrizzo: «Così le due ricerche, nate rispettivamente nel 1935 [cioè Fra Oriente e Occidente, Firenze 1947] e nel 1940 [Dalla monarchia allo stato repubblicano, Catania 1945] sono diventate nella finale redazione del dopoguerra un contributo all’origine (classica) della democrazia moderna». Due ‘democrazie’, con una sostanziale differenza, che ne determinerà il futuro: mentre l’isonomia greca è la risposta ‘politica’ alla crisi sociale che oppone alle eterie aristocratiche i ‘liberi’ depauperati, la repubblica romana, lo stato romano, è il frutto dell’alleanza tra il patriziato e la plebe abbiente, della capacità dei patrizi romani di far partecipi della vita politica la plebità, il ‘quarto stato’ (l’espressione è di Mazzarino). Dell’appena ventiseienne studioso ci sia consentito citare la splendida pagina conclusiva di Dalla monarchia allo stato repubblicano:

C’è, ancora, un’altra caratteristica e quasi insegnamento (non ci scandalizzi la parola) in questa formazione progressiva della repubblica romana. La fondazione della repubblica fu opera soprattutto degli opliti, vale a dire dei plebei abbienti; ma le sue conquiste sarebbero andate perdute, senza le secessioni di tutta la plebe – compresi i non abbienti – nel corso del V secolo. Vale a dire: solo perché i plebei abbienti si fecero esponenti di tutta la plebità, i classici anche degli infra classem, solo per questo la «rivoluzione oplitica» del VI secolo non rimase vana, e la repubblica si consolidò per un lungo tempo. Oggi non ci sono più né classici infra classem; e la parola «plebe» ha tutt’altro senso, e le distinzioni di classe uno «stile» infinitamente diverso dal romano. Ma anche noi possiamo dire che la funzione del «terzo stato» (romanamente dei classici, od opliti) è priva di senso e di contenuto, se esso non diviene altresì educatore e guida e suscitatore del «quarto stato». Ogni grande organismo statale ubbidisce a una esigenza e (anche qui, non ci scandalizziamo della parola) a una legge: le classi superiori non possono vivere all’infuori dei fermenti storici elaborati dalle inferiori. A questa «legge» ha ubbidito anche Roma (19922, 210).

Commenta Giarrizzo: l’appello è alla borghesia post-bellica di porsi come «classe generale»: Mazzarino, da posizioni liberal-democratiche porterebbe a compimento la sua critica alla società borghese; da evoluzionista ‘liberale’ egli conterebbe di «[...] uscire dal contrasto per mediazione». In realtà, questo Mazzarino ‘mediatore’ per Giarrizzo sarebbe ancora «attratto dalle formule del neo-umanesimo»; solo più tardi «prenderà le misure» a Burckhardt e a Nietzsche, ‘critici della democrazia’; ora tenta di pervenire, «per via storicista», alla definizione dei modelli e degli stili. Atene e Roma, la grecità e la romanità: non sono arrivate alla creazione dello stato rappresentativo moderno, hanno però «[...] provveduto a definirne il cuore con l’invenzione dell’isonomia e della partecipazione politica». Acquista significato, in questo contesto, il tema dell’integrazione, dei soggetti più deboli e meno protetti. Compito della politica è l’inclusione, si è sopra giustamente detto. In questa prospettiva può essere di vero aiuto all’Europa contemporanea la redazione, con l’apporto e l’ausilio delle grandi invenzioni di Atene e Roma, di quella che nella premessa è definita una «nuova grammatica del vivere insieme», un nuovo o nuovi codici del comportamento politico per l’Europa.
 

Mazzarino 1942 (19902, p. 240):
Abbiamo così guadagnato due nuovi elementi per la definizione del contrasto: da un lato la vittoria orientale su Gainas ci appare determinata dalla particolare sensibilità religiosa dei bizantini; dall’altro essa, con i fenomeni che l’accompagnano, ci rivela la persistenza di una classe cittadina nell’Oriente del  tardo impero [...] In altri termini, lo stato occidentale non ha né una particolare sensibilità religiosa né una forte classe cittadina; all’Oriente teocratico […] si oppone un Occidente dove Chiesa e Stato vivono due vite; ad un mondo dove la politica è, essa stessa, religione, si oppone un mondo esclusivamente politico. Allo stesso modo, a un Occidente quasi feudale, si oppone un Oriente dove le classi cittadine conservano coscienza della loro vocazione politica e sociale.

Giarrizzo 1999, p. 564
La società europea è figlia [...] dell’insuccesso del tentativo (che fu di Teodosio e del “teodosiano” Stilicone) di tenere uniti l’Oriente e l’Occidente: è l’Occidente, l’Europa che si riconosce diversa e ostile verso l’Asia, l’Oriente. E già in Mazzarino ha preso corpo l’ideologia della non lontana maturità: fondare un umanesimo anticlassicista che sani quella divisione, e sia l’erede dell’Asia bizantina, come dell’Europa medievale. Siamo al capovolgimento speculare del Terzo Umanesimo di Jaeger e di Berve.

Adesso però vediamo la vicenda in modo piuttosto diverso. La società europea – la società, ribadisco – non può considerarsi il risultato dell’insuccesso, di Teodosio e di Stilicone, di mantenere uniti Occidente e Oriente, di una cesura tra la Pars Occidentis, con un senato ormai ‘feudale’, e la Pars Orientis nella quale si era mantenuta viva l’organizzazione curiale e la vita cittadina. Non è la cesura tra religione e politica (Gennaro Sasso ha acutamente rilevato le venature gentiliane presenti nello Stilicone) a «segnare l’inizio dell’avventura europea». Con il suo profondo senso storico Mazzarino ha rilevato le differenziazioni che erano venute creandosi nella struttura sociale ed economica delle due partes; ma questa era una vicenda pregressa, iniziata già, nelle provincie galliche e germaniche, e nelle provincie orientali, specie in Egitto e nella Siria, già alla fine del secondo secolo.[1] Come ha indicato in un classico libro Roberto S. Lopez, Naissance de l’Europe, Paris 1962 (trad. it. Torino 1966) è il risultato di un lungo processo, che parte dai secoli ‘forti’ dell’impero e giunge fino a Carlo Magno.[2]

Per ritornare, come detto sopra, all’ipotesi di un diverso, ‘europeo’, umanesimo di Mazzarino. Non c’è dubbio che, come sempre, dall’opera storica di Mazzarino, anche dalla pur discussa, e discutibile, tesi dello Stilicone, nascano per noi stimolanti ed attualissimi elementi di riflessione e di discussione. Certamente l’Europa odierna non è pensabile senza l’Africa e l’Asia – ma lo era anche, e forse di più, l’Europa romana dell’antichità: senza ricorrere al ‘sempreverde’ Braudel, importanti lavori come The Corrupting Sea di Peregrine Horden e di Nicholas Purcell, e le riflessioni metodologico-storiografiche di William Harris, indicano il significato e l’importanza del Mediterraneo come spazio unificante per le tre geografiche sopra indicate.[3] Con il consueto acume Giarrizzo ha accennato all’aspirazione, ideologica, mazzariniana di fondare «un umanesimo anticlassicista valido a sanare quella divisione e che si costituisca come erede dell’Asia bizantina e dell’Europa medievale». Ma ha senso un tale umanesimo? E, più in generale, si può operare per un ‘nuovo’ umanesimo? Mi ritrovo assai scettico su tale possibilità: mi pare impresa impossibile, al momento attuale – e tutto sommato anche antistorica. Per la complessità dell’attuale situazione storica, non tanto per lo ‘scontro delle culture (o civiltà)’ strombazzato da autori americani, quanto per la difficoltà, e la complessità, dei processi di interazione tra queste culture. Culture storiche, di antica, antichissima tradizione, come l’indiana, la cinese, le varie, ma vitali culture dell’Africa – che cercano ancora di riscattarsi dal colonialismo – premono ormai sull’umanesimo (sugli ‘umanesimi’) creatisi nella storia europea a partire dal XV secolo (ed anche prima). Invece di un ‘nuovo umanesimo’ auspicherei, come molto più utile ed importante, un reale incremento della riflessione e della comprensione storica.

 

 

 


[1] Per un primo orientamento può forse essere utile il mio saggio Tra Oriente e Occidente. Linee di tendenza dell’economia tardoantica, in S. Garraffo e M. Mazza (a cura di), Il tesoro di Misurata (Libia). Produzione e circolazione monetaria nell’età di Costantino il Grande, Catania 2015, pp. 77-88

[2] Sulla recente problematica storiografica informa esaurientemente S. Gasparri, Tardoantico e Alto Medioevo: metodologie di ricerca e modelli storiografici, in A. Barbero [Dir.], Storia d’Europa e del Mediterraneo. II. Dal Medioevo all’età della globalizzazione. Sez. IV: Il Medioevo [sec. V-XV]. Vol. VIII: Popoli, poteri, dinamiche, Roma 2006, pp. 27-61 [Si veda anche la acuta Premessa al volume di F. Carocci, pp. 1-22. Va però sempre tenuto presente S. Mazzarino, Il nome e l’idea di Europa (Rassegna 1930-1960), «Le parole e le idee». p. 2, 1960 18 sgg., ora saggio XXXVIII di Antico, tardoantico ed èra costantiniana, II, Bari 1980, pp. 412-430; si veda anche il cap. V, Zum Begriff Europa, di W. Otto, Antike Kulturgeschichte. Betrachtungen zu Ernst Howalds “Kultur der Antike”, SBAW Philos.-hist. Abt. 1940, H. 6, München 1940, 61, sgg., in decisa polemica con le posizioni di E. Howald, Kultur der Antike, Zürich 1935, 19482].

[3] P. Horden-N.Purcell, The Corrupting Sea. A Study of Mediterranean History, Malden MA-Oxford, 2000 – con il fondamentale Article-Review di Brent D. Shaw, Challenging Braudel: a new vision of the Mediterranean, JRA 14, 2001, pp. 419-453 e le importanti considerazioni, nel quadro generale della storia antica, di W. V. Harris, The Mediterranean and Ancient History, in W. V. Harris (ed.), Rethinking the Mediterranean, Oxford-New York 2005, pp. 1-42. [Non credo applicabile, sia pur in un nuovo contesto ermeneutico, il concetto mazzariniano di koine; se esso era valido ad intendere la genesi e l’originalità della cultura arcaica italico-romana, mi pare serva poco per intendere i complessi processi di interazione culturale svolgentisi in età tardoantica: mi permetto di rimandare al mio Cultura guerra e diplomazia nella Tarda Antichità. Tre studi, Catania 2005, e ai miei saggi in MediterrAnt 10, 2007, pp. 49-69 e 13, 2010, pp. 285-310].

 


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MAZZARINO , GIARRIZZO , UMANESIMO , EUROPA


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Storia


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