Paesaggi sonori nei diari di viaggio in Italia di benedettini svizzeri del primo Settecento

di Luigi Collarile

 
 
 

Le testimonianze lasciate da alcuni benedettini del monastero benedettino di San Gallo (Svizzera), che tra la fine del Seicento e la prima metà del secolo successivo si misero in viaggio verso Roma, offrono una prospettiva insolita per osservare l’esperienza del Grand Tour in Italia. La documentazione qui presa in considerazione, riscoperta di recente e oggetto di indagini ancora in corso, riguarda quattro diversi viaggi.[1] Il 12 gennaio 1696 è un principe abate, Celestino Sfondrati (1644-1696), membro di una nobile famiglia milanese, a lasciare il monastero di San Gallo per recarsi a Roma, dove riceverà la porpora cardinalizia. Del viaggio e degli ultimi mesi di vita del cardinale rimangono il diario redatto dal suo segretario, P. Hermann Schenk,[2] e una relazione redatta dalla guida che accompagnò il principe abate durante il viaggio in Italia, il funzionario del monastero Franz Laurenz Pillier.[3] Protagonisti degli altri tre viaggi sono altrettante coppie di benedettini, inviati a Roma per assolvere in primis a un compito specifico: ottenere il titolo di doctor in utroque iure presso lo studio giuridico della Sapienza, per poter difendere in prima persona gli interessi del monastero davanti al tribunale della Sacra Rota. Il 5 ottobre 1699 si misero in viaggio P. Lukas Grass (1662-1731) e P. Jodok Müller (1667-1753). Quando giunsero a Roma, quattro settimane più tardi, la città era in fibrillazione per i preparativi per l’imminente Giubileo, un evento straordinario che coinvolse in prima persona i due benedettini svizzeri: il primo in qualità di confessore, il secondo di celebrante in alcune funzioni papali. Terminato l’Anno Santo, i due benedettini si dedicarono agli studi giuridici e agli altri compiti loro affidati, per far ritorno a San Gallo il 24 maggio 1701. Entrambi stesero un proprio diario di viaggio: un’interessante relazione parallela dei quasi due anni trascorsi in Italia, ricchi di esperienze, incontri e avvenimenti di ogni tipo.[4] Il viaggio di P. Bernhard Frank von Frankenberg (1692-1762) e di P. Cölestin Gugger von Staudach (1701-1767) cominciò il 18 ottobre 1729. Il primo fu incaricato di tenere informato l’abate dell’andamento del viaggio e di redigere un dettagliato registro delle spese, mentre al secondo (il più giovane tra i due) spettò il compito di scrivere un diario di viaggio. [5] Il loro soggiorno in Italia si concluse il 16 novembre 1730. Identiche mansioni furono assegnate P. Antonin Rüttimann (1710-1754) e a P. Iso Walser (1722-1800) quando il 3 maggio 1748 partirono alla volta di Roma: al primo la corrispondenza con il monastero e il controllo delle finanze, al secondo la redazione del diario di viaggio. Alla sua stesura finale, P. Walser mise mano a lungo dopo il suo rientro a San Gallo, il 22 maggio 1749: una revisione rimasta tuttavia incompiuta.[6]
Queste quattro narrazioni hanno diversi elementi in comune. Il viaggio per Roma è vissuto come un’occasione straordinaria, in grado di offrire loro la possibilità di compiere esperienze umane, culturali e sociali che nell’immaginario della élite europea dell’epoca erano considerate parte essenziale del processo di maturazione intellettuale. A parte il caso particolare rappresentato dal viaggio del principe abate (che attraversa le Alpi e l’Italia nella propria carrozza con alcuni inservienti al seguito), i monaci sangallesi si muovono mescolandosi al flusso di turisti e pellegrini che attraversavano l’Italia. Insieme a loro visitano luoghi e monumenti, condividendo la carrozza o un rifugio di fortuna. Guide di viaggio alla mano, si muovono seguendo le tappe di quel Grand tour che lungo precise direttive li conduce a Roma, emblematico baricentro di un percorso di simbolica iniziazione culturale. Nella città dei papi, i benedettini svizzeri soggiornano per almeno un anno. Per una serie di ragioni legate al loro status religioso e anche alla loro nazionalità, hanno la possibilità di entrare in contatto con ambienti ecclesiastici di primissimo piano, stringendo rapporti e compiendo esperienze che alla maggior parte dei grandturisti laici erano in larga parte precluse. In questo senso, le testimonianze fornite dai benedettini sangallesi rappresentano fonti sorprendentemente ricche, le cui valenze sono ancora in larga parte da mettere in luce.

Scopo di questo contributo è considerare un aspetto particolare all’interno della narrazione offerta dalle testimonianze qui prese in esame: l’immagine sonora del paesaggio che esse restituiscono.[7] La dimensione sonora è parte essenziale del vissuto. Nei diari redatti dai benedettini svizzeri, come in molti resoconti di viaggio dell’epoca, si può trovare notizia di un’infinità di situazioni connotate dal punto di vista sonoro. È il caso di apparati allestiti per la sonorizzazione di cerimonie religiose e avvenimenti straordinari a cui i viaggiatori assistettero, ma anche il suono delle campane che segnano il tempo alla maniera italiana, il rombo dei tamburi e dei cannoni che preludono a un avvenimento pubblico, le urla di gioia della folla per l’elezione di un nuovo papa, i canti e balli improvvisati durante il carnevale, l’incontro casuale di un suonatore in un’osteria. Le valenze di questa variegata sequenza di esperienze sonore devono essere considerate con attenzione, non soltanto allo scopo di valutare la qualità documentaria delle informazioni trasmesse in rapporto agli avvenimenti descritti. L’evocazione di un’esperienza sonora rinvia spesso a un avvenimento significativo dal punto emotivo: è il segno dello stupore e della commozione, che – come una sorta di colonna sonora – riveste alcuni momenti salienti della straordinaria esperienza vissuta durante il soggiorno in Italia.

Se si considera la natura delle testimonianze – descrizioni di esperienze effimere colte nella loro irripetibile manifestazione acustica –, è evidente quanto delicata sia la questione che riguarda l’approccio metodologico con il quale affrontare la questione dell’orizzonte sonoro del viaggio: non solo per ciò che concerne l’identificazione di particolari avvenimenti descritti, ma soprattutto per ciò che riguarda la definizione del processo attraverso il quale un’esperienza sonora è stata convertita in forma scritta. Le testimonianze – è bene ribadirlo – non sono mai, né possono essere trattate come registrazioni asettiche di ciò a cui un viaggiatore ha assistito. L’incontro con un particolare evento può essere stato fortuito: non lo è però la sua registrazione, frutto di un processo selettivo volontario. La descrizione di un’esperienza passa attraverso la comprensione che di essa ha lo spettatore e la sua capacità di tradurla in forma scritta. Si tratta di un processo complesso, nel quale l’orizzonte culturale, la sensibilità personale e le finalità che si prefigge chi scrive, giocano un ruolo di primo piano. Per andare oltre la mera estrapolazione di una sequenza di notizie di natura sonora, occorre quindi considerare queste testimonianze all’interno di una prospettiva fenomenologica in grado di tener conto di diversi elementi: la natura del rapporto tra il viaggiatore e l’evento sonoro; l’orizzonte culturale ed estetico di chi quell’evento sonoro ha ascoltato e trasformato in testimonianza scritta; le finalità che la narrazione di un evento sonoro persegue nella prospettiva della rappresentazione del viaggio.

Alla luce di queste considerazioni è opportuno sottolineare alcune specificità e potenzialità offerte dalle fonti qui prese in considerazione. Spesso è difficile dare un profilo sufficientemente dettagliato dell’orizzonte culturale dei molti viaggiatori che hanno solcato l’Italia all’epoca del Grand tour, lasciando una testimonianza scritta della propria esperienza. Non così per gli autori dei diari qui presi in considerazione, il cui profilo non solo può essere indagato con relativa precisione, ma rinvia a un comune orizzonte formativo, maturato all’interno del monastero benedettino di San Gallo.[8] La somiglianza (talvolta l’identità) delle esperienze compiute nei diversi viaggi in Italia in un arco temporale relativamente circoscritto offre una prospettiva di grande interesse per osservare alcune dinamiche del paesaggio attraversato, osservate attraverso la personale sensibilità che i diversi protagonisti dei viaggi possono aver avuto di fronte a esperienze simili. Identiche sono le finalità per le quali i diari di viaggio sono stati redatti: fornire un dettagliato resoconto di quanto compiuto durante il soggiorno in Italia per gli atti del monastero. Sebbene talvolta la qualità letteraria delle testimonianze travalichi il confine della mera registrazione di avvenimenti degni di nota per porsi in relazione dialettica con alcuni modelli forniti dalla letteratura di viaggio dell’epoca, si tratta in ogni caso di testimonianze redatte in latino, come richiedeva il protocollo dell’ufficialità, concepite per una circolazione controllata, circoscritta alle sole persone autorizzate ad accedere ai documenti dell’archivio del monastero.[9]
 

Nella definizione dello statuto sociale di un viaggiatore, la sua identità sonora è un elemento non indifferente. Un viaggiatore può essere un semplice spettatore di avvenimenti sonori che può incontrare durante il viaggio; oppure essere l’artefice più o meno volontario di una specifica sonorizzazione, in grado di garantirgli un riconoscimento pubblico e un’adeguata amplificazione della straordinarietà del suo passaggio. A questa seconda categoria appartengono molti grand tours di membri della più elevata nobiltà europea, che spesso hanno solcato le Alpi e l’Italia con propri musicisti al seguito e con agenti in grado di garantire un’adeguata sonorizzazione delle diverse tappe del loro viaggio, attraverso la creazione di apparati specifici.

La discesa in Italia compiuta dal principe abate Celestino Sfondrati nel gennaio del 1696 per ricevere la porpora cardinalizia si iscrive senz’altro alla categoria dei viaggiatori di alto lignaggio.[10] Il suo trasferimento a Roma inizia come un viaggio trionfale. Fin dal momento in cui lascia il monastero di San Gallo, il passaggio del futuro cardinale è celebrato con squilli di trombe, campane a festa, salve di cannoni e di archibugi, schiere di cavalieri e folle assiepate che gli rendono omaggio, festeggiamenti e banchetti rallegrati da canti e balli. Poi improvvisamente la scena cambia: ed è proprio la dimensione sonora a sottolinearlo. Quando, al confine con l’Italia, si manifestano i primi sintomi della malattia che lo ha colpito, l’abate preferisce evitare ogni manifestazione pubblica. Attraversa l’Italia in incognito, declinando qualsiasi invito ufficiale. Chiuso nella propria carrozza raggiunge la ‘sua’ Milano, poi Bologna, Firenze e infine Roma. Nella città dei papi non può sottrarsi al cerimoniale pubblico previsto per la creazione di un nuovo cardinale. Nelle pagine del diario steso dal suo segretario, il suono dei festeggiamenti che echeggia attorno alla sua residenza, prelude alla silenziosa agonia del cardinale, che si spegne a Roma solo qualche mese più tardi.

I viaggi delle tre coppie di benedettini del monastero di S. Gallo che si portano a Roma per studiare diritto civile e canonico alla Sapienza appartengono all’altra categoria: quella degli spettatori di avvenimenti sonori che l’occasione del viaggio in Italia offre loro. Essi non sono personaggi pubblici, né sono principi blasonati per i quali si predispongono apparati straordinari. Sebbene alcuni appartengano a importanti famiglie patrizie svizzere, essi sono prima di tutto dei monaci chiamati ad assolvere, durante il loro soggiorno in Italia, a alcuni precisi compiti: ottenere un’adeguata formazione giuridica, instaurare rapporti con personalità di primo piano del mondo curiale romano, accumulare esperienze e conoscenze utili per la vita culturale e spirituale del monastero – acquisire, in altre parole, le competenze necessarie per candidarsi a guidare in futuro uno dei più prestigiosi monasteri d’Europa. Raggiungono Roma mescolati all’anonima schiera di turisti e pellegrini in viaggio per l’Italia nel primo Settecento. Giunti in città, prendono contatto con l’agente del monastero e con il comando della guardia svizzera: primi punti di riferimento per muoversi all’interno dell’ambiente romano. Avviano la propria formazione, organizzando lezioni di lingua italiana e iscrivendosi ai corsi di legge alla Sapienza. Ottenuto (nella maggior parte dei casi piuttosto rapidamente) il titolo di doctor in utroque iure,[11] si dedicano all’esplorazione dell’ambiente che li circonda. Accanto a visite a biblioteche e monumenti, alla partecipazione a avvenimenti devozionali e mondani organizzati da personalità della curia e della nobiltà romana in chiese e palazzi della città, i monaci svizzeri approfondiscono il proprio orizzonte culturale personale, prendendo anche lezioni di musica.

Nel racconto dei viaggi da e per la Svizzera la dimensione sonora rimane in secondo piano rispetto alla narrazione degli eventi, percettibile come elemento del vissuto (come ad esempio le grida dei barcaioli durante l’attraversamento di un fiume in piena), quando non espressione di avvenimenti occasionali di carattere propriamente sonoro o musicale (come l’incontro di un musicista di strada che intona canzonette sulla chitarra). Durante il soggiorno a Roma la registrazione delle esperienze sonore aumenta in maniera quantitativamente e qualitativamente proporzionale alla presa di coscienza da parte dei monaci delle peculiarità dell’ambiente che li circonda. 
Il primo passo significativo in questo senso è dato dalla scoperta della sonorizzazione del rituale urbano. Nelle prime settimane è probabilmente l’agente del monastero a indicare ai nuovi arrivati dove recarsi per assistere a particolari celebrazioni in onore di un santo o a un vespero solenne. Precise informazioni sul complesso e variegato rituale devozionale della città era possibile trovarle nelle guide a stampa a disposizione dei pellegrini della città dei papi. Il I gennaio 1730 P. Bernhard Frank annota nel registro delle spese il pagamento di 3 giulii per l’acquisto di due esemplari della Guida angelica perpetua «worin von Tag zu Tag, was in allen Kirchen in Rom celebrieret wird gezeichnet ist».[12] Anche P. Walser e P. Rüttimann si dotano di una guida della città, acquistando due esemplari del Diario romano per l’anno MDCCXLIX: l’esemplare appartenuto a P. Iso è ancora rilegato all’interno del suo diario di viaggio, insieme ad altri fascicoli a stampa e ad alcune incisioni acquistate durante il soggiorno in Italia. Queste guide fornirono ai giovani benedettini sintetiche informazioni sui principali appuntamenti del variegato rituale urbano, scandito da celebrazioni quotidiane nelle numerosissime chiese di Roma. La presenza dei monaci sangallesi a distanza di anni nei medesimi luoghi appare sintomatico della ripetizione di esperienze compiute seguendo le tappe del pellegrinaggio perpetuo che animava la città eterna.

L’impatto con il cerimoniale urbano può essere stato immediato, come nel caso di P. Grass e P. Müller, letteralmente catapultati all’interno delle celebrazioni per il Giubileo del 1700. La comprensione della dimensione sonora è però un processo graduale. Superato lo stupore per la straordinarietà del paesaggio che li circonda, i monaci sangallesi imparano ad ascoltare in maniera più consapevole quanto avviene attorno a loro. Le informazioni desunte dalle guide romane potevano ‘prestrutturare’ le loro attese in relazione a singoli eventi. Non potevano chiarire però fino in fondo le complesse dinamiche che il cerimoniale devozionale urbano incarnava, spesso perpetuo non soltanto per quanto riguarda i luoghi e le liturgie, ma anche negli apparati e nel suono.

Il 29 novembre 1729, P. Gugger e P. Franck si recarono al Palazzo Vaticano per assistere alla messa celebrata dal papa presso la Cappella Paolina. Nel diario di P. Gugger si legge: «ad Offertorium et post Elevationem Cantores Papales pulcherrimè cantabant». Il cerimoniale specifico prevedeva per il martedì dopo la Prima Domenica di Avvento una «Messa bassa, alla quale il nostro Collegio [dei musici] canta due Mottetti, uno all’Offertorio, che è Fratres, ego enim del Palestrina, e l’altro all’Elevazione, che è Comedite gentes, a due Chori» del medesimo compositore.[13] In quell’occasione, i due benedettini ascoltarono quindi due mottetti di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525ca.-1594), elementi permanenti del cerimoniale sonoro della cappella papale, reso perpetuo dalla ciclicità del calendario liturgico.

Il mantenimento di specifici repertori musicali in rapporto a particolari occasioni liturgiche – vere e proprie ‘colonne sonore’ permanenti di rituali devozionali perpetui – è un fenomeno complesso quanto assai difficile da indagare proprio per la natura stessa dell’evento sonoro, in ogni caso effimero.[14] Il celeberrimo caso che riguarda il Miserere di Gregorio Allegri – avvenimento sonoro irrinunciabile per il ‘grandturista’ che si trovava a Roma durante la Settimana Santa ed era in grado di garantirsi l’accesso alla Cappella Sistina – va inquadrato quindi all’interno di una fenomenologia più ampia e complessa.[15] Per il celeberrimo salmo di Allegri, come anche per i due mottetti di Palestrina citati in precedenza, è possibile individuare precisi riscontri nel cerimoniale pontificio. Non così per molti altri casi nei quali la mancanza di specifiche fonti documentarie non permette di dare un contesto pertinente alle assai spesso fin troppo generiche testimonianze fornite dai viaggiatori.
Al pari delle cappelle papali, è possibile che una parte non indifferente degli imponenti apparati sonori messi in atto in occasione delle cerimonie ordinarie e straordinarie del calendario liturgico urbano prevedesse una specifica sonorizzazione, riproposta annualmente insieme a pratiche esecutive peculiari in grado di connotarle, come nel caso dello straordinario apparato policorale previsto per la festa di S. Domenico presso la chiesa di S. Maria sopra Minerva.

Osservando gli itinerari seguiti dai benedettini svizzeri a Roma, è possibile individuare alcune significative coincidenze: prima fra tutte il pellegrinaggio alla basilica di S. Cecilia in Trastevere. La chiesa, oltre al corpo della santa e alla celebre statua marmorea realizzata da Stefano Maderno, ospitava le spoglie del cardinale Celestino Sfondrati (1644-1696), principe abate di San Gallo. Particolarmente sontuoso era il cerimoniale per la festività della santa, il 22 novembre, che prevedeva un sontuoso apparato musicale. Nel diario di P. Walser viene descritto in questi termini: «Fest. S. Caeciliae […] Vespere cum P. Michaële invisimus Ecclesiam S. Caeciliae Trastevere, quae erat praestantissimè exornata […] Hic audiebatur Musica mire elegans, quam produxit nobilissimus Romae magister, qui erat à servitiis Domino Cardinali Acquaviva».[16] Nella sua sinteticità, l’annotazione contiene alcuni preziosi riferimenti. L’elegante musica che P. Walser ascoltò durante il vespero nel novembre del 1748, era opera di un celeberrimo compositore che fu alle dipendenze del cardinale Aquaviva. Ciò che il benedettino svizzero poté ascoltare è con ogni probilità il vespero che Alessandro Scarlatti compose per la festa di S. Cecilia su commissione del cardinale Francesco Acquaviva d’Aragona (1665-1725), titolare della basilica dal 1709 al 1724.[17] Parrebbe quindi che la complessa partitura di Scarlatti, eseguita per la prima volta il 22 novembre 1721, sia stata mantenuta in uso come apparato sonoro specifico del cerimoniale liturgico in onore della santa ed eseguito ogni anno dai musici della Congregazione di S. Cecilia. Ciò dimostrerebbe che anche composizioni stilisticamente connotate – e non solo concepite nell’anacronistico stile antico potevano diventare parte sonora di un cerimoniale che la ciclicità del calendario liturgico rendeva perpetuo: elementi permanenti, che al pari di una pala d’altare, di una statua o di una reliquia potevano connotare in maniera specifica e distintiva una particolare cerimonia.[18]
Tre giorni dopo aver assistito al vespero di santa Cecilia, P. Walser inserì nel suo diario un ampio capitolo intitolato Musica italica. In esso sono presentate diverse prassi esecutive che si potevano ascoltare all’epoca a Roma. Una di esse descrive una situazione assai simile a quanto avviene nel Vespro di Santa Cecilia di Alessandro Scarlatti:

 

[…] in vesperis musica cum instrumentis producuntur tres psalmi, post quos symphonia pretiosior, qua finita breviter prosequuntur reliqua soli cantores cum organo, et gens recedit Ecclesia, utpote qua propter Musicam adstiterant facie et corpore non versus aram, sed versus organum converso. Antiphonas quandoquam per modum ariae producunt. [19]

 

Il cerimoniale devozionale urbano è una sorta di potente faro che in un preciso momento del calendario illumina un determinato spazio civico. Segna un punto sulla mappa verso il quale far convergere la massa di pellegrini. Fuori dal perimetro identificato dal cono di luce regna il rumore del quotidiano, quando non l’assoluto silenzio. Il 21 marzo 1700 P. Grass assiste alle celebrazioni in onore di S. Benedetto presso la chiesa benedettina di S. Callisto. La sua Guida angelica non segnala alcuna particolare celebrazione in onore del fondatore dell’ordine benedettino. P. Grass non può che confermarlo, sottolineando con disappunto nel proprio diario la scarsa partecipazione alla celebrazione, causata a suo giudizio dalla mancanza di un adeguato apparato musicale: «Musica tum figurata nulla fuit, et nemo fere ex populo venit»;[20] a riprova dell’importanza che un’adeguata sonorizzazione poteva avere nella definizione del grado di solennità di un evento (e nel favorire quindi la partecipazione di fedeli interessati ad ammirare l’apparato, quando non a una sincera partecipazione all’azione devozionale).
Il disappunto del benedettino sangallese riflette la diversa scala di valori con cui viene misurata l’importanza della specifica solennità di S. Benedetto. Ciò è sintomatico di un atteggiamento – in questo caso chiaramente manifestato, ma assai più spesso latente – che deve essere tenuto in debita considerazione: la proiezione da parte di viaggiatore del proprio orizzonte culturale come metro di confronto e di giudizio del presente. Ciò riguarda naturalmente anche la percezione sonora.

Emblematico in questo senso è la questione che riguarda la durata delle cerimonie: un aspetto che suscitava regolarmente lo stupore dei viaggiatori foresti, quando non il loro vivo disappunto (come nel caso di Leopold Mozart durante il suo viaggio in Italia insieme al giovane Wolfgang Amadeus, solo per citare un esempio assai noto).[21] In occasione della festività di S. Cecilia (22 novembre), oltre alla «festa solenne alla sua Chiesa in Trastevere», le guide per turisti e pellegrini dell’epoca segnalavano la partecipazione dei musici della Congregazione di S. Cecilia alla festa per la santa presso la chiesa di S. Carlo a’ Catenari.[22] È in questa chiesa che il 21 novembre 1699 P. Grass si recò per ascoltare il vespero. La celebrazione – annota il benedettino svizzero nel suo diario – durò ben due ore: fatto certamente degno di nota per un monaco sangallese; non insolito però a Roma, come ebbe modo di notare anche P. Walser, che il 13 giugno 1748 assistette a un vespero presso la chiesa di S. Antonio dei Portoghesi durante il quale «primus psalmus […] Dixit Dominus duravit circiter per horam». In questo caso, a sconcertare di più il benedettino fu però il comportamento indisciplinato dei quaranta musici che presero parte alla funzione: «Cantores adorabant, garriendo, ridendo, aliisque impertinentis tempo consumendo».[23]

Il fatto di considerare parallelamente diversi viaggi compiuti da monaci provenienti dal medesimo monastero permette di considerare convergenze e divergenze nella percezione di esperienze simili. Le occasioni possono essere state le stesse: non il modo in cui sono state percepite e registrate nei diversi diari di viaggio. Il 29 giugno 1700, giorno della festa dei santi Pietro e Paolo, P. Grass (dopo aver celebrato una messa nella celebre cappella Bramante a S. Pietro di Montorio) assiste alle solenni celebrazioni presso la basilica di S. Pietro in Vaticano. Nel proprio diario il benedettino fornisce una vivida descrizione dell’apparato musicale: «Musica quoque erat nobilissima divisa in quatuor choros, quintus autem chorus erat sublimatus in vertice cupulae, qui dum cantare incepit, pulcherrimum fecit concentum».[24] Quasi cinquant’anni più tardi, il 29 giugno 1748, anche P. Walser si reca a S. Pietro in Vaticano. Qui celebra una messa all’altare di S. Leone papa. Nel suo diario non annota però nulla sull’apparato sonoro in basilica. Fa menzione invece di una «novam machinam» costruita per l’occasione, soffermandosi a descrivere l’illuminazione della cupola e i fuochi d’artificio che conclusero le celebrazioni.[25]

Un caso simile riguarda le celebrazioni per la festa di S. Domenico presso la chiesa di S. Maria sopra Minerva. Il 4 agosto 1700 P. Grass assiste ai vesperi: «Musica valde solennis per 8. Choros distributa habebatur, antehac erat solennior et per 16. Choros divisa».[26] Nel diario di P. Walser, che assistette alla medesima funzione il 4 agosto 1748, si dedica più attenzione agli avvenimenti mondani che hanno fatto da cornice alla festa (il consumo di cioccolata, le corse in carrozza in Piazza Navona sommersa d’acqua), più che alla musica solenne eseguita durante la funzione liturgica, alla quale P. Walser riserva un unico lapidario giudizio: «placuit precipue in psalmum Laudate versus Et humilia respicit».[27]
La diversa rappresentazione può dipendere da vari fattori, non sempre evidenti né determinabili, in larga parte però legati alla sfera personale e soggettiva dello scrivente. Interessante è in questo senso l’analisi dei diari di P. Grass e di P. Müller, due narrazioni parallele di eventi in larga parte vissuti insieme (e probabilmente anche insieme riportati sulle pagine dei rispettivi diari), che però in molti punti denotano la diversa personalità e sensibilità dei due monaci. Un esempio particolarmente emblematico riguarda il carnevale del 1701. Il 31 gennaio entrambi i monaci assistono a una ‘commedia tradotta dal francese’ messa in scena presso il Collegio Clementino: con ogni probabilità, una traduzione del Polyeucte martyr di Pierre Corneille. La descrizione dello spettacolo fornita da P. Grass è piuttosto essenziale. Assai più lunga e dettagliata quella fornita da P. Müller, dalla quale si apprende, ad esempio, che tra i cinque atti dell’opera furono eseguiti intermezzi musicali e spettacoli circensi e di danza.[28] P. Müller ne fu così entusiasta che decise di assistere ad altre rappresentazioni le sere successive. Non invece P. Grass, che preferì rimanere nei propri alloggi.

Le biografie dei monaci sangallesi protagonisti dei soggiorni in Italia qui presi in considerazione sono accomunate da un dato che va sottolineato: nessuno di loro coltivava interessi musicali di tipo professionale. Se si escludono i casi di P. Gugger, che prese a Roma lezioni di mandola, e quello di P. Walser, dilettante di violino, non c’è traccia di specifiche attività musicali nelle loro biografie. Accanto alla formazione teologica, essi avevano spiccati interessi per la filosofia e la giurisprudenza e rivestirono incarichi di primo piano nella formazione e nella direzione del monastero. Principale obiettivo formativo del viaggio in Italia è il conseguimento della laurea in utroque iure presso lo studio giuridico della Sapienza. È un fatto che va tenuto presente in relazione alla qualità delle testimonianze sonore riferite nei loro diari. L’interesse per la musica è un elemento che riguarda la sfera culturale personale. Ciò si ripercuote in maniera significativa sulla strategie messe in atto nella narrazione di esperienze musicali.
Nei registri di spesa redatti da P. Bernhard Frank si fa riferimento ai pagamenti per un maestro di mandola.[29] Nel proprio diario di viaggio, però, P. Gugger non fa cenno a lezioni di musica.[30] Questo tipo di esperienza è considerata evidentemente legata alla sfera personale e quindi da non evocare nella relazione ufficiale del viaggio, se non per quanto concerne le spese che poteva comportare: oltre al compenso per il maestro di musica, per l’acquisto di corde di ricambio per lo strumento e di qualche partitura musicale.[31]

Diverso è l’atteggiamento di P. Walser, assai meno ‘uomo di legge’ e più ‘uomo di lettere’ rispetto a P. Gugger. A Roma egli poté dare sfogo ai suoi molteplici interessi culturali. Leggendo le pagine del suo diario, colpisce la vivace curiosità che quotidianamente lo spinse a visitare chiese, monasteri, biblioteche, palazzi, alla ricerca di libri, conoscenza, esperienze umane e culturali. Al rientro, la sera, lo attendeva di solito il suo maestro di musica. Approfittando del soggiorno romano, P. Walser si perfezionò nello studio del violino alla scuola di Bernardino Angelini, noto pluristrumentista, membro della compagnia dell’organista e camerlengo Sebastian Haym e dei musici di Campidoglio.[32] È Angelini a ‘iniziare’ il benedettino sangallese alle varietà delle forme e degli stili della musica che si potevano ascoltare all’epoca nelle chiese e nei palazzi di Roma: una lezione che P. Walser annota con grande attenzione nel proprio diario.[33]
La passione che P. Walser nutre per la musica per violino spiega perché abbia approfittato di ogni occasione per ascoltare a Roma il celebre virtuoso Pasqualino Bini, detto il Pasqualino, come durante la funzione celebrata il 25 luglio 1748 presso la chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli in occasione di un evento naturale davvero insolito. Poche manifestazioni naturali potevano colpire l’immaginario collettivo come un’eclissi solare. Quel giorno, P. Walser si recò dapprima presso il Collegio Romano. Mescolato alla folla di alti prelati, principi e nobiluomini, osservò l’inizio dell’eclissi attraverso un cannocchiale, sotto la guida del gesuita Ruggero Boscovich, tra i più noti astronomi dell’epoca. Quando il cielo si oscurò, il benedettino si recò alla chiesa di San Giacomo degli Spagnoli per partecipare a una cerimonia devozionale: l’interesse scientifico e naturalistico lasciava il posto all’atavico timore che simili eventi naturali potevano risvegliare. L’eccezionalità dell’evento non poteva non comportare una straordinaria sonorizzazione. Secondo quanto P. Walser annota nel suo diario, durante il periodo di oscuramento fu intonato un Crucifixus. Il ritorno della luce fu poi festeggiato con un vespero solenne. Protagonista della superba musica eseguita fu il celebre violinista Pasquale Bini, detto Pasqualino. La descrizione dell’evento fornita da P. Walser nel suo diario è assai interessante, oltre che per la qualità della scena, per il tentativo di descrivere l’emozione provata all’ascolto:[34]

 

Fuit Romae, sicut et alibi observata visibilis Ecclypsis solaris, circa horam 14, et mediam; duravit usque post horam 17.mam eandem ego observavi in Collegio romano, ubi per tubum species solis fuit traiecta in chartam delineatam; in qua observavi maculas solis, ingressum lunae in solem, et egressum; obscuratae fierunt in circa tres partes solis; lux tamen diei non fuit nisi aliquantulum obscurata, ut radii solares fuerint minus clari, quod tamen facile licuit advertere. eadem mane interfui summo officio in S. Giacomo dei Spagnoli in piazza Navona, non procul a Sapienza elegans ibidem Musica; praesertim Crucifixus etiam. Dum Diaconus Clericos incensabat, primus et alii ex illo latere manum pectori applicabant. redens post haec ad collegium Romanum notavi Diminutionem Ecclypsis.

Vespere in monte Cavallo in quadam Ecclesia, ubi S. Anna colebatur, Musicus unicus, psalterium mire sonans, prope aram S. Annae sedens, praesenti populo diu suavem Musicam exhibebat. R. P. Antoninus invisit D. Patrem Michaelem de Tugio Capue. Ego invisi Ecclesiam S. Iacobi dei Spagnoli, ubi vesperae solemni Musica usque ad horam 1. noctis circiter, h.e. horam 9.nam germanice decantabantur. Obstupui steteruntque comae, et vox faucibus haesit, dum ibidem stupendum plane audivi Violinistam, signore Pasqualinum nomine, Discipulum D. Tartini Musici Paduani famosissimi. produxit enim Violino solo tanta arte, suavitate mixta, ut sane humanam industriam superare videretur; et licet antea non exiguus in Ecclesia tumultus fuisset ob multitudinem populi, chelizante tamen Pasqualino silentium factum est magnum; absoluto solo, turmatim populus ex Ecclesia recessit.

 

La rappresentazione che un viaggiatore può offrire del paesaggio è legato in maniera determinante al momento in cui lo attraversa. Seguendo un percorso che era ormai divenuto tipico del Grand tour in Italia almeno dalla fine del Seicento, i benedettini svizzeri raggiunsero Napoli.[35] Il soggiorno nella città partenopea fu breve. Nelle pagine dei loro diari, la visita ad alcuni monumenti della città (soprattutto chiese e monasteri) e ai suggestivi dintorni (il Vesuvio, i Campi Flegrei, Pozzuoli, varie rovine romane) appare a tratti quasi frenetica. Scorrendo le ampie descrizioni delle giornate trascorse a Napoli, tuttavia, stupisce non trovare alcun riferimento a una delle maggiori attrazioni che la città poteva offrire all’epoca ai suoi visitatori: la produzione operistica. Si potrebbe supporre che ciò sia dovuto a una scelta deliberata, dettata dal fatto che i visitatori in questione erano monaci. A Roma, tuttavia, essi parteciparono in molte occasioni a rappresentazioni di varia natura. P. Grass e P. Müller assistettero in diverse occasioni agli spettacoli organizzati dal cardinale Pietro Ottoboni nella propria residenza. P. Gugger e P. Frank parteciparono a rappresentazioni andate in scena nel teatro fatto costruire dal cardinale all’interno del Palazzo della Cancelleria, su progetto del celebre architetto Filippo Juvarra.[36] Riferimenti a festeggiamenti, parate, banchetti, spettacoli, persino a sagre popolari non si contano nei loro diari di viaggio. Che dei monaci potessero prendere parte alla vita mondana (pur con la moderazione richiesta all’abito che indossavano), andando anche all’opera, rientrava tra le licenze concesse dallo statuto del viaggio in Italia, patria di molti tesori culturali, tra cui la musica. Caso parallelo emblematico, in quel periodo è possibile documentare la presenza di benedettini svizzeri agli spettacoli operistici andati in scena presso il Teatro regio di Milano, un’occasione straordinaria non solo per ascoltare ‘bella musica’, ma anche per farne incetta: arie, duetti, musica strumentale, da riutilizzare (con le dovute elaborazioni e contraffazioni) nelle grandi occasioni del calendario liturgico del monastero.[37]

Per spiegare la mancanza di riferimenti alla produzione operistica napoletana nei diari dei monaci sangallesi occorre osservare con attenzione le date dei loro passaggi. P. Grass e P. Müller trascorsero a Napoli una decina di giorni, a metà ottobre dell’Anno Santo 1700; le altre due coppie soggiornarono durante la Quaresima e la Settimana Santa. In entrambi i casi si tratta di periodi nei quali i teatri d’opera erano chiusi. La fisionomia sonora del paesaggio urbano appare diversa. Mentre visitano la città, P. Gugger e P. Frank (che soggiornarono a Napoli solo per tre notti) incrociano il  17 marzo 1730 ben due diverse processioni: la prima dedicata a S. Evaristo, la seconda a S. Giuseppe. Entrambe prevedevano la presenza di un folto gruppo vocale e strumentale, che precedeva con canti e balli il sacerdote, seguito da un’immensa folla «sine ordine, ac clamore et tumulto magno».[38]

Il calendario liturgico poteva connotare in maniera forte il paesaggio sonoro urbano: assai meno le scelte personali dei viaggiatori, fossero essi anche due monaci benedettini. P. Walser e P. Rüttimann raggiunsero Napoli il 23 marzo 1748, Domenica di Passione.[39] In compagnia di due ufficiali della guardia svizzera, visitarono Napoli e dintorni, muovendosi in carrozza. La Domenica delle Palme parteciparono alla messa nella cappella palatina e assistettero alla colazione del re a Palazzo Reale (dove poterono ammirare dal vivo un elefante). Ripartirono alla volta di Roma la mattina del Sabato Santo. Fu in carrozza attraverso l’Agro Pontino che i due benedettini trascorsero la Domenica di Pasqua, per giungere a Roma tre giorni più tardi, senza aver assistito ad alcuna particolare celebrazione pasquale durante il viaggio.

In una nota inserita all’inizio del proprio diario, P. Walser afferma che quanto scritto sia soltanto una fedele riproposizione dei propri ricordi e appunti presi durante il viaggio, rinviando a un’altra occasione una più accurata redazione della narrazione del suo soggiorno in Italia.[40] Osservando con attenzione il contenuto del suo diario, è evidente però che questa affermazione vada presa con cautela. Il testo, infatti, è il frutto di un ampio e complesso lavoro di elaborazione, stilistica ma anche contenuntistica, dei propri ricordi e appunti di viaggio, integrati con una vasto insieme di citazioni, riferimenti, rielaborazioni di altre fonti, spesso nemmeno esplicitamente dichiarate. Ciò fa del diario di P. Walser la fonte certamente più elaborata dal punto di vista letterario, tra i resoconti di viaggio dei monaci sangallesi qui presi in esame. Il progetto di dare vita a un prodotto più raffinato, destinato forse anche a una sua pubblicazione, rimase però incompiuto. Nel diario mancano alcune parti sia del viaggio di andata, sia di quello di ritorno. Rientrato a San Gallo il 22 maggio 1749, P. Walser fu nominato docente di filosofia presso il locale ginnasio. Dovette poi occuparsi della compilazione di un volume di memorabilia del monastero.[41] Mise mano, in quel periodo, anche alla stesura della quinta parte del suo Philosophus irresolutus, dal titolo Philosophus curiosus: un tomo di oltre cinquecento pagine, pubblicato nel 1751. È assai probabile quindi che gli sia mancato il tempo per completare il proprio diario romano. In questa forma fu incamerato nel fondo dell’archivio del monastero e collocato accanto al diario romano redatto vent’anni prima da P. Gugger, dal 1740 principe abate del monastero di San Gallo e principale mentore di P. Walser.

Dopo il rientro a San Gallo, P. Walser diventò uno dei più stretti collaboratori dell’abate Gugger nel processo di rinnovamento del monastero da lui avviato: un ambizioso progetto che ha comportato non soltanto l’imponente ristrutturazione architettonica attraverso la quale l’antico monastero medievale è stato trasformato nella sontuosa corte ecclesiastica barocca che oggi conosciamo, ma anche una ridefinizione di diversi altri aspetti della vita culturale del monastero. Sotto la reggenza dell’abate Gugger, compositori svizzeri di primo piano, come Franz Joseph Leonti Meyer von Schauensee (1720-1789), furono attirati a San Gallo. In quegli anni il monastero, dotato da oltre un secolo di una propria stamperia, si attrezzò per stampare in proprio anche libri di musica, rendendo disponibile a stampa una produzione musicale concepita in loco. Secondo Cesare de Seta, «l’effetto […] del Grand Tour non si risolve nell’esperienza personale di chi lo vive, ma diviene un fattore essenziale nella trasformazione del gusto dei paesi d’origine».[42] Future indagini dovranno chiarire fino a che punto esperienze del vissuto dei protagonisti dei viaggi in Italia qui presi in considerazione possano aver partecipato alla definizione del nuovo orizzonte estetico e culturale che ha segnato l’ultima, grandiosa stagione del monastero benedettino di San Gallo, prima della sua chiusura in epoca napoleonica.

 

 

Riferimenti bibliografici

A. Adami, Osservazioni per ben regolare il coro dei cantori della Cappella Pontificia tanto nelle funzioni ordinarie, che straordinarie, Roma, Antonio de’ Rossi, 1711; ristampa a cura di Giancarlo Rostirolla, Lucca, LIM, 1988 (Musurgiana, 1).

V. Agnew, Enlightenment Orpheus. The Power of Music in Other Worlds, Oxford, Oxford University Press, 2008.

R. Babel, W. Paravicini (eds.), Grand Tour. Adeliges Reisen und europäische Kultur vom 14. bis zum 18. Jahrhundert (atti di convegno: Villa Vigoni 1999, Deutsches Historisches Institut Paris 2000), Ostfildern, Jan Thorbecke, 2005 (Beihefte der Francia, 60).

F. Bassani, Musiche policorali nella Chiesa del Gesù: aspetti di prassi esecutiva, in C. Giron-Panel, A.-M. Goulet (eds.), La musique à Rome au XVIIe siècle. Etudes et perspectives de recherche, Roma, Ecole française de Rome, 2013 (Collection de l’Ecole française de Rome, 466), pp. 357-377.


A. Basso, I Mozart in Italia. Cronistoria die viaggi, documenti, lettere, dizionario die luoghi e delle persone, Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 2006 (L’arte armonica. Serie 4. Iconografia e Cataloghi, 3)

J. Black, Italy and the Grand Tour, New Haven, Yale University Press, 2003.


G. Botta (ed.), Cultura del viaggio. Ricostruzione storico-geografica del territorio, Milano, Unicopli, 1989.


A. Brilli, Il grande racconto del viaggio in Italia. Itinerari di ieri per viaggiatori di oggi, Bologna, il Mulino, 2014.

A. Brilli, Quando viaggiare era un’arte. Il romanzo del Grand Tour, Bologna, il Mulino, 1995.

G.P. Brizzi, La pratica del viaggio di istruzione in Italia nel sei-Settecento, «Annali dell’Istituto Storico Italo-Germanico in Trento», 2, 1976, pp. 203-291.


D. Bryant, E. Quaranta, Music and Musicians in Late Seventeenth- and Early Eighteenth-Century Venice: A Guide for Foreigners, in A.-M. Goulet, G. zur Nieden (eds.), Europäische Musiker in Venedig, Rom und Neapel (1650-1750) / Les musiciens européens à Venise, Rome et Naples (1650-1750) / Musicisti europei a Venezia, Roma e Napoli (1650-1750), Kassel, Bärenreiter, 2015 (Analecta musicologica, 52), pp. 87-117.

G. Castellani (ed.), Musik aus Klöstern des Alpenraums. Bericht über den Internationalen Kongress an der Universität Freiburg (Schweiz), 23. Bis 24. November 2007, Bern, Peter Lang, 2010 (Publikationen der Schweizerischen Musikforschenden Gesellschaft. Serie 2, 55)

L. Collarile, Milano-Einsiedeln via Bellinzona (1675–1852): circolazione e recezione di musica italiana nei monasteri benedettini della Svizzera interna, «Schweizer Jahrbuch für Musikwissenschaft», 30, 2010, pp. 117-161.


L. Collarile, Musikalische Erlebnisse von St.Galler Benediktinern auf ihrer Grand Tour durch Italien (1699-1749), in P. Erhart, J. Kuratli Hüeblin (eds.), Vedi Napoli e poi muori. Grand Tour der Mönche, St. Gallen, Verlag am Klosterhof, 2014, pp. 154-168.

C. de Seta, Il fascino dell’Italia nell’età moderna. Dal Rinascimento al Grand Tour, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2011.

C. de Seta, L’Italia nello specchio del Grand Tour, Milano, Rizzoli, 2014.

M. Engelhardt, C. Flamm (eds.), Musik in Rom im 17. und 18. Jahrhundert: Kirche und Fest, Laaber, Laaber Verlag, 2004 (Analecta Musicologica 33).

P. Erhart, Diarium Romani itineris. Die Grand Tour zweier St.Galler Mönche nach Rom und Neapel im Jubeljahr 1700, in R. Martinoni, E. Tremp (eds.), Sankt Gallen und Italien / San Gallo e l’Italia, St.Gallen, Verlag am Klosterhof, 2008, pp. 87-123.

P. Erhart, L. Collarile (eds.), Itinera Italica. Römische Tagebücher aus dem Kloster Sankt Gallen / Diari romani dal monastero di San Gallo, 2 voll., St.Gallen, Stiftsarchiv / Bolzano-Wien, Folio Verlag, 2015-2016.


P. Erhart, J. Kuratli Hüeblin (eds.), Vedi Napoli e poi muori. Grand Tour der Mönche, St. Gallen, Verlag am Klosterhof, 2014.

D. Fabris, Italian Soundscapes: Souvenirs from the Grand Tour, in D. Fabris, M. Murata (eds.), Passaggio in Italia. Music on the Grand Tour in the Seventeenth Century, Turnhout, Brepols, 2015, pp. 23-32.

M. Fagiolo, La festa barocca, Roma, Edizioni De Luca, 1997 (Corpus delle feste a Roma, 1).


S. Franchi, Drammaturgia romana, 2 voll., Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1988-1997.


J. W. von Goethe, Italienische Reise, a cura di H. von Einem, München, Deutscher Taschenbuch Verlag, 1997.

J. W. von Goethe, Viaggio in Italia, trad. di Emilio Castellani, Milano, Mondadori, 1983.

S. Gallonio, La nuova guida angelica perpetua romana per visitare le chiese dentro, e fuori di Roma, ove si celebrano le feste, e stationi, con le notitie delle reliquie, che in esse vi sono, Roma, s.n., 1710.

R. Henggeler, Professbuch der fürstlichen Benediktinerabtei der Heiligen Gallus und Otmar zu St. Gallen, Zug, Eberhard Kalt-Zehnder, 1929 (Monasticon-Benedictinum Helvetiae, 1).

C. Hibbert, The Grand Tour, London, Thames Methuen, 1987.


B. Kägler, G. zur Nieden, ‘Die schönste Musik zu hören’. Europäische Musiker im barocken Rom, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 2012.


J. Imorde, J. Pieper (eds.), Die Grand Tour in Moderne und Nachmoderne, Tübingen, Walther de Gruyter, 2008.

H. J. Jans, Introduzione, in A. Scarlatti, Vespro di Santa Cecilia, a cura di H. J. Jans, Roma, Accademia di Santa Cecilia, 2012, pp. 11-24.

J. Mabillon, Museum Italicum seu collectio veterum scriptorum ex bibliotheciis italicis, 2 voll., Paris, D. Martin, J. Boudot et S. Martin, 1687-1689.


B. de Montfaucon, Diarium Italicum, sive monumentorum veterum, bibliothecarum, musaeorum, &c. notitiae singulares in itinerario italico collectae, Paris 1702.

A. Morelli, ‘Musica nobile e copiosa di voci et istromenti’. Spazio architettonico, cantori e palchi in relazione ai mutamenti di stile e prassi nella musica da chiesa fra Sei e Settecento, in M. Engelhardt, C. Flamm (eds.), Musik in Rom im 17. und 18. Jahrhundert: Kirche und Fest, Laaber, Laaber Verlag, 2004 (Analecta Musicologica 33), pp. 293-220.

M. Murata, Musical Encounters Public and Private, in D. Fabris, M. Murata (eds.), Passaggio in Italia. Music on the Grand Tour in the Seventeenth Century, Turnhout, Brepols, 2015, pp. 35-51.

R. Pagano, Alessandro and Domenico Scarlatti. Two Lives in One, Hillsdale, Pendragon Press, 2006.

B. Poensgen, Die römischen Psalm- und Vespervertonungen Alessandro Scarlattis unter besonderer Berücksichtigung der ‘Cäcilien-Vesper’ von 1720/21, in M. Engelhardt, C. Flamm (eds.), Musik in Rom im 17. und 18. Jahrhundert: Kirche und Fest, Laaber, Laaber Verlag, 2004 (Analecta Musicologica 33), pp. 237-263.

P. Prosser, Uno sconosciuto metodo manoscritto (1756). Considerazioni sull’identificazione della mandora nel XVIII secolo in M. Tiella, R. Vettori (a cura di), Strumenti per Mozart, Rovereto, Longo, 1991, pp. 293-335.

G. Rostirolla, Maestri di cappella, organisti, cantanti e strumentisti attivi in Roma nella metà del Settecento, da un manoscritto dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia, «Note d’archivio per la storia musicale», 2, 1984, pp. 195-269.

K. Schiltz, Gregorio Allegris Miserere im Reiseberichten des 18. und 19. Jahrhunderts, in A. Zedler, J. Zedler (eds.), Printenrollen 1715/16. Wittelsbacher in Rom und Regensburg, München, Herbert Utz Verlag, 2016, pp. 223-256.

A. Zedler, J. Zedler (eds.), Prinzenrollen 1715/16. Wittelsbacher in Rom und Regensburg, München, Herbert Utz Verlag, 2016.

T. Weißman, Der Palazzo della Cancelleria als Bühne der ‘ostentativaen Verschwendung’. Kunst, Musik und Feste am Hof Kardinal Pietro Ottobonis, in B. Over (a cura di), La fortuna di Roma. Italienische Kantaten und römische Aristokratie um 1700, Kassel, Merseburger, 2016 (MARS – Musik und Adel im Rom des Sei- und Settecento, 3), pp. 431-462.

 

 

 

 

[1] I materiali offerti in questo studio sono stati raccolti nell’ambito di un progetto di ricerca promosso dallo Stiftsarchiv di San Gallo (Svizzera), sotto la direzione di Peter Erhart, finalizzato allo studio di alcuni diari di viaggio di benedettini sangallesi del Settecento. Un primo contributo alla riscoperta di queste fonti è stato offerto in P. Erhart, L. Collarile (eds.), Itinera Italica. Römische Tagebücher aus dem Kloster Sankt Gallen. Diari romani dal monastero di San Gallo, 2 voll., St.Gallen, Stiftsarchiv / Bolzano-Wien, Folio Verlag, 2015-2016. Si veda anche: P. Erhart, Diarium Romani itineris. Die Grand Tour zweier St.Galler Mönche nach Rom und Neapel im Jubeljahr 1700, in R. Martinoni, E. Tremp (eds.), Sankt Gallen und Italien / San Gallo e l’Italia, St.Gallen, Verlag am Klosterhof, 2008, pp. 87-123; P. Erhart, J. K. Hüeblin (eds.), Vedi Napoli e poi muori. Grand Tour der Mönche, St. Gallen, Verlag am Klosterhof, 2014. Un’edizione critica delle fonti è attualmente in preparazione a cura dello Stiftsarchif di San Gallo.

[2] Stiftarchiv St.Gallen, Rubrik 29, Faszikel 8 (Elogium et itinerarium ex S. Gallo Romam eminent.mi et Rever. S. P. E. Card.is Caelestini Sfondrati).

[3] Stiftarchiv St.Gallen, Rubrik 29, Faszikel 8 (Tagebuch Pillier).

[4] Il diario di P. Lukas Grass è conservato presso lo Stiftsarchiv di San Gallo (B. 286; d’ora in poi, ‘Diaro di P. Grass’). Quello di P. Müller si trova invece nel fondo della Stiftsbibliothek del monastero di Einsiedeln (Ms. 465; d’ora in poi, ‘Diario di P. Müller’). Cfr. P. Erhart, Diarium Romani itineris. Die Grand Tour zweier St.Gallen Mönche nach Rom und Neapel im Jubeljahr 1700, in R. Martinoni, E. Tremp (eds.), Sankt Gallen und Italien / San Gallo e l’Italia, St.Gallen, cit., pp. 87-123.

[5] Stiftarchiv St.Gallen, Ms. 1934; d’ora in poi, ‘Diario di P. Gugger’.

[6] Stiftarchiv St.Gallen, Ms. 1935; d’ora in poi, ‘Diario di P. Walser’.

[7] Un primo contributo è stato offerto in: L. Collarile, Musikalische Erlebnisse von St.Galler Benediktinern auf ihrer Grand Tour durch Italien (1699-1749), in P. Erhart, J. Kuratli Hüeblin (eds.), Vedi Napoli e poi muori. Grand Tour der Mönche, St. Gallen, Verlag am Klosterhof, 2014, pp. 154-168. Questo studio si inquadra all’interno di un progetto più ampio, dedicato all’analisi dell’esperienza sonora nel racconto del Grand Tour. Interessanti spunti di ricerca in questa prospettiva si leggono in: V. Agnew, Enlightenment Orpheus. The Power of Music in Other Worlds, Oxford, Oxford University Press, 2008; e D. Fabris, M. Murata (eds.), Passaggio in Italia. Music on the Grand Tour in the Seventeenth Century, Turnhout, Brepols, 2015. Tra i contributi più recenti, all’interno della vasta letteratura dedicata al fenomeno del Grand Tour europeo, è opportuno ricordare: A. Brilli, Quando viaggiare era un’arte. Il romanzo del Grand Tour, Bologna, il Mulino, 1995; J. Black, Italy and the Grand Tour, New Haven, Yale University Press, 2003; R. Babel, W. Paravicini (eds.), Grand Tour. Adeliges Reisen und europäische Kultur vom 14. bis zum 18. Jahrhundert (atti di convegno: Villa Vigoni 1999, Deutsches Historisches Institut Paris 2000), Ostfildern, Jan Thorbecke, 2005 (Beihefte der Francia, 60); J. Imorde, J. Pieper (eds.), Die Grand Tour in Moderne und Nachmoderne, Tübingen, Walther de Gruyter, 2008; A. Brilli, Il grande racconto del viaggio in Italia. Itinerari di ieri per viaggiatori di oggi, Bologna, il Mulino, 2014; C. de Seta, L’Italia nello specchio del Grand Tour, Milano, Rizzoli, 2014.

[8] Un ritratto biografico dei monaci sangallesi si legge in R. Henggeler, Professbuch der fürstlichen Benediktinerabtei der Heiligen Gallus und Otmar zu St. Gallen, Zug, Eberhard Kalt-Zehnder, 1929 (Monasticon-Benedictinum Helvetiae), ad nomen.

[9] Unica parziale eccezione tra le fonti qui prese in considerazione, è data dal diario di P. Jodok Müller. Esso fu redatto, congiuntamente a quello di P. Lukas Grass, per gli atti del monastero di San Gallo. Il suo diario è però attualmente conservato nel fondo della biblioteca del monastero benedettino di Einsiedeln (Svizzera). La presenza del diario a S. Gallo è attestata nell’Inventarium oder Verzeichnus [sic] aller büecher, welche in dem Archiv des Fürstlichen Gottshaus St.Gallen aufbehalten seÿnd- Sub celsissimo ac Revdmo S.R.I. Principe D.no Beda in hunc ordinem digestum per Adm R.R.P. Deicolam Custor Capit: Mon[aste]rij S. Galli, ac p.t. Secretarium & Archivita[m], redatto da P. Deicola Custor nel 1779. Il riferimento non contiene però il nuovo numero di collocazione, indice del fatto che il diario di P. Müller non si trovasse più nel fondo dello Stiftsarchiv di San Gallo. Non è chiaro in quale contesto e per quale ragione esso sia stato inviato a Einsiedeln, dove è giunto negli anni immediatamente precedenti al 1779. È possibile che il diario sia stata ceduto al monastero confratello perché considerato una sorta di doppione di quello di P. Lukas Grass: le due redazioni sono, infatti, molto simili, a tratti addirittura identiche. Una volta giunto a Einsiedeln, il diario di P. Müller fu conservato nel fondo della biblioteca del monastero (non in archivio), a disposizione quindi dei monaci che ne avessero fatto richiesta per leggerlo. Al pari di altre fonti letterarie a stampa disponibili all’epoca – primi fra tutti, il Museum italicum di P. Jean Mabillon (1687) e il Diarium italicum di P. Bernard de Montfaucon (1702) – è probabile quindi che il diario di P. Müller abbia rappresentato per i confratelli di Einsiedeln una fonte documentaria da prendere in considerazione per la preparazione di possibili viaggi verso l’Italia.

[10] Una traduzione in italiano del testo latino originale del diario di viaggio si legge in P. Erhart, L. Collarile (eds.), Itinera italica, vol. 1, cit., pp. 85-95.

[11] Cfr. P. Erhart, L. Collarile (eds.), Itinera Italica, vol. 2, cit., pp. 53-54.

[12] Stiftsarchiv St.Gallen, B. 327, pp. 602.

[13] A. Adami, Osservazioni per ben regolare il coro dei cantori della Cappella Pontificia tanto nelle funzioni ordinarie, che straordinarie, Roma, Antonio de’ Rossi, 1711; ristampa a cura di G. Rostirolla, Lucca, LIM, 1988 (Musurgiana, 1), p. 98.

[14] Sulle potenzialità offerte dall’analisi delle guide per turisti e pellegrini come fonti per la ricostruzione del cerimoniale sonoro urbano si veda, a proposito del contesto veneziano tra Sei e Settecento: D. Bryant, E. Quaranta, Music and Musicians in Late Seventeenth - and Early Eighteenth-Century Venice: A Guide for Foreigners, in A.-M. Goulet, G. zur Nieden (eds.), Europäische Musiker in Venedig, Rom und Neapel (1650-1750) / Les musiciens européens à Venise, Rome et Naples (1650-1750) / Musicisti europei a Venezia, Roma e Napoli (1650-1750), Kassel, Bärenreiter, 2015 (Analecta musicologica, 52), pp. 87-117.

[15] Cfr. K. Schiltz, Gregorio Allegris Miserere im Reiseberichten des 18. und 19. Jahrhunderts, in A. Zedler, J. Zedler (eds.), Printenrollen 1715/16. Wittelsbacher in Rom und Regensburg, München, Herbert Utz Verlag, 2016, pp. 223-256.

[16] Diario di P. Walser, cc. 299r-v.

[17] Cfr. L. Collarile, Musikalische Erlebnisse, cit., pp. 157-159. A proposito del vespero di Scarlatti si veda: B. Poensgen, Die römischen Psalm- und Vespervertonungen Alessandro Scarlattis unter besonderer Berücksichtigung der ‘Cäcilien-Vesper’ von 1720/21, in M. Engelhardt, C. Flamm (eds.), Musik in Rom im 17. und 18. Jahrhundert: Kirche und Fest, Laaber, Laaber Verlag, 2004 (Analecta Musicologica 33), pp. 237-263; e H. J. Jans, Introduzione, in A. Scarlatti, Vespro di Santa Cecilia, a cura di H. J. Jans, Roma, Accademia di Santa Cecilia, 2012, pp. 11-24.

[18] Cfr. J.W. von Goethe, Italienische Reise, a cura di H. von Einem, München, Deutscher Taschenbuch Verlag, 1997; edizione online: Spiegel Online http://gutenberg.spiegel.de/buch/italienische-reise-3682/23 (consultato il 22 maggio 2018), Roma, Basilica di S. Cecilia, 22 novembre 1786: «Eine schöne Art musikalischer Aufführung hört’ ich hier. Wie man Violin — oder andere Konzerte hat, so führen sie Konzerte mit Stimmen auf, daß die eine Stimme, der Sopran z. B., herrschend ist und solo singt, das Chor von Zeit zu Zeit einfällt und ihn begleitet, es versteht sich, immer mit dem ganzen Orchester. Es tut gute Wirkung»; per una traduzione italiana si veda: J. W. von Goethe, Viaggio in Italia, trad. di Emilio Castellani, Milano, Mondadori, 1983, p. 156. La descrizione della musica ascoltata da Goethe il 22 novembre 1786 nella basilica di S. Cecilia, in occasione del vespero in onore della santa, è perfettamente compatibile con la partitura di Alessandro Scarlatti. È possibile quindi che il vespero del celebre compositore, scritto per il cardinale Acquaviva e eseguito per la prima volta nel 1721, abbia rappresentato l’apparato musicale specifico della locale festa di S. Cecilia probabilmente fino all’età napoleonica.

[19] Diario di P. Walser, c. 303v. Per una puntuale ricognizione di questa importante testimonianza si rinvia a L. Collarile, Il suono dell’Italia nei diari di viaggio di benedettini svizzeri (1630-1760), in preparazione.

[20] Diario di P. Grass, c. 64v.

[21] «Das Dies irae von diesem Requiem dauerte gegen 3 viertlstund um 2 uhr Nachmittag war alles aus»: è quanto scrisse Leopold Mozart in una lettera inviata alla moglie il 10 febbraio 1770, dopo aver partecipato con il giovane Wolfgang Amadeus alle esequie solenni del marchese Antonio Litta Visconti Arese a Milano. Cfr. W. A. Mozart, Briefe und Aufzeichnungen, 8 voll., Kassel, Bärenreiter, 1962-2006 – Edizione online: <http://dme.mozarteum.at/DME/objs/raradocs/transcr/pdf/BD_160.pdf> (consultata il 28 febraio 2018). Cfr. A. Basso, I Mozart in Italia. Cronistoria die viaggi, documenti, lettere, dizionario die luoghi e delle persone, Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 2006 (L’arte armonica. Serie 4. Iconografia e Cataloghi, 3), p. 179: «Il Dies irae di questo requiem durò all’incirca 3 quarti d’ora, alle 2 del pomeriggio era tutto finito, così pranzammo alle 2 e mezza».

[22] Cfr. S. Gallonio, La nuova guida angelica perpetua romana per visitare le chiese dentro, e fuori di Roma, ove si celebrano le feste, e stationi, con le notitie delle reliquie, che in esse vi sono, Roma, s.n., 1710, p. 73: «festa in S. Carlo a’ Catenari, che la celebra la Congreg[azione] de Musici nella loro Cappel[la]».

[23] Diario di P. Walser, cc. 31r-v.

[24] Diario di P. Grass, c. 96r.

[25] Diario di P. Walser, c. 112v.

[26] Diario di P. Grass, c. 105r.

[27] Diario di P. Walser, c. 163r.

[28] Diario di P. Müller, c. 135r-138r.

[29] Stiftarchiv St.Gallen, B. 327, pp. 574-630.

[30] L’11 settembre 1730, ad esempio, furono versati 1 scudo e 5 giulii al maestro di mandola di P. Gugger: Stiftarchiv St.Gallen, B. 327, p. 623; nessun cenno di questa attività compare nel diario ufficiale. Non è chiaro che tipo di strumento abbia suonato P. Gugger. L’uso della mandola a plettro era ben attestato a Roma all’epoca. È possibile però che si tratti di una mandora, un grosso liuto a sei corde assai diffuso a nord delle Alpi, ma anche in Italia: cfr. P. Prosser, Uno sconosciuto metodo manoscritto (1756). Considerazioni sull’identificazione della mandora nel XVIII secolo in M. Tiella, R. Vettori (a cura di), Strumenti per Mozart, Rovereto, Longo, 1991, pp. 293-335.

[31] Nel registro delle spese di viaggio, il 9 giugno 1730 si fa riferimento al pagamento di 1 scudo e 5 giulii «für ein neue Composition in der Music des deus in adjutorium ad vesperas, auch deren Abschreibung»: Stiftarchiv St.Gallen, B. 327, p. 615. Si tratta con ogni probabilità di una composizione ascoltata presso la basilica di S. Maria Maggiore, la cui bellezza aveva così colpito i due monaci sangallesi da richiedere una copia della partitura. Tre mesi più tardi, il 19 settembre, è registrata la spesa di due scudi «für geschriebene Sonate und Instruction in allen Thonen, auf das Mandola»: id., p. 624.

[32] G. Rostirolla, Maestri di cappella, organisti, cantanti e strumentisti attivi in Roma nella metà del Settecento, da un manoscritto dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia, «Note d’archivio per la storia musicale», 2, 1984, pp. 195-269: 233.

[33] Diario di P. Walser, cc. 128v-129r (13 luglio 1748): «cum accessissem D. Bernardinum Angelini meum in Violino Magistrum, et fermo incidisset de Musica Italica, ardenter contra eam detonuit, tanquam scandalosam, atque potius in theatris quam in Domo Dei, in Ecclesia produci posset; videri eius fructum, scilicet praesentium exiguam Devotionem, Dum pene omnes, obverso altari tergo, versus musicos sese firmiter sistunt, animis musicae intentis. Laudavit vero eximiė D. Josephum Tartini Musicum Paduanum, ubi defacto commoratur, velut praecipuum et nominatissimum his temporibus Violinistam; id eius artem adhuc magis commendat, quod licet oculos habeat debilissimos eosque per specillis instructos chartae non parum adiungere debeat, ita tamen in suo opere pergat, ut vere cognoscatur esse Padrone del Violino, ut loquuntur itali, seu Dominus et plenus possessor Violini».

[34] Diario di P. Walser, pp. 150-151. Si fornisce una traduzione del passo citato: «A Roma come anche altrove, si è potuta osservare intorno alle 14.30 un’eclissi solare. Durò fino a dopo le ore 17. Io potei osservarla presso il Collegio Romano. Lì l’immagine del sole fu proiettata su un foglio rigato attraverso un cannocchiale. Ho potuto osservare in questo modo le macchie solari, l’arrivo e l’uscita della luna davanti al disco solare. Circa tra quarti del sole furono oscurati. La luce del giorno, tuttavia, diminuì solo in parte, quando i raggi del sole divennero più deboli: cosa che si poté facilmente constatare. Quel medesimo giorno partencipai all’ufficio nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli in Piazza Navona, non molto distante dalla Sapienza. La musica fu molto elegante, in particolare un Crucifixus etiam. Mentre un diacono incensava i chierici, l’uno e gli altri si portavano una mano al petto. Dopo essere ritornato al Collegio Romano, osservai la fine dell’eclissi. La sera a Monte Cavallo, dove si venera Sant’Anna, si esibì da solo un musicista, che suonava il salterio in maniera straordinaria. Seduto davanti all’altare di Sant’Anna, offrì a lungo splendida musica al pubblico che era presente. P. Antonin andò da P. Michael, appartenente all’ordine dei Cappuccini di Zugo. Io mi recai alla chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, dove fino alla prima ora della notte (cioè fino alle ore 9 di sera, secondo il computo tedesco) furono cantati i vesperi con musica solenne. Rimasi estasiato, i capelli mi si rizzarono, la voce mi si seccò in gola, mentre qui ascoltai uno straordinario violinista, di nome Pasqualino, allievo del celeberrimo Tartini, musicista di Padova. Egli eseguì un assolo con così tanta bravura e raffinatezza, che sembrò superare le capacità umane. Sebbene ci fosse parecchio rumore in chiesa a causa della folla dei fedeli presenti, quando Pasqualino incominciò a suonare, ci fu immediatamente un assoluto silenzio. Al termine del suo solo, i fedeli lasciarono la chiesa».

[35] A proposito della scoperta del Sud Italia cfr. C. de Seta, L’Italia nello specchio del Grand Tour, cit., pp. 251-253.

[36] A proposito del teatro fatto costruire dal cardinale Ottoboni nella propria residenza si veda T. Weißman, Der Palazzo della Cancelleria als Bühne der ‘ostentativaen Verschwendung’. Kunst, Musik und Feste am Hof Kardinal Pietro Ottobonis, in B. Over (ed.), La fortuna di Roma. Italienische Kantaten und römische Aristokratie um 1700, Kassel, Merseburger, 2016 (MARS – Musik und Adel im Rom des Sei- und Settecento, 3), pp. 431-462.


[37] Nell’autunno del 1754, P. Nikolaus Imfeld, abate del monastero benedettino di Einsiedeln, visitò Milano: appena arrivato in città, in compagnia di altri due benedettini si recò al Teatro regio per ascoltare l’opera buffa Calamita di cuori di Baldassare Galuppi, su libretto di Carlo Goldoni: cfr. L. Collarile, Milano-Einsiedeln via Bellinzona (1675–1852): circolazione e recezione di musica italiana nei monasteri benedettini della Svizzera interna, «Schweizer Jahrbuch für Musikwissenschaft», 30, 2010, pp. 117-161: 132-133.


[38] Diario di P. Gugger, pp. 170-178: 177.

[39] Cfr. P. Erhart, L. Collarile (eds.), Itinera Italica, vol. 2, cit., pp. 227-250.

[40] Diario di P. Walser, c. non numerata, verso del frontespizio: «accuratiori […] methodo».

[41] Stiftsarchiv St.Gallen, B. 288.

[42] C. de Seta, Il fascino dell’Italia nell’età moderna. Dal Rinascimento al Grand Tour, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2011, p. 113.

 


Tags

PAESAGGI SONORI , MUSICA , VIAGGIO , letteratura , DIARI , SVIZZERA


Categoria

Storia

Scarica il PDF

Siculorum Gymnasium

A Journal for the Humanites

ISSN: 2499-667X

info@siculorum.it