Emozioni e neuroni specchio nell’esperienza artistica ed estetica

di Ivana Randazzo

 
 
 

A quanti sarà capitato di emozionarsi, di commuoversi, davanti ad uno schermo guardando una scena in cui una madre abbraccia una figlia malata o quanti avranno provato disgusto guardando un uovo marcio per strada? Questa empatia che proviamo in determinate situazioni di gioia, dolore, sofferenza è stata per secoli oggetto di studio in numerosi settori, ma da un punto di vista scientifico è grazie alla scoperta tutta italiana, risalente agli anni ’80-’90 del secolo scorso, avvenuta presso l’Università di Parma che si è verificata una svolta determinante: «In laboratorio ci sono spesso noccioline americane: a volte sono l’oggetto con cui le scimmie compiono azioni, a volte la ricompensa per un compito appena eseguito con un oggetto diverso. Le arachidi però fanno gola a tutti, non solo ai macachi. Così capita che, nella pausa fra una registrazione e l’altra, chi segue gli esperimenti ne ‘rubi’ qualcuna dal contenitore preparato per gli animali. In occasione di qualcuno di questi ‘furti’, proprio nel momento in cui il ricercatore di turno sta portando alla bocca una manciata di noccioline, l’oscilloscopio che registra l’attività dei neuroni della scimmia emette un tac-tac-tac molto singolare. Il macaco infatti è fermo e non sta interagendo con nessun oggetto».[1]

La grande scoperta che fecero questi scienziati, che verrà paragonata nel campo psicologico alla scoperta del Dna in biologia,[2] fu osservare che l’attività neurale delle scimmie si attivava non solo quando l’azione veniva compiuta direttamente, ma anche osservando qualcuno compierla. Da questa fortuita osservazione, gli scienziati capirono che esistono neuroni che si attivano alla semplice osservazione di un’azione, non solo con le noccioline ma con qualsiasi oggetto di cui l’animale aveva avuto precedentemente esperienza diretta: «Data la loro capacità di attivarsi ‘riflettendo’ le azioni degli altri, a queste cellule della corteccia premotoria è stato dato il nome di neuroni specchio. Si tratta di neuroni che si comportano come i neuroni motori quando si attivano per un’azione propria mentre mostrano la propria peculiarità quando si attivano in risposta alla stessa azione compiuta da altri. Come i ‘cugini’ motori, anche i neuroni specchio si attivano ciascuno in modo molto specifico per una certa azione. Lo scopo dell’azione è quindi il criterio fondamentale in base al quale queste cellule nervose possono essere classificate».[3]

Spesso capita di osservare azioni altrui all’interno di un contesto e capire cosa sta per accadere. Questo tipo di comportamento, del tutto naturale, è alla base della nostra sopravvivenza: «Il sistema specchio infatti risolve con poche risorse il problema di come tradurre l’analisi visiva di un’azione osservata in qualcosa che l’animale è in grado di comprendere e di utilizzare per agire. Che cosa significa comprendere un’azione dal punto di vista neuronale? Significa che il cervello ha la capacità, attraverso l’attività dei propri circuiti di neuroni, di ottenere una descrizione interna di un’azione e di usarla per pianificare comportamenti motori futuri».[4]

La scoperta dei neuroni specchio su base biologica ha avuto a partire dagli anni ’90 una grande risonanza tra filosofi, neuroscienziati, sociologi, psicologi, antropologi e così via.[5] A partire dagli studi sull’animale, che era capace di comprendere cosa stavano facendo gli altri, si è passati a studiare la capacità dell’uomo di leggere le emozioni dell’altro, siano esse positive o negative. Grazie ai meccanismi specchio, è possibile sentirsi partecipi delle emozioni che provano altre persone e prevedere le intenzioni che l’altro sta per compiere. Ad esempio, se si vede una donna piangere, ci si immedesima nel sentimento di sofferenza che la donna starà provando, così come se si vede un uomo con in mano una pietra è possibile immaginare che abbia intenzione di gettarla contro qualcosa che ha scatenato la sua rabbia. E ancora, quando si osserva qualcuno prendere un cucchiaio, si comprende perfettamente a cosa servirà, perché i cosiddetti neuroni specchio si attivano nel cervello simulando la stessa azione: «Attraverso l’osservazione e l’imitazione i neuroni specchio, insieme ad altri meccanismi cerebrali, permettono di accrescere il repertorio di azioni che teniamo archiviato nella corteccia, e dal quale ‘peschiamo’ ogniqualvolta incontriamo una nuova azione. In altre parole questo meccanismo ci permette di imparare cose nuove: riusciamo a imitare una nuova azione che abbiamo osservato se la spezziamo in segmenti che in parte troviamo archiviati nel nostro repertorio e in parte dobbiamo elaborare. I neuroni specchio forniscono così una base biologica a quella forma di trasmissione della cultura che passa attraverso l’assimilazione diretta, come quando un bambino impara a parlare».[6]

Provare le stesse sensazioni dell’altro significa istaurare un rapporto empatico con chi si ha davanti, provare le stesse emozioni dal momento che si attiva la stessa regione del cervello: «Una dimostrazione di questo fatto è venuta con lo studio della reazione di disgusto. Il disgusto è un’emozione molto forte e utile per la sopravvivenza degli esseri umani, perché indica che qualcosa che un individuo annusa o assaggia è cattivo, e quindi potenzialmente pericoloso. Ma quali regioni cerebrali attiva l’osservazione di una reazione di disgusto in un’altra persona? Sono le stesse regioni che provocano la stessa reazione di disgusto nell’osservatore in presenza di uno stimolo appropriato? Per verificare questa ipotesi alcuni volontari sono stati sottoposti a un esperimento di risonanza magnetica funzionale durante il quale dovevano dapprima annusare essenze dall’odore stomachevole, e poi osservare alcuni videoclip in cui si vedono le facce di persone disgustate dalle stesse essenze».[7] Sia che si assaggi il cibo disgustoso sia che si osservi qualcuno mangiarlo si provano le stesse sensazioni.

Grazie ai neuroni specchio nasce l’esigenza di volgere lo sguardo all’estetica da una prospettiva la cui dimensione antropologica diventa centrale, focalizzando l’attenzione sul rapporto tra il corpo-cervello e il mondo che ci circonda. La dimensione mimetica dell’esperienza umana, la capacità di apprezzare il bello e di provare sensazioni ed emozioni si attiva tramite il corpo e i meccanismi nervosi. Grazie ad alcune ricerche condotte utilizzando la risonanza magnetica funzionale, è emerso come l’arte sia capace di attivare nell’osservatore le aree emozionali del cervello, i cosiddetti neuroni specchio, sviluppando un processo empatico.

Quando si contempla una scultura come il Ratto di Proserpina del Bernini, l’anatomia del corpo è talmente reale che è probabile sentire la stessa percezione su noi stessi, si attivano determinate aree del cervello: «Anche la simulazione empatica dell’emozione somatica evocata da un’immagine in cui viene mostrata la carne che cede alla pressione del tatto rientra nelle reazioni estetiche a opere come L’incredulità di San Tommaso del Caravaggio».[8] Esiste una profonda relazione tra il corpo e l’espressione simbolica, che è alla base della creatività artistica.[9]

Da ricerche condotte sull’osservazione di opere della classicità greca, dove dominano l’armonia, le proporzioni e la simmetria tra le parti, a ricerche effettuate sull’arte astratta emerge come nella fruizione dell’opera d’arte, al di là del contesto culturale di riferimento, esista una risposta empatica ‘diretta’ da parte dello spettatore: l’arte può ‘accendere’ emozioni in chi la osserva e attivare processi imitativi di bellezza. Da esperimenti effettuati su sculture classiche come i bronzi di Riace originali e quelli alterati grazie ad un algoritmo che allungava o accorciava le misure si evidenziò che le originali accendevano maggiormente le aree del cervello in cui risiedano i centri emozionali: sono stati mostrati capolavori dell’arte classica e del Rinascimento nelle loro proporzioni naturali e con altre lievemente modificate ed è emerso che l’osservazione delle immagini canoniche attiva sia l’insula che l’amigdala, quindi, si potrebbe affermare, secondo queste ricerche, che esiste sia una bellezza ‘oggettiva’ che una bellezza ‘soggettiva’.[10]

Vittorio Gallese ha condotto una ricerca insieme ad altri ricercatori della Columbia University per vedere la reazione del cervello dei fruitori davanti all’arte astratta: «Nell’astrattismo non ci sono figure che, rinviando al prototipo, al movimento transitivo e intransitivo di quest’ultimo, possano attivare i neuroni specchio e, poiché il movimento (azioni e emozioni) è necessario per attivare i neuroni specchio, si fa l’ipotesi che a causare empatia sia, no il ‘movimento’ dell’opera, ma il movimento che ha prodotto il quadro, ovvero il gesto dell’artista».[11] È stata ripresa l’opera di Lucio Fontana Concetto spaziale. Attesa, sono state presentate ad alcuni volontari riproduzioni di tele in cui l’immagine era stata modificata e dove invece del taglio era presente una linea. Gli osservatori dell’opera hanno mostrato l’attivazione di neuroni specchio e del sistema motorio corticale, dimostrando che in qualche modo le tracce che ha lasciato l’artista sulla tela accendono nel fruitore dell’opera le stesse aree motorie: «Ipotizziamo che persino i gesti dell’artista, nella produzione dell’opera d’arte, inducono il coinvolgimento empatico dell’osservatore, attivando la simulazione del programma motorio che corrisponde al gesto evocato nel segno artistico. I segni sul dipinto o sulla scultura sono tracce visibili dei movimenti diretti verso un obiettivo, per cui sono in grado di attivare le corrispondenti aree motorie nel cervello dell’osservatore».[12] Colui che osserva riproduce gli stessi circuiti neurali che si sono attivati nell’artista mentre creava l’opera d’arte, l’osservatore simula, anche se inconsapevolmente, il programma motorio dell’artista mentre realizzava il lavoro: «Se per esempio osserviamo la creazione di Adamo, dipinta da Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina, le posizioni plastiche delle figure di Dio e di Adamo sono talmente  aderenti all’anatomia del corpo umano che è facile provare la sensazione di trovarsi in quelle stesse posizioni con il proprio corpo, com’è anche facile avere la percezione delle due dita che quasi si toccano».[13]

 Dagli studi del neurobiologo Zeki è stato sottolineato come l’analisi dell’arte sia direttamente collegata al cervello, mettendo in evidenza come la visione di forma, movimento, colori porti all’attivazione del cervello visivo. Si inizia a parlare di esperienza estetica e artistica in relazione alla capacità del cervello di apprezzare il bello e l’arte.[14] Oltre al cervello visivo, le neuroscienze si sono occupate di creazione artistica tenendo in considerazione anche il sistema motorio.[15]

L’osservazione di un’opera d’arte, può evocare nel fruitore una vasta gamma di emozioni: gioia, allegria, piacere, ansia, inquietudine, angoscia.  La lettura di un romanzo, può generare malinconia e ancora, l’osservazione di un dipinto può colpire così profondamente da dar luogo ad uno stato di contemplazione in cui tutte le attenzioni dell’osservatore si rivolgono all’oggetto artistico, dimenticando il mondo esterno.[16]

 Quando si è ‘catturati’ dall’oggetto d’arte si vive un’emozione estetica che assorbe completamente il soggetto fruitore: «Che cosa succede quando, leggendo un romanzo, viviamo le emozioni delle scene narrate, o quando, ascoltando un brano musicale, seguiamo una tessitura avvolgente di senso che è impossibile formulare con chiarezza e distinzione in termini proposizionali? In tali casi ci troviamo immersi in un’interazione a cui prendiamo parte espressivamente e creativamente, senza tuttavia poter dire di essere noi a governare cognitivamente quel che accade».[17]

Il corpo è un elemento essenziale della percezione artistica. A prescindere dal background culturale e dall’estrazione sociale, si è notato come davanti a determinate immagini artistiche si attivino i centri emozionali del cervello, si accendano risposte che accrescono l’empatia dell’osservatore.[18]

L’estetica è senza dubbio una sezione delle scienze umane in continuo dialogo con altri ambiti disciplinari, anche lontani per teorie e metodi da quelli estetici. Essa si trova in continua evoluzione e in aperto confronto con le scienze moderne: economia, antropologia, sociologia, psicologia, neuroscienze e molte altre.[19]

Sebbene l’estetica non possa dirsi scienza in senso stretto, nella misura in cui riguarda la sfera soggettiva ed è priva di un metodo scientifico rigoroso, tuttavia le nuove scoperte in campo medico potrebbero portare a spiegare perché le emozioni e gli stati d’animo si risvegliano dinanzi alla visione di un film o davanti ad una immagine inanimata:[20] «Le conoscenze sui neuroni specchio potrebbero essere utilizzate nella formazione di artisti e scrittori, i quali potrebbero creare opere d’arte e dell’ingegno ancora più capaci di suscitare empatia, emozioni e immedesimazione».[21]

 

 


[1] L. Vozza, G. Rizzolatti, Nella mente degli altri: neuroni specchio e comportamento sociale, Bologna, Zanichelli, 2008, pp. 30-31.

[2] Il neuroscienziato indiano Vilayanur S. Ramachandran ha scritto che i neuroni specchio sarebbero per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia, ma negli ultimi anni ci sono correnti che sostengono vi sia stata un’eccessiva valutazione psicologica a proposito della scoperta dei neuroni specchio, anche in merito, per esempio, ai possibili risvolti riguardo il problema dell’autismo. Si veda G. Hickok, The Myth of Mirror Neurons. The Real Neuroscience of Communication and Cognition, New York, W.W Norton & Company, 2004; V.S. Ramachandran, Che cosa sappiamo della mente, Milano, Mondadori, 2004.

[3] L. Vozza, G. Rizzolatti, Nella mente degli altri: neuroni specchio e comportamento sociale, cit., pp. 32-33.

[4] Ivi, p. 33. I neuroni, cellule che costituiscono le unità di base del cervello, sono costituiti da un soma centrale e da due estensioni, cioè l’assone e i dendriti. L’insieme dei neuroni e dei vari collegamenti neuronali costituiscono il sistema nervoso. Per il processo proprio dei neuroni e dei loro circuiti cfr. ivi, pp. 7-19. Iacobini ha definito queste cellule del cervello tra le più rilevanti. Si veda M. Iacobini, I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, p. 55.

[5] Anche in campo pubblicitario il ruolo dei neuroni specchio diventa centrale. Attraverso la tecnica della risonanza magnetica funzionale si è tentato di comprendere l’efficacia di alcuni spot pubblicitari sulla sfera emozionale dello spettatore. Da alcuni esperimenti effettuati ad esempio da scienziati californiani su spot tramessi durante la partita di football più seguito d’America (Super Bowl del 2006) è emerso: “I risultati di questo esperimento hanno individuato alcuni spot particolarmente efficaci nell’attivare nei telespettatori l’area dell’insula anteriore, la stessa che abbiamo visto reagire in modo empatico all’osservazione di emozioni altrui. Sebbene si tratti di esperimenti ancora preliminari, per via del numero ridotto di volontari che hanno partecipato, in futuro queste tecniche potrebbero permettere di valutare con maggiore precisione scientifica gli effetti emotivi e di immedesimazione che un prodotto pubblicitario, ma anche un film o un personaggio politico, è realmente in grado di provocare” (L. Vozza, G. Rizzolatti, Nella mente degli altri: neuroni specchio e comportamento sociale, cit., pp. 67-68).

[6] Ivi, pp. 102-103. Si veda G G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Milano, Raffaello Cortina, 2006.

[7] L. Vozza, G. Rizzolatti, Nella mente degli altri: neuroni specchio e comportamento sociale, cit., p. 64.

[8] D. Freedberg, V. Gallese, Movimento, emozione, empatia. I fenomeni che si producono a livello corporeo osservando le opere d’arte, Milano, Mondadori, 2008, p. 58.

[9] «Il corpo rappresenta, mette letteralmente in scena la soggettività, realizzandola in una serie di posture, sentimenti, espressioni e comportamenti, ma allo stesso tempo, il corpo, proiettandosi nel mondo, lo teatralizza trasformandolo in un palcoscenico in cui la corporeità è al contempo protagonista e spettatrice, vissuta e riconosciuta» (V. Gallese, Arte, corpo, cervello: per un’estetica sperimentale, «Micromega», 2, 2014, p. 49).

[10] «Is there an objective, biological basis for the experience of beauty in art? Or is aesthetic experience entirely subjective? Using fMRI technique, we addressed this question by presenting viewers, naïve to art criticism, with images of masterpieces of Classical and Renaissance sculpture. Employing proportion as the independent variable, we produced two sets of stimuli: one composed of images of original sculptures; the other of a modified version of the same images. The stimuli were presented in three conditions: observation, aesthetic judgment, and proportion judgment. In the observation condition, the viewers were required to observe the images with the same mind-set as if they were in a museum. In the other two conditions they were required to give an aesthetic or proportion judgment on the same images. Two types of analyses were carried out: one which contrasted brain response to the canonical and the modified sculptures, and one which contrasted beautiful vs. ugly sculptures as judged by each volunteer. The most striking result was that the observation of original sculptures, relative to the modified ones, produced activation of the right insula as well as of some lateral and medial cortical areas (lateral occipital gyrus, precuneus and prefrontal areas). The activation of the insula was particularly strong during the observation condition. Most interestingly, when volunteers were required to give an overt aesthetic judgment, the images judged as beautiful selectively activated the right amygdala, relative to those judged as ugly. We conclude that, in observers naïve to art criticism, the sense of beauty is mediated by two non-mutually exclusive processes: one based on a joint activation of sets of cortical neurons, triggered by parameters intrinsic to the stimuli, and the insula (objective beauty); the other based on the activation of the amygdala, driven by one's own emotional experiences (subjective beauty)»: si tratta dell’abstract di C. Di Dio, E. Macaluso , G. Rizzolatti, The golden beauty: brain response to classical and renaissance sculptures, «PLoS ONE», 2, 2007, pp. 1-8.

[11] L. Pizzo Russo, So quel che senti. Neuroni specchio, arte ed empatia, Pisa, ETS, 2009, p. 86. Si veda L. Boella, Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Milano, Raffaello Cortina, 2006; M. Cappuccio, Empatia e neuroni specchio. Dalle neuroscienze cognitive alla Quinta Meditazione cartesiana,  «Rivista di estetica», 37, 2008, pp. 43-65; D. Donelli, M. Rizzato, Io sono il tuo specchio. Neuroni specchio ed empatia, Torino, Amrita, 2013; S. Mezzalira, Neuroscienze e fenomenologia. Il caso dei «neuroni specchio», Padova, Padova University Press, 2019.

[12] D. Freedberg, V. Gallese, Movimento, emozione, empatia. I fenomeni che si producono a livello corporeo osservando le opere d’arte, cit., p. 59.

[13] L. Vozza, G. Rizzolatti, Nella mente degli altri: neuroni specchio e comportamento sociale, cit., p. 104. Si veda B. Missana, Le nuove frontiere della scienza applicata all’arte: la Neuroestetica, «Scienze e Ricerche», 5, 2015, pp. 88-90; G. Lucignani, A. Pinotti (a cura di), Immagini della mente. Neuroscienze, arte, filosofia, Milano, Raffaello Cortina, 2007; F. Desideri, C. Cantelli, Storia dell’estetica occidentale. Da Omero alle neuroscienze, Roma, Carocci, 2008; C. Calì, Neuroestetica e fenomenologia della percezione pittorica e musicale, «Rivista di estetica», 37, 2008, pp. 21-42.

[14] S. Zeki, La visione dall’interno. Arte e cervello, Torino, Bollati Boringhieri, 2007.

[15] Si veda E.R. Kandel, J.H. Schwartz, T.M. Jessell, Principi di neuroscienze, Milano, CEA, 2003; M.S. Gazzaniga, R.B. Ivry, G.R. Mangun, Neuroscienze cognitive, Bologna, Zanichelli, 2005.

[16] La contemplazione può portare anche alla commozione e alle lacrime. Si veda S. Mastandrea, Il ruolo delle emozioni nell’esperienza estetica, «Rivista di Estetica», 48, 2011, pp. 95-111; A. Argenton, L’emozione estetica, Padova, Il Poligrafo, 1993; N.H. Frijda, The Emotions, New York, Cambridge University Press, 1986 (trad. it. di A. Berti, V.L. Zammuner, Emozioni, Bologna, il Mulino, 1990); G. Bellelli, A. Curci, A. Gasparre, Scritti di psicologia dell’arte e dell’esperienza esteticaRomaMonolite Editrice, 2003.

[17] G. Matteucci, Estetica e natura umana. La mente estesa tra percezione, emozione ed espressione, Roma, Carocci, 2019, p. 13. Sull’emozione e sulla corporeità, temi centrali delle diverse tradizioni estetiche e filosofiche, si veda L. Russo, S. Tedesco, Sull’emozione, Palermo, Aesthetica Preprint, 2013; R. Shusterman, Somaesthetics: A Disciplinary Proposal, «The Journal of Aesthetics and Art Criticism», 57, 3, 1999, pp. 299-313 (trad. it. di G. Matteucci, Estetica pragmatista, Palermo, Aesthetica, 2010, pp. 215-236).

[18] Si veda G. Rizzolatti, L. Fogassi, V. Gallese, Neurophysiological mechanisms underlying the understanding and imitation of action, «Nature Reviews Neuroscience», 2, 2001, pp. 661-670.  

[19] «Oggi dovremmo forse considerarla un’iperestetica, nel duplice senso suggerito dal prefisso greco hyper: “al di sopra” ma anche “al di là”. In quanto tensione verso un “al di là”, l’iperestetica viene a esprimere l’esigenza di un’ulteriorità, il bisogno, avvertito da tempo e da più parti, di estendere la mappa teorica e metodologica dell’estetica nell’incrocio con altri saperi» (E. Di Stefano, Iperestetica. Arte, natura, vita quotidiana e nuove tecnologie, Palermo, Aesthetica Preprint, 2012, p. 10).

[20] D. Freedberg, Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni e emozioni del pubblico, Torino, Einaudi, 1993.

[21] L. Vozza, G. Rizzolatti, Nella mente degli altri: neuroni specchio e comportamento sociale, cit., p. 104.


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NEUROSCIENZE , ESTETICA , NEURONI SPECCHIO


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