Le emozioni del basileus: psicologia platonica e teoria politica nel De regno di Sinesio di Cirene

di Maria Consiglia Alvino

 
 
 
La corretta gestione delle emozioni da parte del sovrano costituisce un tema topico della letteratura sulla regalità sin dall’epoca alessandrina.[1] Sinesio di Cirene, retore e filosofo allievo di Ipazia, vi ritorna nel suo De regno, atipico discorso d’ambasciata indirizzato all’imperatore Arcadio e datato generalmente agli anni tra il 399 e il 402.[2] Il Cirenense, intellettuale di formazione platonica e cristiano quanto alla nascita e all’educazione, fa convergere nel suo breve speculum principis per Arcadio teorie sul regno derivate dalla sua profonda cultura, ʽpaganaʼ quanto cristiana.[3] In questo lavoro analizzeremo il paragrafo 10 del De regno, relativo al rapporto tra emotività ed esercizio del governo. Lo studio di tale passo, oltre che a mettere in luce alcuni aspetti peculiari del platonismo sinesiano, può essere utile a meglio comprendere le funzioni storiche e sociali della percezione e rappresentazione delle emozioni in epoca tardoantica e bizantina, con particolare riferimento all’ ambito politico.[4]
Il paragrafo 10 del De regno è inserito in un’ampia sezione (8-11) dedicata all’analisi dell’origine divina degli attributi della regalità: bontà, pietà e autarchia. Sulla scorta di quelli che egli dichiara suoi maestri, Aristotele e Platone, il retore-filosofo di Cirene inizia la sua analisi dalla distinzione tra beni secondari, definiti strumentali (ὀργανικά), e quelli primari, ossia le virtù dell’animo.[5] I beni strumentali, quali le ricchezze, devono essere impiegati dal sovrano per il bene dei suoi sudditi, a somiglianza di come la divinità dispiega la sua provvidenza sulla Terra per il tramite di essenze intellegibili.[6] Si tratta del concetto di μίμησις τοῦ θεοῦ, uno dei cardini dell’ideologia sinesiana della regalità.[7]
Ma cosa vuol dire imitare la divinità? Qual è l’essenza di Dio che qualsiasi uomo, e il sovrano in particolar modo, deve cercare di rispecchiare sulla Terra? Questa domanda spinge l’autore ad un approfondimento filosofico sulla natura della divinità. Sinesio, all’insegna dell’apofatismo che si rinviene nella contemporanea letteratura patristica e in special modo nel Contro Eunomio di Basilio di Cesarea, probabile fonte del Nostro,[8] sostiene l’impossibilità di una definizione oggettiva di Dio, il quale è rappresentabile non in modo assoluto, ma solo attraverso gli attributi – padre, creatore, principio, causa, re – che di lui gli uomini possono sperimentare.[9] Ne consegue che, per compiere pienamente l’atto di imitazione della divinità, il re dovrà porre quale fondamento della sua azione di governo la pietà (εὐσέβεια).[10] Ciò, tuttavia, impone al sovrano il dovere di esercitare uno stretto controllo sulla propria anima prima che sui suoi sudditi: ἔνθεν ἑλών, φημὶ δεῖν, ἡγουμένου θεοῦ, τὸν βασιλέα πρῶτον αὐτὸν αὑτοῦ βασιλέα εἶναι καὶ μοναρχίαν ἐν τῇ ψυχῇ καταστήσασθαι (De regn. 10.1 Lamoureux-Aujoulat): alla monarchia politica corrisponde il principio dell’autarchia morale.
La corrispondenza istituita tra macrocosmo divino e microcosmo politico e individuale induce Sinesio a una disamina della conformazione della psiche umana e dei rapporti tra razionalità e emozionalità. L’uomo, secondo Sinesio, non è un essere semplice ed omogeneo. La divinità ha fatto sì che fosse formato da una massa indistinta e dissonante di forze, rendendo l’anima un mostro più policefalo dell’idra, nella quale convergono gli organi predisposti per pensare, provare desiderio, rattristarsi ed adirarsi, gioire e temere, il principio femminile e quello maschile. È al νοῦς che spetta la βασιλεία dell’anima, dopo aver sconfitto l’ὀχλοκρατία e la δημοκρατία delle passioni.
 
Syn., De regn. 10.2-3 Lamoureux-Aujoulat
εὖ γὰρ ἴσθι τοῦτο, ὡς οὐχ ἁπλοῦν τι χρῆμα οὐδὲ μονοειδὲς ἄνθρωπος, ἀλλὰ συνῴκισενθεὸς εἰς ἑνὸς ζῴου σύστασιν ὄχλον δυνάμεων παμμιγῆ τε καὶ πάμφωνον· καὶ ἐσμὲν ὕδρας, οἶμαι, θηρίον ἀτοπώτερον καὶ μᾶλλόν τι πολυκέφαλον. οὐ γὰρ ταὐτῷ δήπου νοοῦμεν καὶ ὀρεγόμεθα καὶ λυπούμεθα οὐδὲ ταὐτῷ καὶ θυμούμεθα οὐδὲ ὅθεν ἡδόμεθα καὶ φοβούμεθα. ἀλλὁρᾷς ὡς ἔνι μὲν ἄρρεν ἐν τούτοις, ἔνι δὲ θῆλυ, καὶ θαρραλέον τε καὶ δειλόν, ἔνι δὲ τὰ παντοδαπῶς ἀντικείμενα, ἔνι δέ τις μέση διὰ πάντων φύσις, ἣν νοῦν καλοῦμεν, ὃν ἀξιῶ βασιλεύειν ἐν τῇ τοῦ βασιλέως ψυχῇ τὴν ὀχλοκρατίαν τε καὶ δημοκρατίαν τῶν παθῶν καταλύσαντα.[11]
 
Il sostrato delle argomentazioni sinesiane è platonico. Di matrice platonica è, infatti, l’idea della complessità e multiformità dell’animo umano che si rinviene variamente nella Repubblica, nel Fedone e nel Simposio. In tal senso, significativo è il paragone tra l’animo e l’idra policefala. Una similitudine analoga si riscontra nel nono libro della Repubblica, ove Platone assimila l’anima a mostri multiformi, quali la Chimera, Scilla e Cerbero.
 
Pl., R. 9.588c Slings
Τῶν τοιούτων τινά, ἦν δ’ ἐγώ, οἷαι μυθολογοῦνται παλαιαὶ γενέσθαι φύσεις, ἥ τε Χιμαίρας καὶ Σκύλλης καὶ Κερβέρου, καὶ ἄλλαι τινὲς συχναὶ λέγονται συμπεφυκυῖαι ἰδέαι πολλαὶ εἰς ἓν γενέσθαι.[12]
 
Altrove nella Repubblica Platone fornisce ulteriori dettagli sulla rappresentazione dell’anima: il mostro policefalo comprende al suo interno la forma di un leone e, procedendo in ordine decrescente, quella dell’uomo interiore che può, tramite la giustizia, rendere amiche e addomesticare le altre parti ferine di cui è composto.
 
Pl., R. 9.588e Slings
Λέγωμεν δὴ τῷ λέγοντι ὡς λυσιτελεῖ τούτῳ ἀδικεῖν τῷ ἀνθρώπῳ, δίκαια δὲ πράττειν οὐ συμφέρει, ὅτι οὐδὲν ἄλλο φησὶνλυσιτελεῖν αὐτῷ τὸ παντοδαπὸν θηρίον εὐωχοῦντι ποιεῖν ἰσχυρὸν καὶ τὸν λέοντα καὶ τὰ περὶ τὸν λέοντα, τὸν δὲ ἄνθρωπον λιμοκτονεῖν καὶ ποιεῖν ἀσθενῆ, ὥστε ἕλκεσθαι ὅπῃ ἂν ἐκείνων πότερον
ἄγῃ, καὶ μηδὲν ἕτερον ἑτέρῳ συνεθίζειν μηδὲ φίλον ποιεῖν, ἀλλἐᾶν αὐτὰ ἐν αὑτοῖς δάκνεσθαί τε καὶ μαχόμενα ἐσθίειν ἄλληλα.[13]
 
L’essere umano è, dunque, il risultato della compresenza di queste tre entità, a cui corrispondono tre nature differenti: la mostruosità ferina, la natura animale, assimilata a quella leonina, l’essere divino. Sta a quest’ultima parte dell’anima, benché la più piccola, riunire le altre sotto l’egida della giustizia.
 
Pl., R. 9.589ab Slings
Οὐκοῦν αὖ τὰ δίκαια λέγων λυσιτελεῖν φαίη ἂν δεῖν ταῦτα πράττειν καὶ ταῦτα λέγειν, ὅθεν τοῦ ἀνθρώπου ἐντὸς ἄνθρωπος ἔσται ἐγκρατέστατος, καὶ τοῦ πολυκεφάλου θρέμματος ἐπιμελήσεται ὥσπερ γεωργός, τὰ μὲν ἥμερα τρέφων καὶ τιθασεύων, τὰ δὲ ἄγρια ἀποκωλύων φύεσθαι, σύμμαχον ποιησάμενος τὴν τοῦ λέοντος φύσιν, καὶ κοινῇ πάντων κηδόμενος, φίλα ποιησάμενος ἀλλήλοις τε καὶ αὑτῷ, οὕτω θρέψει;[14]
 
La presenza all’interno dell’animo umano di una componente maschile e di una femminile è, inoltre, già tema del mito platonico delle metà (Symp. 189 d-e Burnet). Tuttavia, benché sia evidente il fondo platonico del luogo sinesiano, è interessante notare come il paragone specifico tra anima ed idra non si rinvenga mai letteralmente in Platone, bensì nel De insomniis di Filone di Alessandria,[15] autore ben noto al Nostro. In quest’opera Giuseppe, uomo dei sogni ed emblema dell’uomo politico, è diviso tra l’adesione alla volontà di Dio e le aspirazioni terrene che lo vincolano al regno d’Egitto.[16] Per questo motivo la sua anima è assimilata ad un’idra policefala, le cui parti combattono un’eterna lotta.
 
Phil., De insomn. 2.14 Savinel
τοιοῦτος μὲν δὴ κύκλος εἱλεῖται περὶ τὴν πολύτροπον ψυχὴν ἀιδίου πολέμου· καθαιρεθέντος γὰρ ἑνὸς ἐχθροῦ φύεται πάντως δυνατώτερος ἕτερος, ὕδρας τῆς πολυκεφάλου τὸν τρόπον.[17]
 
Del resto, il problema della natura dell’anima e della relazione tra principio razionale e impulsi istintivi era stato al centro anche del dibattito patristico sulla creazione dell’uomo e del suo essere a ʽimmagine di Dioʼ. In particolare, Gregorio di Nissa aveva accettato, sulla scorta di Platone, l’idea della tripartizione dell’anima e della sua contemporanea unitarietà.[18]
La riflessione sinesiana sulla natura dell’anima, evidentemente recante echi non solo della formazione platonica, ma anche di quella cristiana dell’autore, non ha, tuttavia, un fine puramente speculativo, ma ha la funzione prettamente pratica e politica di illustrare al principe un metodo di governo, che molta importanza conferisce anche alla rappresentazione esteriore delle virtutes imperiali. L’autarchia imperiale è, infatti, giustificata dal valore psicagogico sulle masse che Sinesio imputa al basileus.[19] L’esempio dell’imperatore può, infatti, cambiare anche le concezioni morali del popolo, portando sulla scena della storia innovazioni e trasformazioni sociali. 
 
Syn., De regn. 28.3 Lamoureux-Aujoulat
ὡς πολλῶν ὄντωνδέδωκενθεὸς βασιλείᾳ ζηλωτὰ καὶ μακάρια, οὐδενὸς ἧττον εἰ μὴ καὶ παντὸς μᾶλλον ἀγασθείη τις ἂν αὐτῆς καὶ ὑμνήσειε τὴν ἐν ταῖς ψυχαῖς τῶν ἀρχομένων ἰσχύν, ὅτι μετατίθησι βασιλεὺς δόξαν ἤθους ἐγκεκαυμένην ἔθει παλαιῷ καὶ τροφῇ τῇ πρώτῃ, τῷ φαίνεσθαι τἀναντία τιμῶν καὶ περὶ πλείστου ποιούμενος· ὅτῳ γὰρ βασιλεὺς χαίρει, τοῦτο εὐθὺς αὔξειν ἀνάγκη καὶ ὑπὸ πλείστων ἐπιτηδεύεσθαι.[20]
 
L’idea dell’influenza paradigmatica dell’imperatore sul popolo è, peraltro, fondata sul concetto di imperatore legge vivente (νόμος ἔμψυχος). Sinesio delinea il rapporto tra imperatore e legge con l’espressione βασιλέως μέν ἐστι τρόπος νόμος, τυράννου δὲ τρόπος νόμος (De regn. 6.5 Lamoureux-Aujoulat). Con essa il Cirenense, adattando al contesto greco dell’Impero orientale la tradizione romana sul rapporto tra legge ed imperatore, teorizza la sottomissione della figura imperiale al νόμος.
In questa prospettiva, assume particolare importanza nello speculum sinesiano la sezione dedicata alla fenomenologia delle emozioni del sovrano: il buon imperatore si presenterà al popolo recando nel volto e nell’atteggiamento esteriore l’imperscrutabile serenità che gli viene dalla contemplazione divina e dalla perfetta autarchia; il tiranno, di contro, sarà caratterizzato dalla disarmonia esteriore causata dal mancato controllo delle proprie passioni.
 
Syn., De regn. 10.5-6 Lamoureux-Aujoulat
τούτῳ γὰρ ἀνάγκη τὸ ἔνδοθεν ἀστασίαστον διάγειν, καὶ μέχρι προσώπου γαλήνην ἔνθεον· καὶ ἔστιν οὐ φοβερόν, ἀλλὑπέρσεμνον θέαμα ἐν αἰδοῦς ἀκύμονι διαθέσει, φίλους μέν, ταὐτὸν δὲ εἰπεῖν, ἀγαθοὺς ἐκπλήττων, τοὺς δὲ ἐχθρούς τε καὶ πονηροὺς καταπλήττων. Μετάνοια δὲ οὐκ ἐμβατεύει τῇ τούτου ψυχῇ· πράττει γὰρ τι ἂν πράττῃ, δεδογμένα ἅπασι τοῖς μέρεσι τῆς ψυχῆς πράττων, τῷ πάντα πρὸς μίαν ἀρχὴν κεκοσμῆσθαι, καὶ μὴ ἀπαξιῶσαι μέρη τε εἶναι, καὶ εἰς ἓν τὸ ὅλον συννεῦσαι. ὅστις δὲ διοικίζει τὴν προσβολὴν τῶν μερῶν τούτων, ἐνδοὺς αὐτοῖς εἰς ἐνέργειαν πολλοῖς εἶναι, καὶ ἀνὰ μέρος ἐθέλει ἀναπείθειν τὸ ζῷον, τοῦτον ὄψει νῦν μὲν ὑψοῦ τὴν γνώμην, νῦν δὲ ὕπτιον· τεταραγμένον νῦν μὲν ὁρμῇ, νῦν δὲ φυγῇ καὶ λύπαις καὶ ἡδοναῖς καὶ ἀτόποις ὀρέξεσιν.[21]
 
Il lessico adoperato da Sinesio per descrivere l’emotività del sovrano fa ancora capo alla sfera semantica dell’attività politica: l’animo del buon sovrano deve essere ἀστασίαστον, privo di conflitti interiori, secondo uno stilema già adoperato da Platone in riferimento alla definizione delle proprietà dell’anima concorde (ὁμονοητική) e armoniosa (ἡρμοσμένη).[22] A livello esteriore, la serenità imperiale si tradurrà in uno spettacolo (θέαμα) venerabile. Nella rappresentazione della calma regale spicca l’uso metaforico del termine γαλήνη, vocabolo del lessico marittimo riferito principalmente alla bonaccia e impiegato già da Platone nelle Leggi in senso metaforico relativamente alla ἡσυχία ἐν τῇ ψυχῇ.[23] L’imperscrutabilità ieratica dell’imperatore è attribuita, ancora una volta, alla subordinazione di tutte le parti dell’anima ad un principio unico, quello razionale.
D’altra parte, lo spettacolo offerto dal tiranno, che non sappia ricondurre ad unità la molteplicità interiore, è reso secondo i canoni della mostruosità, grazie ad immagini derivate dal mondo ferino: l’aspetto esteriore del tiranno è quello di una fiera in preda ad emozioni ed impulsi contrastanti.[24] Per rinforzare ulteriormente l’immagine del tiranno schiavo delle proprie passioni, Sinesio ricorre, infine, ad una citazione tragica:[25] si tratta delle celebri parole con le quali Medea, eroina di per sé simbolo di mostruosa efferatezza già nella rappresentazione euripidea, nell’omonimo dramma conclude il suo monologo, dichiarando la consapevolezza del terribile atto, l’infanticidio, che si accinge a compiere (vv. 1078-1079).[26]
 
Syn., De regn. 10.6-7 Lamoureux-Aujoulat
ὁμολογεῖ δὲ οὐδέποτε οὗτος ἑαυτῷ·
  καὶ μανθάνω μὲν οἷα δρᾶν μέλλω κακά,
  θυμὸς δὲ κρείσσων τῶν ἐμῶν βουλευμάτων,
ἔφη τις, ἐπιγνοὺς τὴν ἑτερότητα καὶ διχόνοιαν τῶν ἴσων δυνάμεων. τοῦτό τοι πρῶτον καὶ σφόδρα βασιλικόν, αὐτὸν ἑαυτοῦ βασιλεύειν, τὸν νοῦν ἐπιστήσαντα τῷ συνοίκῳ θηρίῳ, καὶ μὴ κρατεῖν ἀξιοῦντα πολλάκις μυρίων ἀνθρώπων, ἔπειτα αὐτὸν δοῦλον εἶναι δεσποινῶν αἰσχίστων, ἡδονῆς καὶ λύπης καὶ ὅσοι σύγγονοι θῆρες ἐνδιαιτῶνται τῷ ζῴῳ.[27]
 
È forse interessante notare come questi due versi fossero adoperati nella letteratura scientifica sulle emozioni proprio per spiegare il possibile effetto devastante della mancanza di autocontrollo.[28] Vi ricorre, non a caso, Crisippo, nell’ampio frammento 473 trasmessoci da Galeno.[29] Oggetto della discussione è la causa dei comportamenti contraddittori dell’animo umano.
 
Galen., De plac. Hipp. et Plat. 4.6.19-20 de Lacy
εἰ δέ τις ὑπὸ θυμοῦ βιασθεὶς δελεασθεὶς ὑφἡδονῆς ἀπέστη τῶν ἐξ ἀρχῆς κεκριμένων, ἀσθενὴς μὲν ψυχὴ τούτῳ καὶ ἄτονος, κίνησις δαὐτῆς τὸ πάθος ἐστίν, ὥσπερ που καὶ τοῦ κατὰ τραγῳδίαν ὑποκειμένου Μενέλεω ψυχὴ δελεασθεῖσα πρὸς τῆς ἐπιθυμίας ἐξέστη τῶν κεκριμένων, δέ γε Μηδείας βιασθεῖσα πρὸς τοῦ θυμοῦ, περὶ ἧς καὶ αὐτῆς οὐκ οἶδὅπως Χρύσιππος οὐκ αἰσθάνεται καθἑαυτοῦ τῶν Εὐριπίδου μεμνημένος ἐπῶν
  καὶ μανθάνω μὲν οἷα δρᾶν μέλλω κακά,
  θυμὸς δὲ κρείσσων τῶν ἐμῶν βουλευμάτων.
οὐ γὰρ μανθάνειν ἐχρῆν εἰρηκέναι τὸν Εὐριπίδην, εἰ τοῖς τοῦ Χρυσίππου δόγμασιν ἔμελλε μαρτυρήσειν, ἀλλαὐτὸ τὸ ἐναντιώτατον, ἀγνοεῖν τε καὶ μὴ μανθάνειν οἷα δρᾶν μέλλει κακά.[30]
 
Più avanti, Galeno, commentando ulteriormente l’interpretazione del passo euripideo ad opera di Crisippo, ne chiarisce la posizione:
 
Galen., De plac. Hipp. et Plat. 4.6.23-24 de Lacy
Χρύσιππος δοὔτε τῆς ἐν τούτοις ἐναντιώσεως αἰσθάνεται καὶ μυρίἕτερα γράφει τοιαῦτα, καθάπερ ἐπειδὰν λέγῃἔστι δὲ ὡς οἶμαι κοινότατον ἄλογος αὕτη φορὰ καὶ ἀπεστραμμένη τὸν λόγον, καθὸ καὶ θυμῷ φαμέν τινας φέρεσθαι.” καὶ πάλινδιὸ καὶ ἐπὶ τῶνδε τῶν ἐμπαθῶν ὡς περὶ ἐξεστηκότων ἔχομεν καὶ ὡς πρὸς παρηλλαχότας ποιούμεθα τὸν λόγον καὶ οὐ παρἑαυτοῖς οὐδἐν αὑτοῖς ὄντας”.[31]
 
Dalla critica di Galeno a Crisippo possiamo dedurre che quest’ultimo probabilmente riteneva il conflitto interiore diverso dalla follia vera e propria, ma assimilabile ad essa per senso comune e spiegabile in termini di una compresenza tra movimenti irrazionali dell’anima e consapevolezza razionale del sé. Questa teoria, avversata da Galeno, potrebbe presupporre in Crisippo anche il tentativo di spiegare la differenza tra emozione ed errore di ragionamento, non ammettendo nell’anima una pluralità di principi diversi, ma presupponendo una concezione unitaria dell’anima, oscillante tra differenti e compresenti aspetti.[32] È questa anche la visione recuperata da Sinesio e proposta all’imperatore Arcadio nel delineare la propria ʽstatuaʼ del basileus ideale.
Per concludere, Sinesio, nel declinare il tema dell’autarchia imperiale, fondamentale per l’esercizio del buon governo, affronta il problema del rapporto tra ragione ed emotività. Per farlo, ricorre alla teoria platonica della tripartizione dell’anima, della quale la propria formazione neoplatonica doveva averlo reso edotto. Inoltre, egli sembra particolarmente addentro alla questione della composizione del rapporto tra razionalità e emotività, al centro anche della letteratura medico-scientifica. Egli appare coinvolto anche nel dibattito relativo agli stessi temi presente in ambito cristiano ed al quale i Padri Cappadoci e, in particolare, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nissa, avevano dato un forte impulso. L’attualizzazione in chiave politica del tema platonico-cristiano della complessità dell’anima e della necessità di far obbedire gli impulsi emotivi alla guida del principio razionale, grazie all’ inserimento all’interno di un’opera sulla regalità, fa sì che la speculazione ricada non solo sul piano puramente teorico, ma anche su quello della praxis, inaugurando una tendenza fortemente produttiva in epoca tardoantica e bizantina.
 
 
 
 
Riferimenti bibliografici
 
Alvino 2013 = M.C. Alvino, Osservazioni sulla mimesi letteraria nel De regno di Sinesio, «Atti dell’Accademia Pontaniana», LXII, 2013, pp. 177-189.
Alvino 2017 = M.C. Alvino, La nave, lo specchio, la scala. Aspetti della mimesi letteraria nella Ἔκθεσις κεφαλαίων παραινετικῶν di Agapeto Diacono, in G. Matino, F. Ficca, R. Grisolia (a cura di), La lingua e la società. Forme della comunicazione letteraria fra antichità ed età moderna, Napoli, Satura, 2017 («Filologia e Tradizione classica», 7), pp. 1-18.
Alvino 2019 = M.C. Alvino, Lo specchio del principe. L’ideologia imperiale a Costantinopoli tra IV e VI sec. d. C., Napoli, Satura, 2019Filologia e Tradizione classica», 40).
Battezzato 2017 = L. Battezzato, Change of Minds, Persuasion, and the Emotions: Debates in Euripides from “Medea” to “Iphigenia at Aulis”, «Lexis», XXXV, 2017, pp. 164-177.
Bertrand 2006 = D. Bertrand, Traduction de νοῦς / mens dans les écrits patristiques, in F. Young, M. Edwards, P. Parvis (eds.), Studia Patristica, XL, Leuven-Paris-Dudley, Peeters, 2006, pp. 177-181.
Blum 1981 = W. Blum, Byzantinische Fürstenspiegel. Agapetos, Theophylakt von Ochrid, Thomas Magister, Stuttgart, Hiersemann, 1981.
Burzacchini 2012 = G. Burzacchini, Citazioni dotte come espediente retorico nell’ Epistola 130 Garzya-Roques di Sinesio, in U. Criscuolo (a cura di), La retorica greca tra tardo antico ed età bizantina: idee e forme: Convegno Internazionale, Napoli, 27-29 ottobre 2011, Napoli, D’Auria Editore («Collectanea», 21), 2012, pp. 157-168.
Calabi 2010 = F. Calabi, Giuseppe e i sogni della folla in Filone di Alessandria, «Études Platoniciennes», VII, 2010, pp. 143-161.
Criscuolo 2010 = U. Criscuolo, Marginalia Synesiana. Gli Hymni e i Carmina Arcana di Gregorio di Nazianzo, «Paideia», LXV, 2010, pp. 381-392.
Criscuolo 2012 = U. Criscuolo, Sinesio di Cirene fra neoplatonismo e teologia patristica, in H. Seng, L.M. Hoffmann (hrsg.), Synesios von Kyrene: Politik – Literatur – Philosophie, Turnhout, Brepols, 2012Byzantios. Studies in Byzantine History and Civilization», 6), pp. 164-182.
Criscuolo 2014 = U. Criscuolo, Sinesio e i θρυλλούμενα δόγματα, in A. Gostoli, R. Verardi (a cura di), «Mythologeîn»: mito e forme di discorso nel mondo antico: studi in onore di Giovanni Cerri, Pisa, Fabrizio Serra, 2014 («Quaderni di AION/ Dipartimento di Studi del Mondo Classico e del Mediterraneo Antico. Sezione Filologico-Letteraria», 18), Pisa, Serra, 2014, pp. 371-377.
Criscuolo 2016 = U. Criscuolo, Un cristiano difficile: Sinesio di Cirene, in U. Criscuolo, G. Lozza (a cura di), Sinesio di Cirene nella cultura tardoantica (Atti del Convegno Internazionale, Napoli 19-20 giugno 2014), Milano, Ledizioni, («Consonanze»), pp. 9-46.
De Lacy 1978 = Galen, On the Doctrines of Hippocrates and Plato, Edition, translation and commentary by P.H. De Lacy Berlin, Akademie Verlag, 1978 («Corpus medicorum Graecorum», 5.4.1.2).
Drago 2016 = T. A. Drago, Forme di memoria letteraria e strategie allusive in Sinesio di Cirene, in U. Criscuolo, G. Lozza (a cura di), Sinesio di Cirene nella cultura tardoantica, (Atti del Convegno Internazionale, Napoli 19-20 giugno 2014), Milano, Ledizioni, 2016,Consonanze»), pp. 253-264.
Drago 2017 = T.A. Drago, Strategie allusive e forme di memoria tragica nelle “Epistole” di Sinesio, «Vetera Christianorum» LIV, 2017, pp. 31-38.
Garzya 1989 = Sinesio, Opere, a cura di A. Garzya, Torino, UTET, 1989 («Classici greci»).
Garzya – Roques 2000 = Synésios de Cyrène, Correspondance, Texte établi par A. Garzya, traduit et commenté par D. Roques, I-II, Paris, Les Belles Lettres, 2000Collection des universités de France. Série grecque - Collection Budé»).
Gill 1983 = C. Gill, Did Chrysippus understand Medea?, «Phronesis», XXVIII, 1983, pp. 136-149.
Hadot 1972 = P. Hadot, Fürstenspiegel, «Reallexikon für Antike und Christentum», VIII, 1972, coll. 555-631.
Hinterberger 2010 = M. Hinterberger, Emotions in Byzantium, in L. James (ed.), A Companion to Byzantium, London, Wiley-Blackwell, 2010, pp. 123-134.
Lamoureux-Aujoulat 2008 = Synésios de Cyrène, Opuscules, II, Texte établi par J. Lamoureux, traduit et commenté par N. Aujoulat, Paris, Les Belles Lettres, 2008Collection des universités de France. Série grecque - Collection Budé»).
Li Causi 2018 = P. Li Causi, L’ombra del mostruoso: una analisi della caratterizzazione “teratologica” di Medea in Euripide, Esiodo e Apollonio Rodio, «Dionysus ex Machina», IX, 2018, pp. 135-166.
Lombardi 2017 = S. Lombardi, Crisippo e le citazioni poetiche: il caso della “Medea”, «Acme», LXX, 2017, pp. 67-83.
Lozza 2017 = G. Lozza, Il sogno secondo Filone di Alessandria, in E. Baricci (a cura di), Sogno e surreale nella letteratura e nelle arti ebraiche, Milano, Ledizioni, 2017 («Consonanze»), pp. 117-127.
Moreschini 2013 = C. Moreschini, Storia del pensiero cristiano tardoantico, Milano, Bompiani, 2013Il pensiero occidentale»).
Nardiello 2019 = G. Nardiello, Sinesio, De regno 8, 4-9, 4: gli ὀνόματα τοῦ θεοῦ, «Koinonia», XLIII, 2019, pp. 225-268.
Nardiello 2020 = G. Nardiello, Tra teoria della βασιλεία e antropologia cristiana: l’imperatore quale ὁμώνυμος di Dio ‘Grande Re’ nel De regno di Sinesio di Cirene, «Koinonia», XLIV, 2020, pp. 1167-1187.
Nolfo 2018 = F. Nolfo, “Impia Medea”: per uno studio “contrastivo” delle emozioni alla luce della teoresi aristotelica sull’ὀργή enucleata nella “Retorica”, «Sileno», XLIV, 2018, pp. 295-321.
OʼMeara-Schamp 2006 = D. O’Meara, J. Schamp (éds.), Miroirs de prince de l’Empire romain au IVe siècle: anthologie, Paris, Éditions du Cerf, 2006Vestigia», 33).
Pernot 2003 = L. Pernot, Miroir d’un prince par lui-même: les Pensées de Marc Aurèle, in I. Cogitore, F. Goyet (éds.), L’Éloge du Prince. De l’Antiquité au temps des Lumières, Grenoble, ELLUG, 2003 (Des Princes).
Petkas 2018 = A. Petkas, The King in Words: Performance and Fiction in Synesius’ “De regno”, «American Journal of Philology», CXXXIX, 2018, pp. 123-151.
Savinel 1962 = P. Savinel (a cura di), Philon d’Alexandrie, De somniis, Paris, Les Belles Lettres, 2008 («Collection des universités de France Série grecque - Collection Budé»).
Schramm 2017 = M. Schramm, Neuplatonische politische Philosophie in der Rede Περὶ βασιλείας des Synesios von Kyrene, «Elenchos», XXXVIII, 2017, pp. 151-177.
Sesboüé 1982 = Basile de Césarée, Contre Eunome, suivi de Eunome, Apologie. Introduction, traduction et notes de B. Sesboüé s.j. avec la collaboration pour le texte et l’introduction critique de G. M. de Durand o.p. et L. Doutreleau s.j., I, Paris, Éditions du Cerf, 1982 («Sources chrétiennes», 299).
Sesboüé 1983 = Basile de Césarée, Contre Eunome, suivi de Eunome, Apologie. Introduction, traduction et notes de B. Sesboüé s.j. avec la collaboration pour le texte et l’introduction critique de G. M. de Durand o.p. et L. Doutreleau s.j., II, Paris, Éditions du Cerf, 1983 («Sources chrétiennes», 305).
Slings 2003 = S. R. Slings (ed.), Plato, Respublica, Oxford, Oxford University Press («Oxford Classical Texts»).
Susanetti 2020 = D. Susanetti, Il simbolo nell’anima. La ricerca di sé e le vie della tradizione platonica, Roma, Carocci editore, 2020 (Frecce).
Tieleman 2003 = T. Tieleman, Chrysippus on Affections. Reconstruction and Interpretation, Leiden-Boston, Brill, 2003Philosophia antiqua», 94).
Vaggione 1987 = R. P. Vaggione (ed.), Eunomius. The Extant Works, Oxford, Clarendon Press, 1987 («Oxford Early Christian Texts»).
Vegetti 2006 = M. Vegetti (a cura di), Platone, La Repubblica, Milano, BUR, 2006Classici greci e latini»).
Verardi 2009 = D. Verardi, Vita psichica e teoria della conoscenza nel “Libro dei Sogni” di Sinesio di Cirene, «Psychofenia», XX, 2009, pp. 129-152.
 
 

[1] Sulla letteratura περὶ βασιλείας si vedano: Hadot 1972; Blum 1981; Pernot 2003; O’Meara-Schamp 2006; Alvino 2019.
 
[2] Sul De regno di Sinesio si vedano: Garzya 1989, pp. 15-16; Lamoureux-Aujoulat 2006, pp. 1-82; Alvino 2013; Schramm 2017; Petkas 2018.
 
[3] Sulla paideia pagana e cristiana di Sinesio si vedano Criscuolo 2010; Id. 2012; Id. 2014; Id. 2016; per la convergenza di temi pagani e cristiani nel De regno sinesiano si vedano Alvino 2013, Nardiello 2019; Id. 2020. Sul platonismo cristiano di Sinesio si veda, da ultimo, Susanetti 2020, pp. 89-115.
 
[4] Sulla funzione storica e sociale delle emozioni nei testi bizantini si veda Hinterberger 2010.
 
[5] Cfr. ad esempio Aristot., Eth. Nicom. 1.9.1099a 33; 10.1099b 27 Bekker; Pl., Euthyd. 281c Burnet.
 
[6] Syn., De regn. 8.4 Lamoureux-Aujoulat: ἀπολαυόντων οἶκοι καὶ πόλεις καὶ δῆμοι καὶ ἔθνη καὶ ἤπειροι προνοίας βασιλικῆς καὶ κηδεμονίας ἔμφρονος, ἣν θεὸς αὐτὸς ἑαυτὸν ἐν τοῖς νοητοῖς στήσας ἀρχέτυπον, δίδωσιν εἰκόνα τῆς προνοίας, καὶ ἐθέλει τὰ τῇδε τετάχθαι κατὰ μίμησιν ὑπερκόσμιον. «Possano famiglie e città, popoli e nazioni e continenti, godere della tua regale previdenza e della tua assennata sollecitutidine! Dio stesso, posto sé come archetipo fra le intellegibili essenze, offre in esse l’immagine della sua provvidenza e vuole che le cose di quaggiù sien disposte a imitazione di quelle soprannaturali». Qui e di seguito, le traduzioni italiane di Sinesio sono di Antonio Garzya. Cfr. Garzya 1989.
 
[7] Sul concetto di μίμησις τοῦ θεοῦ nella letteratura sulla regalità tardoantica e in Sinesio, si veda Alvino 2019, pp. 29-65.
 
[8] Per quanto riguarda il rapporto tra Sinesio e Basilio di Cesarea nella definizione apofatica della divinità, non vi sono prove certe della lettura diretta da parte di Sinesio del Contro Eunomio e dei Cappadoci; tuttavia, nelle epistole degli anni del vescovato, in particolare nell’epistola 4 Garzya-Roques (cfr. Garzya-Roques 2000, I, 92), Sinesio dimostra di conoscere l’eresia eunomiana. Nel De regno (§ 8) il Cirenense, prima di affrontare la questione degli attributi della regalità, dedica un’ampia sezione alla definizione dei nomi della divinità, ai quali il re è chiamato a conformarsi, chiarendone la natura relativa e non sostanziale. In ciò egli sembra accogliere e riutilizzare l’argomento dei nomi κατὰ σχέσιν πρὸς ἄλλο τι adoperato da Basilio di Cesarea (cfr. Basil., cE 1.7.4-17 = SCh 299, 188-190 Sesboüé) e poi dagli altri Cappadoci per criticare la teoria eunomiana dell’unità ontologica e logica tra nomi ed enti divini e la conseguente divisione sostanziale tra γέννητος (il Padre) e γέννημα (il Figlio): cfr. Eunom., fr. 2 Vaggione = Socrat., hist. eccl. 4.1 [PG 67, 473bc]; apol. 7.11 (SCh 305, 246 Sesboüé = 40 Vaggione); 12.8-12 (SCh 305, 258 Sesboüé = 48 Vaggione). Sull’apofatismo in Sinesio e sul rapporto tra il Cirenense e Basilio di Cesarea nella formazione di teorie apofatiche, si vedano Alvino 2019, pp. 38-39; Nardiello 2019.
 
[9] Syn., De regn. 9 Lamoureux-Aujoulat. Sull’apofatismo nella letteratura cristiana tardoantica e, in particolare, nei Cappadoci, si veda Moreschini 2013, pp. 755-762.
 
[10] Syn., De regn. 10.1 Lamoureux-Aujoulat.
 
[11] «Sappi bene questo, che l’uomo non è un essere semplice e omogeneo, ma Dio ha fatto confluire nella struttura d’un solo essere vivente una massa confusa e dissonante di facoltà. Mi par che noi siamo un mostro più strano dell’idra, con più teste di quella. Infatti non è con lo stesso organo che pensiamo e appetiamo, ci rattristiamo e ci adiriamo, né con lo stesso proviamo gioia e timore. In ciò tu vedi come anche giuochi la presenza del maschio e della femmina, dell’audacia dell’uno e dell’altra; e c’è poi ogni sorta di contrasti, e c’è quella facoltà naturale intermedia fra tutte, che noi chiamiamo ragione e che, a mio avviso, deve signoreggiare sull’anima del re dopo avere sconfitto la tirannia della plebea folla delle passioni». Da segnalare la pregnanza semantica dell’aoristo συνῴκισεν, letteralmente “pose ad abitare”, che rende in modo icastico l’idea della compresenza di facoltà dissonanti nel medesimo individuo.
 
[12] «Una [immagine dell’anima] simile a quelle forme naturali, dissi io, che il mito ci tramanda essere nate nell’antichità – come Chimera, Scilla, Cerbero e parecchie altre che a quanto si racconta costituivano un’unità composta da molte sembianze diverse». Traduzione italiana di Mario Vegetti in Vegetti 2006. Per la teoria della multiformità dell’anima in Platone cfr. anche Pl., R. 9.580 d-e Slings.
 
[13] «Diciamo dunque a chi sostiene che giova a quest’uomo commettere ingiustizia, e che non gli è di alcun vantaggio compiere azioni ingiuste, che egli non afferma altro se non che gli giova pascere l’animale polimorfo, rinforzandolo, e anche il leone e tutto ciò che è proprio al leone, e invece affamare e indebolire l’uomo, in modo che sia trascinato dovunque uno di quelli lo conduca, e non gli è utile abituarli a convivere l’uno con l’altro in amicizia, ma anzi lasciare che si mordano e si combattano divorandosi a vicenda». Traduzione italiana  di Mario Vegetti in Vegetti 2006.
 
[14] «D’altra parte, chi dice che la giustizia giova non sosterrà che bisogna fare e dire cose grazie alle quali l’uomo interiore divenga il più forte nell’uomo composito, e si prenda cura dell’animale policefalo (come un contadino che nutre e coltiva le piante domestiche, a estirpare quelle selvatiche), dopo aver fatto della natura leonina un proprio alleato; e infine, accudendo in comune a tutti gli animali, li renda amici fra loro e a se stesso, e così li allevi?». Traduzione italiana  di Mario Vegetti in Vegetti 2006.
 
[15] Sul rapporto tra Sinesio e Filone Alessandrino, con particolare riferimento al rapporto tra De insomniis e De somniis, si veda Verardi 2009.
 
[16] Su Filone, i sogni e il platonismo giudaico, si veda, da ultimo, Lozza 2017.
 
[17] «Questo è il ciclo che trascina l’anima multiforme in una guerra perenne: infatti quando uno dei nemici viene annientato, ne sorge uno ancora più potente, alla maniera di un’idra policefala». Traduzione a cura della scrivente. Per un ulteriore commento a questo passo si veda Calabi 2010.
 
[18] Cfr. Greg. Nyss., An. et res. 27; 48-57 = GNO 3/3, pp. 4-6. L’idea del νοῦς quale principio guida dell’anima in ottica tricotomica è comune nella letteratura patristica e, successivamente, nei testi bizantini. Si veda a proposito Bertrand 2006. Su Sinesio e Gregorio di Nissa si veda Nardiello 2020.
 
[19] Il tema della funzione pedagogica della visione dell’imperatore si rinviene già in Eusebio di Cesarea in riferimento a Costantino (L. C. 1.3; 7.12; 9.8- 9; 9.11; 10.4 Heikel) e in Temistio, or. 15.192b Schenkl-Downey.
 
[20] «E invero, fra i tanti motivi d’invidia e di felicità che Dio concesse alla regalità, se non più di tutti, certo non meno d’alcuno, si ammirerà e celebrerà l’influenza (del sovrano) sulle anime dei sudditi. Il sovrano è addirittura in grado di cangiare una concezione morale saldata da tradizione antica e da primordiale nutrizione, se mostra d’onorare e di tenere in gran conto il principio opposto: ciò infatti di cui il sovrano si compiace riceverà necessariamente immediato favore e sarà praticato dalla moltitudine».
 
[21] «È necessario chegli trascorra una vita intimamente senza crucci e che sin nel volto mostri una serenità divina: non temibile ma reverendissimo spettacolo è nel suo atteggiamento dimperturbabile ritegno; colpisce dammirazione gli amici, voglio dire i buoni, di sgomento i nemici e malvagi. Non penetra nel suo cuore pentimento, ché egli fa ciò che fa dopo che latto è stato deciso da tutte insieme le parti dellanima, grazie al loro subordinarsi a un principio unico, senza disdegnare e di esser distinte fra loro e di mirar tuttavia a una completa unità. Al contrario, chi dissolva il corso di codeste parti permettendo che siano in molte ad agire e volendo influire partitamente su quella fiera, colui tu vedrai ora esaltarsi nella sua mente, ora abbattersi, sconvolto or dagli appetiti or dalla ripugnanza, da angustie e piaceri e desideri strani».
 
[22] Cfr. Pl., R. 554e Slings.
 
[23] Cfr. Pl., L. 791a Burnet. La metafora avrà fortuna nella letteratura sulla regalità successiva: si vedano, ad esempio, la sentenza 52 e 70 della Scheda Regia di Agapeto Diacono. Per un commento al luogo, cfr. Alvino 2017, p. 6.
 
[24] Nell’ambito della letteratura sulla regalità, l’analogia si riscontra già in Dione Crisostomo, or. 1.13 von Arnim.
 
[25] Frequente è in Sinesio l’uso di citazioni ed allusioni tratte dalla tragedia: cfr. Burzacchini 2012; Drago 2016; Ead. 2017.
 
[26] Sulla caratterizzazione ‘mostruosa’ di Medea si veda Li Causi 2018.
 
[27] «Egli non è mai in armonia con sé stesso. E riconoscendo la contraddittorietà e la disarmonia di facoltà uguali, disse un poeta:
“so bene quant’è immenso il male ch’io m’accingo a compiere, ma più forte in me del pensiero è la passione”.
Ecco dunque la prima e essenziale virtù del re, regnar su sé stesso, ponendo la ragione al di sopra della fiera che con lui coabita e non pretendendo di dominare su migliaia e migliaia di uomini e esser poi schiavo dei padroni più turpi, il piacere e l’affanno e quante di consimili belve convivono con l’essere vivente».
[28] Sull’uso dell’exemplum di Medea nella riflessione antica di ambito aristotelico sull’ira, le emozioni e il conflitto interiore si vedano Battezzato 2017; Nolfo 2018.
 
[29] Su Crisippo e l’uso del tragico, con particolare riferimento alla Medea euripidea, si veda Lombardi 2017; per un ampio commento del passo citato, con ulteriore bibliografia, si veda Tieleman 2003, pp. 170-178.
 
[30] «Se uno, forzato dall’emotività o irretito dal piacere, si allontana dalle sue decisioni originarie, la sua anima è debole e snervata, i suoi movimenti sono determinati dalla passione, al pari dell’anima di Menelao come è presentata dalla tragedia, che abbandona i suoi propositi spinta dal desiderio, e quella di Medea, forzata dall’ira, della quale non so se Crisippo non si accorga di citare contro di sé le parole di Euripide “so bene quant’è immenso il male ch’io m’accingo a compiere, ma più forte in me del pensiero è la passione”. Infatti, se avesse dato testimonianza delle dottrine di Crisippo, Euripide non avrebbe dovuto dire che Medea comprende, ma proprio il contrario, cioè che ella non sa e non comprende il male che sta per compiere». Traduzione italiana della scrivente.
 
[31] «Ma Crisippo non si accorge della contraddizione qui presente e scrive altre innumerevoli affermazioni simili, come quando dice “Questo movimento irrazionale e allontanato dalla ragione è, come credo, molto comune, per questo diciamo che alcuni sono portati via dall’ira”. E ancora “Perciò ci comportiamo nei riguardi di quelli che sono in preda alle emozioni come con quelli che sono fuori di senno e parliamo loro come a delle persone alterate e non sono in sé, né hanno il controllo di sé». Traduzione italiana della scrivente.
 
[32]  Su questa interpretazione del luogo crisippeo in esame, si vedano Gill 1983, pp. 139 e seguenti, e Tieleman 2003, p. 172.
 


Tags

SINESIO , BASILEUS , PSICOLOGIA PLATONICA


Categoria

Antichistica

Scarica il PDF

Siculorum Gymnasium

A Journal for the Humanites

ISSN: 2499-667X

info@siculorum.it