Memoria e rappresentazione

di Franco Farinelli

Soltanto ora iniziamo ad essere in grado di comprendere quel che l’umanista Biondo Flavio, all’inizio del Quattrocento, scriveva in principio della sua Italia Illustrata, protomoderna guida alla geografia della nostra penisola. Il Flavio suggeriva, nello scompiglio generale dei suoi tempi, di aggrapparsi alle ‘tavole’ geografiche, cioè alle mappe, come fossero vere e proprie zattere di salvataggio, perché almeno su di esse i nomi restavano in salda relazione con le cose cui essi si riferivano, e perciò a partire da tale biunivoco rapporto un principio d’ordine del mondo ancora poteva pensarsi, proprio partendo dalla possibilità di ricostituzione di un plausibile livello di memoria. Di fatto, ancora adesso si manca di riconoscere in tutta la sua portata il ruolo decisivo svolto dalla diffusione della rappresentazione cartografica, nuovo formidabile strumento d’organizzazione dell’informazione, nella costruzione stessa dell’idea umanistica, nella messa a punto della sua articolazione e funzione.
Per molti riguardi il sapere umanistico deriva dalla ripresa, avvenuta proprio ai tempi del Flavio, del divieto tolemaico di far direttamente i conti con la sfera terrestre. Sebbene il più fedele – scriveva Tolomeo all’epoca del massimo splendore dell’impero romano – il globo è un modello molto scomodo del mondo, perché implica il movimento del soggetto intorno ad esso, oppure il contemporaneo uso della vista e del tatto: quest’ultimo necessario, se il soggetto resta fermo, per far girare su se stessa la sfera stessa. Di fronte a tali complicazioni, Tolomeo suggerisce di ricorrere invece alle mappe, che esimono il soggetto dalla fatica di spostarsi consentendogli inoltre di aver sotto di sé a colpo d’occhio, vale a dire istantaneamente, tutto quel che gli interessa. È dalla possibilità di tale postura, autentica «struttura strutturante», nel senso che Pierre Bourdieu assegna all’espressione, che deriva il sapere umanistico: quello di un soggetto in grado di mettere un’inedita distanza tra sé e l’oggetto, reso per tal verso passibile di uno sguardo dotato di un’inedita capacità di estraneazione e perciò di penetrazione. Se la memoria, teste il Flavio, diventa la tavola, vale a dire il supporto grafico, il pensiero del soggetto può finalmente articolarsi come esercizio critico, che proprio dalla messa in discussione del dato mnemonicamente registrato trae le mosse.  È da tale originaria anfibolia, per cui l’incertezza dà luogo alla certezza soltanto nel tentativo di fondare su basi certe la critica dunque la possibilità del dubbio, che l’ethos umanistico trae tutta la propria spinta. 
A metà Seicento sarà Cartesio a sanzionare la presa di distanza del soggetto rispetto all’oggetto, distinguendo però e separando in maniera definitiva la res extensa dalla res cogitans e teorizzando l’assenza di ogni affinità (termine da cogliere nel suo valore letterale) tra materia e mente. Di conseguenza la tavola smette di essere considerata quel che ancora per il Bacone del Novum Organum era, «il talamo per le nozze della mente con l’universo» a vantaggio di un soggetto che, proprio perché svincolato da ogni continuità con l’oggetto, mette al lavoro il proprio distacco, trasformandolo in possibilità di riconfigurazione della propria posizione nel mondo, sulla base dell’individuazione delle proprie soggettive capacità: processo la cui possibilità è garantita proprio da tale distacco. Per la coscienza europea con Cartesio la tavola o mappa, consegnata alla sua essenza materiale, smette perciò, in maniera netta ed improvvisa, di essere il trait d’union tra i due poli del processo cognitivo, sicché il suo dettato, che in apparenza non conserva più nulla di quel che è soggettivo, proprio in quanto sottratto ad ogni possibilità di riflessione, acquista un’inedita e assoluta normatività. Che la memoria, estroflessa dal soggetto ed oggettivata sia qualcosa di materiale, è un’affermazione che oggi, al tempo della cibernetica e della Rete, non sorprende nessuno. Ma questo accade soltanto perché l’attuale condizione è l’esito dell’intera storia della modernità, con una differenza però decisiva rispetto alla situazione originaria, al momento aurorale dell’ethos umanistico: l’estrema difficoltà alla preservazione dell’attitudine critica nei confronti della memoria stessa, vale a dire della mossa costitutiva dell’intero sapere moderno.
In ciò infatti consiste la nativa ambiguità del sapere umanistico: nella sottomissione all’acribico scrutinio della base stessa del suo fondamento. E tale atteggiamento nasce nello stesso tempo e nello stesso luogo in cui si compie l’individuazione in termini moderni del soggetto, sotto il portico che funziona da facciata dell’Ospedale degli Innocenti, concepita e in parte realizzata da Filippo Brunelleschi tra il 1421 e il 1427: la prima architettura costruita secondo il criterio della moderna prospettiva lineare fiorentina, quella che Erwin Panofsky chiamava «artificiale» per distinguerla dalla prospettiva naturale degli antichi. L’atteggiamento umanistico nasce proprio perché sotto il portico brunelleschiano si trattava di credere e allo stesso tempo di non credere: bisognava insomma decidere se due rette parallele prolungate all’infinito non s’incontravano (come Euclide aveva prescritto e come l’intera cultura classica e medievale ritenevano), oppure se, al contrario, esse arrivassero a congiungersi, come appunto all’interno del portico in questione l’occhio e la mente sono costretti ad immaginare, perché le linee del pavimento sembrano proprio convergere in direzione del punto di fuga, rappresentato dal centro della finestrella che si oppone allo sguardo dello spettatore. In tal maniera la realtà si presenta strutturalmente dilemmatica, anfibia, a tal punto da rovesciarsi istantaneamente, a seconda del senso cui ci si affida, nel contrario di quel che un momento prima appariva: la vista dice esattamente il contrario di quello che tutto il resto del corpo, a partire dal tatto, dice, e tra le due versioni di necessità bisogna scegliere. È proprio dalla scelta imposta dal trucco prospettico (qui alla sua prima materiale ed esemplare prova) che deriva la radice dell’individuazione del soggetto moderno, la sua natura riflettente e allo stesso tempo concretamente connessa da un rapporto lineare con quel che esiste, sebbene strutturalmente dubbiosa.
Nei sei secoli che ci separano dall’avvento del codice prospettico moderno lo sviluppo tecnologico si è manifestato come l’agente in grado di rimarginare lentamente la crepa prodotta dall’invenzione brunelleschiana nel monolitico processo di percezione del mondo premoderno, al punto che ogni memoria, catturata ed oggettivata nell’orbita cibernetica, è in grado di impedire qualsiasi tentativo di metterla in discussione: essa stessa divenuta immemore della crisi originaria che ne ha favorito la sua moderna nascita. Al punto che soltanto la critica, sempre più urgente della memoria elettronica (che nel frattempo ha colonizzato molte altre forme, ad iniziare dalla memoria biologica), potrà permettere d’ora in avanti di continuare a pensare ed agire in termini ancora riferibili ai modelli umanistici.

 


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MEMORIA , RAPPRESENTAZIONE , CARTOGRAFIA


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Geografia

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