Orhan Pamuk: oltre i muri

di Adriano Napoli

Lo scorso 20 settembre, nell’ambito di Taobuk, Orhan Pamuk, vincitore del Nobel nel 2006, è stato intervistato da Antonella Ferrara nella cornice dell’hotel San Domenico. Lo scrittore si è raccontato al pubblico, narrando le difficoltà e gli ostacoli che hanno accompagnato la lunga gestazione del romanzo Il museo dell’innocenza, edito nel 2008. Pamuk ha rievocato davanti alla platea la sua Turchia, con le peculiarità che da sempre ne contraddistinguono l’identità, costruitasi nel corso dei secoli: tra Europa e Asia, musulmana eppure curiosa dell’Occidente, rispettosa di una tradizione ormai secolare eppure moderna. Tra i paesi islamici, la Turchia è forse quello più contraddittorio e, pertanto, quello culturalmente più stimolante, forse anche più misterioso: viene da chiedersi come spinte così diverse possano coesistere. Del resto, Pamuk ha ben presente la lezione di Dostoevskij: il bene e il male non sono mai nettamente separati, ma convivono in ogni entità, in ogni uomo. Ipotizzare una dicotomia netta è impossibile, tanto più in Turchia, dove è necessario che le diverse componenti religiose, politiche e culturali siano armonizzate e trasformate in ricchezza. Come ha dichiarato lo scrittore:

Bisogna immaginare un muro grigio e impalpabile. Nel senso che la Turchia può essere conservatrice, può essere liberale, può essere laica, può essere tante cose […]. Parlo delle classi, della questione religiosa, della laicità, del cosmopolitismo, della storia moderna e contemporanea, dell’Islam e del desiderio di modernità e di apertura […]. Però non parlo mai di un muro concreto, visibile, ma di un muro da intuire e immaginare.

Un muro grigio dunque, un muro di cui è difficile comprendere l’estensione, che non può separare nettamente realtà fuse in maniera inestricabile. Nel muro stesso, bianco e nero coesistono, bene e male si fondono: si direbbe quasi che tale ostacolo invisibile sia la chiave d’accesso alla complessità della psiche di ogni uomo, perché suddividere il mondo in buoni e cattivi è una superficiale banalizzazione. E l’indagine su questa complessità «è ciò che rende meraviglioso il lavoro di un romanziere».
Pamuk ha conosciuto bene, nell’arco della sua carriera, le barriere innalzate in Turchia. Ha raccontato delle difficoltà in cui s’imbatté nei primi tempi, quando gli era quasi impossibile pubblicare, e che ostinatamente è riuscito a superare: «Anche il muro dei miei nemici politici ho ignorato, ho continuato a lavorare come se non esistesse, perfino quando sono andato a New York e quasi temevo che non sarei mai tornato in Turchia». Non soltanto di muri invisibili dunque, ma anche di quelli esistenti e tangibili parla lo scrittore; eppure il segreto risiede proprio nell’ignorare, nell’immaginare che di questi ostacoli non vi sia traccia, altrimenti si rischia la resa: «Il modo migliore per evitare un muro è comportarsi come se non esistesse». Ebbene, all’uomo è richiesto di scommettere sull’immaginazione, che è in grado di plasmare il mondo, e di abbattere anche le barriere a prima vista insormontabili: è questo il messaggio di Orhan Pamuk.

 


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TAOBUK , FESTIVAL , ORHAM PAMUK , ROMANZO , LETTERATURA CONTEMPORANEA


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Letteratura

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