Le declinazioni della morte 
Incontri e agguati di Milo De Angelis

di Pietro Russo

«Adesso mi sento un reduce, uno che ha visto le granate cadergli vicino, ammazzare i compagni di trincea. E, come tutti gli scampati, ho delle cose da raccontare…». Così Milo De Angelis in un’intervista del febbraio 1998 (G. FANTATO, A. MANSTRETTA, Uno sguardo verso l’indeducibile, in M. DE ANGELIS, Colloqui sulla poesia, a cura di Isabella Vincentini, Milano, Book Time, 2013, p. 43). A diciassette anni di distanza il poeta milanese sembra avere incubato questo scenario apocalittico fino al recente Incontri e agguati (Mondadori, 2015), che declina in maniera millimetrica e ossessiva il ‘tema’ deangelisiano del corpo a corpo con «quella figura plenaria» che è la morte. Un’adiacenza fisica e psicologica consona a una «Guerra di trincea», titolo per l’appunto della prima sezione del libro, nella quale il soggetto poetante viene solo lambito dalla «vela di una carezza» e mai interamente risucchiato nel gorgo funereo; da qui la sua condizione terribile di superstite, di reduce che per sopravvivere, al pari di una forzata Sherazade (o di un redivivo Orfeo), è costretto ad approntare il resoconto del suo rapporto, di lunga data e mai interrotto, con la nera signora: «Questa morte è un’officina / ci lavoro da anni e anni / conosco i pezzi buoni e quelli deboli, / i giorni propizi, la virtù / di applicarsi minuto per minuto e quella / di sostare, sostare e attendere / una soluzione nuova per il guasto. / Vieni, amico mio, ti faccio vedere, / ti racconto».
È, questa che De Angelis fissa sulla pagina, soprattutto la vana ricerca, esausta ma inesauribile, di un negoziato, di una tregua: «Con la morte ho cercato ancora / un patto, ma lei era astuta e discontinua / appariva nei traffici dell’amore, / diventava giallore e numero fisso / era il respiro e l’artiglio nel respiro / un’ora murata / galleggiava nel fradiciume della vasca»; ovvero una (croni)storia di «incontri e agguati» che nel secondo, omonimo raggruppamento di testi delinea uno sfondo metropolitano (stazioni, fermate di autobus, Polfer, edicole, ecc.) familiare all’opera in versi dell’autore. In questo contesto, che sembra muoversi sulla falsariga (anche lessicale) di «Apparizioni o incontri», cioè la sezione più cupa de Gli strumenti umani sereniani, abbondano le occasioni quotidiane di relazione con un ‘tu’ variamente definito dietro le quali si annida, il più delle volte, un’ombra ben riconoscibile che si allunga minacciosa: «Ti ritrovo alla stazione di Greco / magro come un rasoio e ulcerato da un chiodo / che tu chiamavi poesia poesia poesia / ed era l’inverno eroico di un tempo / che si oppone alla vita giocoliera… / […] e io adesso ti rifiuto / e ti amo, come si ama un seme fecondo e disperato».
Terza e ultima configurazione del leitmotiv di questo libro deangelisiano è infine «Alta sorveglianza», dove l’esperienza di insegnamento dell’autore lombardo nel carcere di massima sicurezza di Opera viene trasposta in uno scambio dialogico (e didattico) tra il soggetto poetico, qui evidentemente sovrapponibile a una figura di docente, e l’interlocutore, che si presenta di conseguenza come discente/carcerato. Alle enunciazioni del primo, nei capitoletti segnati dai numerali romani I-XIV, fa da contrappunto la presa di coscienza (e di parola) del secondo (XV-XXIV), il quale, rompendo il silenzio letale che grava su questo luogo di reclusione – polo del tragico e del destino –, decide di confessare il suo crimine efferato dilatando, nello spazio tempo del racconto, «il minuto esteso della morte».
Solo così, sembra suggerirci De Angelis, è possibile raccogliere il «frutto» maturo di ogni incontro: «quella parola / che alla trincea della fine mostrò un frutto», e che, nella duplice disposizione di racconto e ascolto, è pronta a farsi, in ultimo, poesia: «“Ascolti, / professore, ora parlerò di lei / parlerò della viola naufraga, / del petto martire, della valanga: / parlerò di lei, l’ultimata”».

 


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MILO DE ANGELIS , POESIA , PAROLA , LETTERATURA CONTEMPORANEA


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Letteratura

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