Michael Buonanno, Sicilian Epic and the Marionette Theater, Jefferson, NC, McFarland & Company, 2014, pp. 225, € 43.

di Simona Scattina

L’Opera dei pupi, sviluppatasi intorno alla metà dell’Ottocento, rappresenta la forma più affascinante di teatro popolare siciliano. Tale tradizione teatrale, fondata sull’uso di marionette ‘armate’ e distinta in due diverse scuole (palermitana e catanese), porta in scena l’anima del popolo siciliano dell’epoca: esigenze, sogni e passioni che i nostri avi ebbero modo di esprimere tramite le vicende di eroi nati lontano dall’Isola, ma che in questa terra trovarono la massima sublimazione.
In Sicilian Epic and the Marionette Theater, edito per i tipi McFarland nel 2014, Michael Buonanno invita i lettori a entrare nel mondo cavalleresco carolingio codificato nel teatro popolare siciliano attraverso un’analisi dei vari generi folcloristici che compongono l’opera dei pupi in Sicilia. Epica, farsa, vite dei Santi, vite dei banditi e la storia di una città, Palermo, sono elementi che s’intrecciano e costituiscono per l’autore il sostrato di questa antica quanto moderna tradizione. Il repertorio degli opranti, infatti, oltre a includere il tradizionale ciclo cavalleresco, spesso inseriva storie di mafiosi e briganti, narrazioni storico-romanzesche, avventure garibaldine, agiografie, drammi shakespeariani, insieme a particolari storie di diffusione locale. L’autore evidenzia come, proprio tramite la finzione scenica, il popolo vede rispecchiarsi in questi soggetti le proprie smanie di divertimento, dissacrazione e spiritualità, i conflitti ideologici o sociali, e perfino la morte e la sessualità, espressione dei bisogni e delle inquietudini più recondite dell’animo umano. Il fascino duraturo di queste avventure, secondo Buonanno, è garantito dal fatto di rappresentare una certa identità siciliana e di offrire una critica dei rapporti sociali esistenti nella moderna Palermo. Accade così che, nel vedere i personaggi, «the Palermitan audiece rhetorically recasts epic in its own image and, thereby, allows epic to comment upon Palermitan social order…» (p. 124). L’autore si concentra in particolare su una versione contemporanea de La Chanson de Roland conosciuta in Sicilia come La morte dei Paladini e dedica due capitoli (2-5) per avvalorare questa tesi, paragonando cinque episodi del ciclo carolingio a cinque racconti tratti dal teatro popolare dei burattini.
Il volume, nonostante il merito di portare le glorie del ciclo carolingio all’attenzione dei lettori di lingua inglese, presenta una serie di lacune che ne inficiano la validità; non solo, infatti, manca qualsiasi accenno alla tradizione di area orientale, da cui deriva un’osservazione parziale del fenomeno del teatro di marionette, ma per di più propone una visione semplicistica e manichea della società palermitana, che vede la mafia, il clero, la nobiltà e il popolo come gli unici soggetti di teatro di figura, in quanto costituenti della società (capitolo 8). Peccato davvero per queste ingenuità, che fanno scivolare l’impresa di Buonanno nel novero delle occasioni mancate.

 


Tags

OPERA DEI PUPI , MARIONETTA , LA CHANSON DE ROLAND


Categoria

Arte e spettacolo

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