Federico De Roberto, Ernesta Valle, Si dubita sempre delle cose più belle. Parole d’amore e di letteratura (a cura di Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla), Milano, Bompiani, 2014, pp. 2144, € 35.

di Carmelita Celi

Chi ha cuore ha anche carta. La scrittura è liquido amniotico e creatura già partorita, fatta d’anima e corpo. La scrittura è respiro, nutrimento, scatto vitale. È madre e non ancella del pensiero, la scrittura, come già disse Karl Kraus del linguaggio.
Ma prima d’ogni cosa, la scrittura è miracolo. Lo stesso che permette, a noi e a tutti quanti vorranno rannicchiarsi in un pathos lungo oltre 2000 pagine, di scoprire in Federico De Roberto non solo l’immenso, incontenibile autore dei Vicerè ma anche un insospettato, imperdibile, fagocitante scrittore erotico.
Il ‘miracolo De Roberto’ si compie in Si dubita sempre delle cose più belle (Bompiani), corposo epistolario tra lo scrittore ed Ernesta Valle, ‘accudito’ in ogni parte da Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla.
«Si dubita delle cose che ci stanno troppo a cuore, che si teme di perderle. Ma io, Renata, io che dubito di tante cose, io ho una certezza, salda, incrollabile, superba: che l’amor tuo sarà la consolazione di tutta la mia vita» (De Roberto).
Non poteva esservi titolo più appropriato di quello scelto dai curatori che battezzano con le parole dell’autore un gioiello lieve e ponderoso di 318 lettere, un ‘Calendario’ e un ‘Diario’, 7 biglietti di De Roberto ad Ernesta detta Renata perché ‘rinata’ all’amore. E 401 lettere, 13 cartoline illustrate, 4 postali, 8 biglietti e un telegramma mandati da lei a lui. E poi 7 lettere, 2 biglietti e una cartolina postale a De Roberto di Guido Ribera, avvocato messinese e marito di Renata. Non frammenti di un discorso amoroso ma lapilli, pietre rotolanti.
De Roberto conosce Ernesta nel salotto di casa Borromeo, nel maggio del 1897: da allora, per sei anni filati, sarà carteggio serratissimo di «parole d’amore e di letteratura» (come recita il sottotitolo del volume) che le pagine dispensano con tanta noncurante e avveduta generosità, giacché consentono «di penetrare nell’officina segreta dello scrittore, nella camera oscura dell’ispirazione», avvertono i curatori.
Ernesta/Renata detta anche Nuccia (da femminuccia) era altro ed oltre che donna dello schermo o algida musa compiacente: colta e raffinata, ella fu, in anni cruciali, cruciale confidente letteraria, editor romantica e accorta. Con lei e con lei sola, «Rico» volle centellinare ogni dettaglio di vita. I libri, specialmente. D’altri e suoi, ancora in itinere e già bellissimi. Per Il Rosario – piccola meraviglia corteggiata, poi, dai grandi del teatro che invece De Roberto motteggiava come «novellina sceneggiata», «drammettino», «lavoretto» – la consulenza amorosa e amorosamente ‘scientifica’ di Renata fu decisiva. E Federico, ‘rinato’ Rico, misogino, forse, svogliatamente e costantemente figlio di «mammuzza» (Donna Marianna), d’emblée diventava focosamente femminista, seppure a suo modo.
Duemila pagine non sembrano abbastanza se, dopo parole che scottano e desideri che sono imperiosi comandi d’amore, tanto ‘spasimo’ è destinato ad estinguersi nella fuga graduale e inesorabile di Federico da Renata.
Sembra quasi un colpo a tradimento. In realtà non è tradire ma tradere. È passare, offrire, affidare una memoria storica al singolare che diventa paradigma al plurale.
Ma negli ‘spasimi’ di Rico e Renata c’è questo ed altro.
C’è, per esempio, la riabilitazione e ‘ri-abitazione’ d’uno spazio storico mutevole e mutato che pure ci appartiene ancora, i palpiti di una Weltanschauung particolare e universale tuttora in grado di restituirci identità, unicità, diversità.

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LETTERE , FEDERICO DE ROBERTO , ERNESTA VALLE , EPISTOLARIO , LETTERATURA MODERNA


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Letteratura

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