Hanane Majri, Ordre et Désordre dans l’oeuvre romanesque de Luigi Pirandello, Berne, Peter Lang, 2014, pp. 368, € 87.

di Antonio Sichera

Il tentativo di analisi dell’opera romanzesca di Pirandello proposto da Hanane Majri parrebbe improntato, se si guarda al titolo del volume, ad una precisa linea di indagine testuale. Sembrerebbe infatti che al centro del lavoro – esito finale della tesi di dottorato recentemente condotta dalla Dr.ssa Majri presso l’Università di Montpellier 3 – si debba  trovare la ricognizione dei grandi assi semantici del kosmos e del chaos, che hanno segnato permanentemente l’immaginario pirandelliano, a partire dall’autorappresentazione di sé come figlio del Caos proposta dallo stesso scrittore siciliano nel Frammento autobiografico. La studiosa però non segue il filo ermeneutico a prima vista ipotizzabile, ma si lancia in una ricostruzione critica complessiva dei romanzi pirandelliani che presenta numerosi elementi di debolezza.
In primo luogo, l’approccio. Lo strumentario critico usato da Majri è essenzialmente di matrice sociologica e psicobiografica. La contestualizzazione storico-sociale del corpus pirandelliano occupa uno spazio preminente nel libro, con esiti di implicito meccanicismo, per cui l’opera appare a più riprese mera espressione o (per dirla all’antica) puro rispecchiamento di una condizione specificamente siciliana, sul piano morale, sociale, storico e politico. Alla stessa maniera, i riferimenti alla biografia pirandelliana in funzione ermeneutica soggiacciono ad una logica di semplicistica lettura degli scritti con la vita, magari sulla scorta di biografie volutamente collocate al limite tra storia e romanzo come quella di Camilleri.
In secondo luogo, e di conseguenza, l’analisi testuale. Impegnata nella raffigurazione, sempre di seconda mano, del milieu familiare, sociale e storico, la Majri si concentra molto poco sull’approfondimento dei testi pirandelliani e sulla loro analisi iuxta propria principia, come se le citazioni presenti servissero quale pura documentazione del discorso sociologico o biografico e soprattutto come se mancasse quella avvertenza oggi imprescindibile sulla centralità ermeneutica del testo stesso. Ne discendono alcuni chiari errori di lettura, come la convinzione, a più riprese ribadita, che il diario di Serafino Gubbio sia steso interamente, alla stregua di un’autobiografia, dopo i fatti della tigre e la perdita della voce, mentre in realtà l’abbandono della scrittura dopo l’afasia è invece un dato centrale nell’explicit del romanzo “cinematografico” di Pirandello. In questo quadro, si colloca altresì lo scarso tasso di intertestualità dello studio, con pochi accenni a Pascal, a Dostoevskji o a Cervantes, anch’essi tutti di seconda mano e mai usati in una direzione interpretativa forte e significativa.
In terzo luogo, il taglio. Purtroppo, infatti, il fil rouge del libro rimane l’ormai datata tesi di Adriano Tilgher sul contrasto tra Vita e Forma in Pirandello. Da qui tutto si diparte, e da qui si fa spazio nel libro la ripetizione inconsapevole di alcuni luoghi comuni della critica, dal relativismo al nichilismo alla schizofrenia, ripetizione plausibile solo se autonomamente rielaborata a partire dai testi. La carenza poi di una bibliografia ampia e aggiornata è resa ancor più grave dalla presenza di diverse citazioni indirette di volumi critici importanti, le cui tesi sono assunte tramite la sintesi di altri studiosi (un esempio per tutti: le tesi di Artioli accennate tramite Ferroni).
In definitiva, pur testimoniando una volta di più la vasta e costante attenzione critica internazionale all’opera di Pirandello, il libro non dà quel che promette e manca l’obiettivo di proporre linee di ricerca e di indagine originali e motivate.


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LUIGI PIRANDELLO , LETTERATURA MODERNA , L'UMORISMO , I QUADERNI DI SERAFINO GUBBIO


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Letteratura

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