Aldo Maria Morace, Ipogei pirandelliani, Roma, Inschibboleth, 2014, pp. 152, € 16.
 

di Mario Minarda

Una dimensione sommersa, disposta tra anfratti libreschi, sottili decostruzioni metaforiche e piani intertestuali è quella che attraversa il nuovo saggio di Aldo Morace su Luigi Pirandello. Un’avventura investigativa che parte da dati in apparenza poco significativi, distanti nel tempo, per coagularsi poi in un bacino interpretativo originale e disegnare un convincente profilo letterario del poliedrico scrittore di Agrigento.
Dal sotterraneo livello di riferimenti biografici poco conosciuti, dalla disarticolata eppure fitta rete delle corrispondenze epistolari con altre personalità a lui vicine, per non dire delle numerose affinità teoriche scovate rileggendo filtri onomastici e citazioni ricorrenti, è ricostruita la poetica romanzesca dello scrittore. Si scopre così una antica filigrana critica che dirama le sue radici in una meravigliosa cristologia laica oscillante tra fantasia allusiva e attinenze precise: come per esempio si ha nel primo capitolo, dove è illustrato il legame tra Camillo De Meis, l’imperatore Adriano e il cognome Meis del personaggio protagonista del Fu Mattia Pascal.
Influenze estetiche e costanti rilevazioni metodologiche, autori prediletti e maestri casuali, lettere e perfino doni nuziali sono tessere componenti un unico mosaico eterogeneo, ibrido tra saggistica e narrativa, riverberato sia nelle pagine della prima parte dell’Umorismo, che nella complessa testualità analitico-lirica di Uno, nessuno e centomila. Ciò percorrendo, come suggerisce bene lo stesso saggista nella Premessa, «spazi inediti e orizzonti inesplorati», i quali danno nuova linfa agli studi ancora oggi numerosi e fruttuosi sull’autore.
Interessante è in questo senso l’approccio scelto per discutere un testo come I vecchi e i giovani: la lente filologica. Uno strumento rigoroso per l’analisi stilistica che si configura come un altro aspetto in evoluzione riguardo Pirandello. Nel secondo capitolo le fasi elaborative del romanzo sono irrelate alle concezioni politiche pirandelliane e non soltanto alle idee contenute nel saggio accademico del 1908. Pertanto il lavorio interno alle strutture è volto ad esprimere «la prismaticità del reale e della storia, la dissoluzione di schemi idealizzati con cui gli uomini tentano di darle un senso assolutizzante» (p. 42).
Infine autoctonia e ancestralità, dimensione mitica e palinsesti culturali colmi di stratificazioni costituiscono i lineamenti di lettura scelti per sondare quel magmatico e pulsante caleidoscopio esistenziale formato dalle Novelle per un anno. Zolfara, luna, notte, realtà urbana disgregata, flusso onirico, epifanie campestri, erosioni mentali sono solo alcune delle parole emblema dell’universo novellistico che, riferendosi a figurazioni liriche, luoghi, propaggini bioetiche e snodi analogici, rilevano contenuti e stilemi della forma breve.
Il vorticoso ed incessante «intersecarsi di piani multipli nella scrittura» (p. 135) rende in definitiva l’opera di Pirandello perennemente inesauribile e plurale, connotata da una mobile plasticità di pensieri e forme che intercettano a loro volta importanti spazi di modernità nel delicato passaggio metamorfico dei generi tra Otto e Novecento.

 


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LUIGI PIRANDELLO , IL FU MATTIA PASCAL , LETTERATURA MODERNA


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Letteratura

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