Nunzio Zago, Giuseppe Traina (a cura di), Il Miglior Fabbro. Bufalino fra tradizione e sperimentazione, Leonforte, Euno, 2014, pp. 208, € 14.

di Marta Aiello

Fra i più recenti studi bufaliniani figurano gli interventi del Convegno tenutosi a Ragusa e Comiso nel 2013, ora racchiusi nel volume Il Miglior Fabbro, Bufalino fra tradizione e sperimentazione. All’invito di Nunzio Zago che inquadra la questione critica principale nell’imprescindibilità della ricerca formale di Bufalino da una sua più vasta ricerca di senso, fa seguito il contributo di Gualberto Alvino sulla tecnica compositiva dell’autore, quell’effetto ikebana del trascegliere parole come fiori e disporle per affinità o per attrito in strutture sintattiche ribelli a ogni linearità, al limite dell’isteria della forma, ma mai a scapito dell’urgenza comunicativa. Un classicismo ‘fuori stagione’ quello di Bufalino, il cui rifiuto della Storia vela le pagine di un pessimismo progressivo, evidente fra le prime e le ultime e più disincantate prose, di cui Maria Panetta propone una ricognizione. Anima il contributo di Alessandro Cinquegrani l’utilizzo del mito in Bufalino che, in spregio al ricorso dei moderni ad una mitografia vulgata, gareggia con gli antichi, recuperando ciò che del mito è proprio, il suo statuto di variabilità. Al centro della riflessione di Domenica Perrone troviamo Bufalino e la sua scrittura ossimorica, l’esibizionismo di una parola teatralizzata e l’apologia del silenzio. Si tratta degli estremi di una mistica della scrittura rintracciabile anche nell’intervento di Antonio Sichera sulla religio di Bufalino, che di certo non traluce dall’uso peraltro massiccio della Scrittura, ma da quella patience di salesiana memoria, che può trovare espressione privata o dichiarata, oscillare fra il grado zero del silenzio e la combustione della parola. Su Bufalino scrittore e antologista di florilegi editi e inediti, la cui cifra comune risulta l’autorialità, si sofferma Giuseppe Traina. Novello don Chisciotte alle prese coi giganteschi mulini a vento, anche Bufalino-Robinson erra fra le scritture alle prese con la sua, tutt’altro che funerea, operazione volta a scrivere il romanzissimo dei grandi classici dell’intera letteratura mondiale. Per salvarli, per salvarsi. Fra i temi della scrittura bufaliniana ampio spazio occupa il corpo, a cui Marina Paino dedica la sua riflessione. Martoriato dal male in Diceria, esso costituisce l’unica verità dimostrabile, a discapito di tutto ciò che è parola e menzognero travestimento. Così almeno fino a Calende Greche, dove Bufalino gioca ad aggredire il genere dell’autobiografia e man mano sembra perdere fisicità, sacrificare infine la verità del corpo (con la sua natura inevitabilmente transeunte) alla parola letteraria che sottrae la vita al tempo. E la consegna all’eternità. Di impianto filologico è l’intervento di Giulia Cacciatore che, nell’intenzione di ricostruire l’avantesto di Argo il cieco e di esplorare l’attività letteraria di Bufalino precedente al 1981, inserisce il romanzo inedito Il guazzabuglio in un confronto con Diceria e Argo il cieco, ravvisandone la medesima struttura binaria, giocata da Bufalino sul doppio registro della narrazione e del monologo. Entrare nell’officina del ‘miglior fabbro’ ci immette dentro il processo di una scrittura a ‘procedimento inverso’ che va dalle parole alle cose, dall’unità lemmatica al molteplice della narrazione e via così, verso la costituzione di un opus perpetuum, quel progetto letterario unico che Bufalino ebbe in cuore e che sarebbe rimasto inevitabilmente inconcluso.

 


Tags

GESUALDO BUFALINO , SPERIMENTALISMO , LETTERATURA CONTEMPORANEA


Categoria

Letteratura

Scarica il PDF

Siculorum Gymnasium

A Journal for the Humanites

ISSN: 2499-667X

info@siculorum.it