Giuseppe Barone (a cura di), Catania e la Grande Guerra. Storia, protagonisti, rappresentazioni, Acireale - Roma, Bonanno, 2014, pp. 296, € 30.

di Tommaso Baris

Il volume curato da Giuseppe Barone sulla Grande Guerra e Catania rappresenta un importante contributo alla più recente discussione storiografica sul primo conflitto mondiale. La novità maggiore della raccolta di studi realizzata dal gruppo di storici catanesi sta indubbiamente nel tentativo di leggere la partecipazione al conflitto partendo dalle sue conseguenze nella realtà meridionale. Il volume quindi non si limita a ricostruire il contributo della Sicilia in termini di uomini e mezzi alla Grande Guerra, nonché all’elaborazione culturale ed intellettuale dell’interventismo, ma parte assai opportunamente dal modo in cui la partecipazione al conflitto ha inciso sulla situazione economica e sociale del Mezzogiorno, e della Sicilia in particolare. È dunque dentro questo duplice prisma che la vicenda catanese viene letta ed interpretata. Come ricorda opportunamente Barone tornando sulle cifre della partecipazione del meridione, viene smentito in questo modo ogni stereotipo su una guerra prevalentemente settentrionale: la Sicilia, con l’8,7% dei mobilitati totali, è la regione meridionale che maggiormente partecipa allo sforzo bellico, registrando 53 mila caduti finali, vale a dire l’8,1% del totale. Catania e la sua provincia, con rispettivamente 1498 caduti e quasi 8 mila vittime complessive, stanno lì a ricordare l’elevato livello di inclusione di tutte le realtà locali nella partecipazione alla guerra. Ancor più interessante appare tuttavia la seconda linea di ragionamento proposta nell’introduzione: partendo dai dati economici recentemente rielaborati da Vittorio Daniele e Paolo Malanima, Barone fa notare come siano state le due guerre mondiali a fare da spartiacque, attraverso il profondo aumento della differenza di reddito pro-capite, tra l’Italia meridionale e quella settentrionale. La prima guerra mondiale, dunque, viene riletta come l’evento che, alterando i rapporti tra agricoltura ed industria, tra città e campagna, nel quadro della mobilitazione bellica per la guerra totale, pone fine ai tentativi del meridione di rinsaldare la propria vocazione produttiva nel campo dell’esportazione agricola, dal grano alle colture pregiate. Si blocca così un processo di crescita ed inserimento nei mercati internazionali dell’economia meridionale, iniziato a livello locale al tempo dell’età giolittiana e sostenuto dal riformismo nittiano della “Legislazione speciale” a livello nazionale. È in questo quadro che i saggi successivi leggono le trasformazioni prodotte dalla guerra, direttamente ed indirettamente, sulla realtà catanese. I saggi di Barone e Schininà sono dedicati alla vita politica locale e si concentrano in particolare sulla fine del sistema politico creato da De Felice Giuffrida, proprio sulla scia della scelta interventista del blocco popolare che aveva governato nel periodo precedente la città e della scelta pro-bellica dell’intellettualità cittadina, specie universitaria, raccontata da Granata e alimentata anche dal movimento futurista locale, la cui grande produzione in termini di riviste e fogli letterari è stata ricostruita da Pinella Di Gregorio. Il racconto della guerra, dal punto di vista dei soldati, è affidato al saggio di Alessia Facineroso, mentre Chiara Pulvirenti ricostruisce la durissima legislazione del Comando supremo verso i propri soldati. I lavori di Concetta Sirena e di Margherita Bonomo si concentrano invece sull’azione di assistenza sociale svolta dalla diocesi etnea e sul protagonismo femminile, mentre il saggio di Poidomani analizza il processo di costruzione della memoria della Grande Guerra nella provincia al fine di nazionalizzare le masse locali coinvolte e travolte per molti versi dal conflitto mondiale.

 


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CATANIA , GRANDE GUERRA , MERIDIONE , RAPPRESENTAZIONE


Categoria

Storia

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