Marina Paino, Il moto immobile. Nostoi, sonni e sogni nella letteratura siciliana del ’900, Pisa, ETS, 2014, pp. 246, € 25,00.

di Matteo Di Gesù

L’ossimoro che intitola la raccolta di saggi di Marina Paino, Il moto immobile, deve essere inteso dal lettore come un vero e proprio paradigma interpretativo, come il vettore di una traiettoria che orienta programmaticamente il meticoloso (ri)attraversamento del canone novecentesco siciliano operato dall’autrice. Il ricorso al tema allegorico del viaggio quale chiave critica capace di schiudere molti dei sensi e dei sovrasensi archetipici della narrativa degli scrittori siciliani non è certo nuovo: sia che si tratti di un abbandono ovvero di un ritorno, o ancora di un transito iniziatico nell’Isola impareggiabile. Ma il lavoro di Paino non vuole essere la mera rassegna delle occorrenze di una topica, quanto piuttosto, come si diceva, una rivisitazione complessiva che verifichi e disveli le implicazioni di questa opzione ermeneutica che tiene insieme fuga e stasi, permanenza e abbandono, origine e destino: «Nella narrativa dei siciliani la rappresentazione dell’immobilità si manifesta così come autodifesa da una lunga sequela di sopraffazioni e ingiustizie e, insieme, come denuncia di essa, colorandosi metaforicamente di valenze ideologiche talora inseparabili da quelle esistenziali, espressione, queste ultime di una vocazione alla chiusura dentro ai confini dell’isola, che lascia fuori qualsiasi possibilità di reale contatto con l’esterno» (p. 5).
Che questo paradigma possa funzionare efficacemente non solo per decifrare singoli testi o luoghi notevoli, ma per l’interpretazione complessiva e sintetica di un intero corpus d’autore, lo dimostrano in apertura le sezioni dedicate a Vittorini e Brancati: non solamente Conversazione in Sicilia, Gli anni perduti o Don Giovanni in Sicilia, come sarebbe stato ovvio presumere, ma anche romanzi come Il garofano rosso risentono di questa sorta di vocazione ontologica propria degli autori nati di qua dal faro. Ancora più produttivo, tuttavia, esso si rivela per l’opera di Vincenzo Consolo e Gesualdo Bufalino (al quale Paino aveva già dedicato altri studi), scrittori che, per itinerari diversi, paiono incarnare emblematicamente i due termini eponimi del saggio, e tra i loro estremi oscillare: un irrequieto peregrinare ulissiaco per l’autore del Sorriso dell’ignoto marinaio, una sedentarietà ossessivamente interrotta da «viaggi immobili» (p. 186) per il grande comisano.
Ma, volendo ancora declinare le implicazioni del titolo, esse si rivelano reticenti, ovvero solamente allusive (in quel dittico «sonni e sogni» del sottotitolo), relativamente a un altro fondamentale approccio che attraversa i capitoli del volume, e che riguarda il rapporto con le immagini, l’ekphrasis e più in generale lo sguardo e l’atto del guardare (forse il lemma ‘visioni’ poteva essere aggiunto agli altri tre, a ulteriore denotazione dell’impianto critico complessivo).
Se, anche in questo caso, si poteva ritenere irrinunciabile quanto opportuno il ricorso agli elementi della sfera visiva per ripensare all’Ignoto consoliano o alle cecità bufaliniane, nonché alle ecfrasi sciasciane (autore al quale sono dedicati i capitoli centrali; ma decisivo si svela in Brancati «il legame della sfera erotica con quella visiva, l’ideale sostituzione dell’occhio al membro virile», annota argutamente Paino a p. 64), spicca per originalità Immagini e finzioni, uno dei due saggi sul Gattopardo. Nello studio dedicato al capolavoro di Lampedusa, la studiosa, calibrando il valore simbolico di tutte le rappresentazioni pittoriche che ricorrono frequentissime nel romanzo (dalla prima all’ultima pagina, è il caso di dire: dagli affreschi del salone in cui si recita il rosario nel capitolo di apertura alla falsa Madonna della Lettera dismessa da Concetta nell’epilogo) restituisce una rilettura del testo assai innovativa, nella quale sono riprese e approfondite alcune acute intuizioni a suo tempo formulate da Silvano Nigro.
È qui che l’autrice si affranca con maggiore destrezza dai rischi che corre, suo malgrado, qualsiasi studioso della materia letteraria siciliana: quello di fornire argomenti a chi, con troppa superficialità, presume di ricavare dai dati testuali inesorabili assunti essenzialistici sull’identità dei siciliani.



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Letteratura


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