Gioacchino Barbera, Giovanna Cassata, Evelina De Castro (a cura di), Mattia Preti nel quarto centenario della nascita (1613-1699): la pittura di Mattia Preti nei musei siciliani, Palermo, Trombino, 2014, pp. 45, edizione fuori commercio.

di Giuseppe Fiaccola

Cavalierato e committenze di prestigio, eclettismo e spiccata sensibilità religiosa: è quanto emerge con forza dal catalogo della giornata di studi dedicata a Mattia Preti dalla Galleria di Palazzo Abatellis. L’evento si lega alle importanti mostre allestite a Taverna, città natale del pittore, e al Museo di Belle Arti di La Valletta, che, come controparte del prestito dei Quattro evangelisti concesso dalla galleria palermitana, ha inviato una Natura morta attribuita a Giuseppe Recco, fornendo in tal modo lo spunto per un produttivo confronto con gli altri quadri del genere esposti nel museo siciliano. Il catalogo, seppur nell’esiguità dell’esposizione, approfondisce vicende e tematiche inerenti le realizzazioni dell’artista oggi presenti in Sicilia, efficacemente ripercorse nel contributo di Vincenzo Abbate, prodotto di fecondi rapporti con committenze aristocratiche ed ecclesiastiche siciliane legate all’Ordine di Malta. Un discorso a parte merita invece il nucleo di dipinti di Palermo (G. Cassata), ivi giunti da Napoli in tre diversi momenti, tra il 1828 e il 1838, provenienti dalle collezioni reali borboniche di Francesco I e del suo precettore, il marchese Haus, e infine del suo successore Francesco II. Anello di congiunzione fra la città partenopea e l’isola dei cavalieri sono i due disegni dell’Abatellis, riconosciuti come preliminari ad alcuni brani di realizzazioni presenti in entrambe le località. Sandro Debono, direttore del Museo di Belle Arti della capitale maltese, palcoscenico diun cospicuo corpus di dipinti pretiani, insiste sulla matrice lanfranco-guercinesca della produzione del pittore, arricchita da richiami napoletani a Ribera, barocche teatralità venete di ascendenza veronesiana e suggestioni fiamminghe, queste ultime riscontrabili nei Quattro evangelisti dell’Abatellis che sembrano suggerire contatti con Rubens. Emerge una straordinaria padronanza di differenti linguaggi pittorici, personalmente rielaborati nel rispetto di quella che Roberto Longhi definì «metodica poussianiana». Tali richiami alle principali correnti di gusto del periodo si fondono con l’attenzione al sentimento religioso in primis maltese, promosso dall’Ordine di San Giovanni in virtù dei suoi rapporti con la chiesa di Roma. L’iconografia del San Luca che dipinge la Vergine percorse tutta la penisola dal 1651 al 1698, riproposta in diverse versioni, da Modena a Catania, dove spicca il quadro di Castello Ursino, fino a salpare a Malta con il dipinto della cattedrale di Mdina che chiude la sequenza. Il San Luca catanese, a dimostrazione della grande capacità di spaziare epoche e stili differenti, muove dal crudo realismo materico riberesco ai richiami alla tradizione bizantina della Glykophilousa e alla devozione tutta maltese della Madonna di Damasco, riscontrabili dentro il quadro esibito dal Santo (G. Leone). Unica opera dell’artista sopravvissuta a Messina è la Madonna della Lettera (G. Barbera), taciuta dalle fonti locali e annoverata fra le opere di Mattia Preti da Longhi, che la giudicò successiva al 1665; tale ipotesi è confermata dallo stesso Abbate che la ritiene realizzata fra il 1660 e il 1674, arco di tempo durante il quale, prima della rivolta antispagnola, si intensificò il culto della veneratissima patrona della città.



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Arte e spettacolo


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