L’Europa e i programmi di condivisione

di Maria Chiara Ferraù

 

La Sicilia è il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un profumo …
Ma quello che ne fa una terra necessaria a vedersi e unica al mondo è
il fatto che,
da un’estremità all’altra, essa si può definire uno strano e divino museo di architettura
.
(G. de Maupassant, Viaggio in Sicilia, 1885)

 

Ogni anno migliaia di giovani europei preparano i loro bagagli pieni di libri, speranze e sogni e partono per quell’avventura costituita dai programmi di studio europei quali Erasmus, Comenius, Erasmus+, Leonardo. Ad attenderli, negli ultimi trent’anni di storia dell’Erasmus, gli atenei di tutti gli Stati che fanno parte dell’Unione. Il progetto europeo Erasmus parla italiano. L’ideatrice Sofia Corradi, già docente di Educazione permanente all’Università Roma Tre, per prima, nel 1969 aveva ipotizzato un programma di mobilità fra le università. Un’idea concepita in seguito ad una grande arrabbiatura e un’umiliazione. «Ho promesso a me stessa che nessun altro studente avrebbe dovuto subire un’offesa come quella che avevo patito io», ha dichiarato «mamma Erasmus», a cui nel 2016 è andato il prestigioso premio Carlo V assegnatole direttamente dal Re di Spagna, Filippo IV, e dal presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. Tutto inizia nel 1958 quando «mamma Erasmus» viene cacciata dallo sportello della segreteria della sua università perché “rea” di aver chiesto il riconoscimento della borsa di studio Fulbright alla Columbia University di New York, dove aveva conseguito un master in diritto comparato. «Mi hanno guardata con disprezzo», dichiara Corradi al giornalista de La Stampa, «dileggiandomi davanti a tutti. In quel momento è nata l’idea dell’Erasmus».

Il progetto prende il nome dall’umanista Erasmo da Rotterdam che nel 1500 intraprese diversi viaggi e scelse in particolare l’Italia per ampliare i propri studi. Dopo ben diciotto anni di battaglie il progetto Erasmus della Corradi prende forma e nel 1976 per la prima volta vengono sostenuti esami da studenti italiani in Francia ritenuti validi in Italia. Una fase sperimentale che avrebbe poi portato, undici anni dopo, alla nascita ufficiale dell’Erasmus.

Sono milioni gli studenti che in questi ultimi trenta anni devono ringraziare «mamma Erasmus» per aver permesso loro  di trascorrere dei mesi all’estero, conoscere nuove culture, ampliare i loro orizzonti culturali grazie ai progetti dell’Unione europea. Secondo lo studio statistico dell’agenzia nazionale Erasmus+ INDIRE, in Italia sono più le ragazze a scegliere di partecipare ai programmi Erasmus e prevalentemente in Spagna, Francia, Germania e Portogallo per una permanenza semestrale, mentre per i tirocini di tre mesi vengono privilegiate Spagna, Regno Unito, Germania e Francia. Per l’anno accademico 2016-2017 il budget messo a disposizione per l’Italia nell’ambito della mobilità internazionale è stato aumentato del 13% e cinquantadue sono gli istituti di istruzione superiore finanziati. I fondi finanzieranno 3.102 tra studenti e docenti con un incremento del 25% rispetto al 2015. In Italia l’Università Sapienza di Roma è al primo posto fra le mete scelte dai cugini europei, seguita dall’Università degli studi di Milano, dall’Alma Mater di Bologna, dall’Università degli studi di Padova e dal Politecnico di Torino. I primi cinque istituti italiani per numero di studenti in partenza sono, invece, l’Alma Mater di Bologna, la Ca’ Foscari di Venezia, l’Università della Tuscia, il Politecnico di Milano e l’Università di Parma.

La Sicilia, invece, non sembra essere terra di Erasmus. I tre atenei di Catania, Messina e Palermo rappresentano poco meno del 3% del totale nazionale e le cose non sembrano evolversi in meglio. Catania si trova in basso nella classifica e non rientra nemmeno fra le prime 500 università europee. Perché questo divario? I motivi sono da ricercare probabilmente in diversi ambiti. Innanzitutto mancano i corsi di laurea interamente in lingua inglese (a Catania sono 4 su 101 e a Palermo 6 su 126). Bisogna considerare anche le carenze nel servizio di accoglienza e supporto e, probabilmente, anche i continui sbarchi di immigrati negli ultimi anni non hanno contribuito a far cadere la scelta sugli atenei siciliani. Per non parlare poi della sistemazione degli studenti o docenti dei progetti europei. Ad aiutare gli studenti che giungono in Sicilia dalle altre nazioni europee, infatti, sono spesso gli stessi ragazzi che si sobbarcano il compito di aiutare i loro colleghi a cercare un alloggio temporaneo, a districarsi fra i corridoi delle università e a destreggiarsi fra lezioni e libri di testo da studiare per gli esami.

La strada è ancora in salita, ma di certo chi ha scelto di studiare nell’ateneo di Catania non ha fatto una scelta scorretta. In una terra «circundata tutta di lu mari, vistuta d’oru e di lu suli», intrisa di cultura, arte, tradizioni, natura e meraviglie architettoniche e paesaggistiche che non lasciano indifferenti gli studenti di oggi, come quelli di un tempo, vale proprio la pena soffermarsi. Gli studenti 3.0 hanno dalla loro parte le tecnologie più evolute e pazienza se hanno qualche difficoltà a cercare alloggi temporanei, in Sicilia possono contare sull’aiuto di colleghi volenterosi e ospitali. L’università dal canto suo si sta attivando per colmare le lacune con le altre università italiane ed europee. Certo ci vorrebbero anche migliori infrastrutture e trasporti più veloci e al passo con i tempi. Ma si va avanti e si deve sempre guardare al futuro con ottimismo. Gli studenti, che hanno scelto e continuano a scegliere la Sicilia come meta dei loro studi europei, sanno, come lo sapevano i ricchi giovani aristocratici europei del ’700, protagonisti del Grand Tour, che la Sicilia è una tappa molto importante del viaggio, perché è qui «che si trova la chiave di tutto», perché «la Sicilia è il puntino sulla i dell’Italia, […] il resto d’Italia [mi] pare soltanto un gambo posto a sorreggere un simil fiore».


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Educazione e società

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