Migranti. Lo sguardo degli artisti contemporanei

di Daniela Vasta

 

La questione dei migranti stimola in vario modo l’immaginario degli artisti contemporanei; e non potrebbe che essere così se è vero, com’è vero, che le arti visive del nostro tempo ne assorbono e metabolizzano le emergenze.

Si inizierà questo breve percorso da un’esposizione svoltasi a Catania la scorsa primavera: Unfinished culture (Fondazione Brodbeck, 10 aprile – 10 giugno 2016), a cura di Giovanni Iovine e con la direzione artistica di Gianluca Collica, ha presentato contestualmente le opere dei due artisti siciliani Federico Baronello e Mauro Cappotto. Riflettendo intorno alla ricchezza semantica del termine indigenation, le fotografie di Baronello hanno esplorato la realtà della Sicilia come terra di confine, cerniera del Mediterraneo e luogo di politiche e pratiche di accoglienza talora controverse. Lampedusa, Portopalo, le coltivazioni di pomodori a Vittoria, il CARA di Mineo sono divenuti frammenti di un racconto – quello dei migranti in Sicilia – antiretorico, apparentemente asettico, ma allo stesso tempo spietato. Lo stesso effetto sortito dagli oggetti, spogli e incisivi, presentati da Cappotto: un esempio fra tutti è costituito dalla “scala/osservatorio”, che rievoca l’idea del confine e del muro liminale, oltre il quale proiettare sguardi, attese, speranze di futuro.

  Per una semplice associazione iconografica questo oggetto fa venire in mente la sala dedicata al tema dei migranti nel nuovo allestimento della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, curato da Cristiana Collu e presentato al pubblico lo scorso 10 ottobre 2016: sostituendo alla tradizionale narrazione diacronica una stimolante – ma per molti versi problematica – presentazione sincronica, incentrata sulla continuità tematica o iconografica, la sala mette a confronto un grande dipinto realistico di fine Ottocento (Angiolo Tommasi, Gli emigranti, 1896), le fotografie di profughi di Adrian Paci (The line, 2007 e The walk, 2011) e un video, dello stesso artista albanese, che ha per protagonista una piramide umana di migranti assiepati su una scala aeroportuale, come in attesa di una qualche partenza (Centro di permanenza temporanea, 2007). Ritornando in territorio catanese, va ricordata la mostra Artisti di frontiera per i popoli in fuga (Museo Civico del Castello Ursino, 30 aprile – 31 maggio 2016), tassello inaugurale dell’ambiziosa iniziativa Connessus – Jihart. Arte e pace, che, a partire dal 2017, renderà Catania l’epicentro di un progetto internazionale che coinvolgerà le arti visive e performative. L’esposizione ha messo a confronto le luminescenti pittosculture di Giusy D’Arrigo e le opere di Giuseppe Rogolino che, commistionando pittura e fotografia, ha condotto il visitatore in scenari di guerra come Nassirya, Gaza, Ebron, tra i profughi e le popolazioni devastate dalla guerra.

 

 

 

La realtà dei migranti è stata il fulcro del temporaneo: «Museo della fiducia e del dialogo per il Mediterraneo», inaugurato a Lampedusa il 3 giugno 2016. A poca distanza dalla grandiosa Porta d’Europa (2008) eretta da Mimmo Paladino in contrada Cavallo Bianco – a salutare i migranti in arrivo a Lampedusa e a commemorare i tanti morti nel mare – il museo si è avvalso dei prestiti prestigiosi concessi da alcuni musei italiani (fra tutti l’Amorino di Caravaggio proveniente dagli Uffizi, a commemorare Aylan, bambino siriano giunto cadavere su una spiaggia turca e divenuto simbolo del dramma dei migranti) per tratteggiare un percorso emotivamente intenso.

Come intensamente significanti, a partire dalla scelta dei materiali, sono le opere – prossimamente esposte al Parlamento europeo di Bruxelles – del forlivese Massimo Sansavini, che realizza sculture ambientali con il legno delle imbarcazioni ricavato dal cimitero delle barche della base Loran di Lampedusa: i resti delle barche naufragate e gli oggetti rinvenuti a bordo vengono ricomposti in nuovi assemblaggi, i cui titoli ricordano le date delle tragiche traversate.

 

 

 La stessa logica di “risignificazione” sottende le installazioni di Henrietta Labouchere e Olaf Nicolai, realizzate rispettivamente con gli oggetti/reliquie lasciati dai migranti nei centri di accoglienza e le coperte termiche offerte ai naufraghi durante le operazioni di salvataggio; queste opere sono state recentemente presentate a Napoli, presso il Pio Monte della Misericordia (dove è esposto il famoso dipinto caravaggesco Le sette opere di Misericordia) nella mostra “Sette opere PER la Misericordia” (13 febbraio – 13 aprile 2016), allestita in occasione dell’anno giubilare.

Con un’intonazione forse provocatoria ma con un risultato sicuramente eloquente, infine, la vistosa installazione realizzata dall’artista cinese Ai Weiwei (in occasione della mostra Libero, 23 settembre 2016 – 22 gennaio 2017) posizionando verticalmente dei gommoni in plastica arancione sulla facciata rinascimentale del fiorentino Palazzo Strozzi, non è passata inosservata, suscitando numerose polemiche a livello locale e nazionale.

 

 

Cosa hanno in comune queste opere così diverse nella tecnica, nelle intenzioni e nel linguaggio? L’immediatezza e l’efficacia, la capacità di arrivare agli occhi e al cuore senza filtri e intermediazioni, andando a sollecitare in modo diretto e profondo le risorse emotive di chi guarda, invitandolo a una riflessione affettivamente partecipe.

 


Tags

MIGRANTI , ARTE CONTEMPORANEA , FONDAZIONE BRODBECK


Categoria

Arte e spettacolo

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