Breve storia del resto del mondo
Pietro Ruffo alla Fondazione Puglisi Cosentino

di Anna Papale

 

 

La Fondazione Puglisi Cosentino, in collaborazione con la Fondazione Terzo Pilastro, dal 3 aprile al 10 luglio 2016 ha avuto l’onore di ospitare nello storico Palazzo Valle di Catania la mostra dell’artista romano di fama internazionale Pietro Ruffo. La realizzazione della mostra, curata da Laura Barreca, ha permesso di ricostruire il profilo dell’artista attraverso le opere dal 2008 fino al 2016.

Vincitore di significativi riconoscimenti, come il Premio Cairo (2009) e il Premio New York (2010), Pietro Ruffo (Roma, classe 1978) è figlio d’arte e si è fatto apprezzare in tutto il mondo per il suo talento grazie a innumerevoli mostre da Delhi a Mosca, da Johannesburg a Londra e, ovviamente, nel nostro Paese. Attualmente i suoi lavori fanno parte di diverse collezioni museali e fondazioni private di tutto il mondo.

Dalle opere esposte è stato possibile enucleare la poetica dell’artista già a partire dalla caratteristica tecnica esecutiva, che si avvale del bisturi, della leggerezza e poesia della carta per eseguire i suoi lavori, tutti di grandi dimensioni come a voler mostrare già al primissimo sguardo la portata ‘universale’ del suo messaggio. Sebbene gli strumenti espressivi siano quasi rudimentali, l’artista dipana uno dei temi più complessi e che maggiormente ci appartiene: la libertà. La sensibilità di Pietro Ruffo è in grado di indagare ogni sfaccettatura del termine e soprattutto di coinvolgerci nella sua riflessione. Ogni sala ospita ognuna delle declinazioni del tema dal punto di vista dell’autore, che guarda agli eventi mondiali con uno sguardo più profondo, in grado di metterne a nudo gli aspetti reconditi e il loro riflesso in noi stessi. Nonostante si tratti di una tematica largamente discussa, l’artista non rischia mai di scadere nel banale ma sfrutta la probabile esautorazione informativa per orientare le riflessioni dello spettatore in ambiti più personali, educativi e stimolanti. Di conseguenza è inevitabile concludere il percorso espositivo portandosi dentro “qualcosa-in-più”, o, nel linguaggio di Ruffo, diventando più libellule, simbolo di libertà, e oserei dire, lo spirit-animal di Pietro Ruffo, il fil rouge dell’intera collezione, presente infatti in ogni opera, a volte in modo esplicito, altre celato e da scoprire, ma pur sempre presente.

Il percorso comincia con l’imponente opera The Colours of Cultural Map, commissionatagli da Luciano Benetton per il progetto Imago Mundi. Ottimo inizio per presentare il tema: si tratta di uno dei tanti atlanti giganti a fare da supporto a una sorta di diagramma in cui a ogni numero corrisponde una lettera, integrato da una legenda cromatica. Ogni colore indica l’analisi di un fenomeno (come nascite, sviluppo, morti infantili ecc.) e sta allo spettatore scegliere cosa esaminare e dopo scoprire quanto la realtà del mondo sia lontana dalla nostra immaginazione.

L’excursus continua nelle sale dedicate alla Primavera Araba, al Sud Africa e a Beslan. In queste sale il leitmotiv della mostra è palpabile, evocando eventi che per la loro tragicità sono diventati esempio della lotta per la libertà come diritto umano. L’artista utilizza una tecnica simile nelle prime due sale; attraverso l’intaglio sopraelevato, vera e propria firma stilistica di Pietro Ruffo, lo sconforto delle vicende è espresso nel contrasto tra le grandi mappe dell’Arabia Saudita disposte in ordine cronologico, a cui si sovrappongono i manifesti di protesta contro il dispotismo. Per rappresentare la lotta all’apartheid in Sud Africa, l’artista ripercorre la storia del paese a partire dalle prime colonizzazioni olandesi del ’600 e affianca dunque ai primi disegni delle conquiste le più recenti locandine anti-razziali. Per commemorare l’attentato terroristico del 2004 in una scuola di Beslan, forse per la sua triste unicità, l’artista realizza un’opera unica: rivalendosi della formazione tradizionale e classica crea un delicatissimo tempio circolare sorretto da esili colonne cilindriche di carta trasparente. Anche qui la riflessione è indotta dal contrasto, dal grigio della grafite che disegna le macerie del disastro, a cui si contrappone il colore dei bambini, simboli di speranza e rinascita.

Alla riflessione sulla libertà intesa come concetto esistenziale sono dedicate due sale: quella de I sei traditori della Libertà, che ospita i ritratti di sei grandi filosofi (alcuni di essi protagonisti della Rivoluzione Francese il cui pensiero inevitabilmente riverbera sulla questione della libertà); tra di essi spicca il ritratto del politologo Isaiah Berlin, il quale ha elaborato il concetto delle due libertà, positiva e negativa; la seconda sala è dedicata a un solo intellettuale, il profeta Khalil Gibran, e alla sua poesia Sulla libertà, incisa tra le pareti di una scultura-percorribile chiamata da Pietro Ruffo Liberty House. Per la natura stessa dell’opera i visitatori sono spinti a inoltrarsi non solo nella scultura ma anche in se stessi, in una riflessione coadiuvata dalla lettura dei versi della poesia:

 

E in me il cuore ha sanguinato,
Poiché sarete liberi solo quando
Lo stesso desiderio di ricercare la libertà
Sarà una pratica per voi
E finirete di chiamarla
Un fine e un compimento.

 

Qui la libertà non è solo diritto universale ma conquista individuale prima di tutto in se stessi.

Una grande sala è dedicata allo SPAD-SVII l’opera più famosa (e più grande) dell’artista e che descriveremo con le sue stesse parole: «L’ho costruito in scala 1:1, ed è esattamente identico a quello originale utilizzato durante la seconda guerra mondiale e rivestito interamente di fogliettini di carta, come contrasto fra l’oggetto bellico del biplano e la poesia e la leggerezza della carta». Giocosamente e innocentemente Pietro Ruffo smonta la funzione bellica del mezzo e ricorda come i bambini si divertano a costruire aerei di carta, si ritorna così al periodo veramente innocente e libero della vita.

Infine in un piccolo corridoio sono esposte le opere più piccole della mostra, quelle che si possono appendere su una parete ed essere incorniciate, ma è proprio la parete, o meglio la carta da parati, la vera protagonista: non contento del muro bianco su cui erano esposte le sue opere, Pietro Ruffo ha realizzato appositamente per la mostra di Catania l’opera Madri del Mar di Sicilia. Lo scopo dell’opera, oltre a quello meramente estetico appena descritto, è subito evidente: la sensibilità dell’artista viene inevitabilmente scossa dagli eventi tragici del Canale di Sicilia e in particolar modo dal coraggio di quelle madri, a cui possiamo legittimamente attribuire l’aggettivo di «mediterranee«, che le ha spinte ad affrontare la traversata per donare ai propri figli un futuro migliore. Pur provando a pensare al rischio che si corre ad imbarcarsi in questo viaggio, possiamo a malapena immaginare la vita tremenda che hanno lasciato nel loro paese.

 

 

 


Tags

RUFFO , MOSTRA , FONDAZIONE PUGLISI COSENTINO , LIBERTà , MONDO


Categoria

Arte e spettacolo

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