Sfida e incondizionata ricchezza: la dialettica dell’alterità secondo KapuÅ›ciÅ„ski

di Pietro Russo

 

 

«Chi è l’altro per me?» I lettori di Ryszard KapuÅ›ciÅ„ski (1932-2007) non avranno difficoltà a riconoscere in questo interrogativo, così formulato, il cuore palpitante della scrittura del grande reporter polacco. Nato in una città dell’allora Polonia orientale (oggi Bielorussia), ovvero in quell’Est europeo ancora oggi considerato ‘altro’ rispetto all’Europa delle grandi potenze globali, KapuÅ›ciÅ„ski è giunto alla fama internazionale per il suo sguardo intelligente e sensibile (in una parola: umano) sui paesi del Terzo Mondo oggetto di numerosi reportage nel corso della sua cinquantennale carriera. Il confronto con l’alterità – intesa nel suo fondo di speculazione concettuale e, soprattutto, quale orizzonte di un concreto relazionarsi umano – rientra dunque nel quadro di un’esperienza diretta e decisiva alla quale è impossibile sottrarsi, poiché, come riconosce lo stesso KapuÅ›ciÅ„ski, in ultima istanza risultano in gioco il senso e il destino del nostro dirci umani.

Sull’argomento KapuÅ›ciÅ„ski è tornato più volte, anche con una serie di conferenze poi raccolte nel volume L’altro, edito in Italia nel 2007 per i tipi di Feltrinelli. Si tratta, nello specifico, di quattro interventi – tre dei quali datati tra il 2003 e il 2004 e uno solo risalente al 1990 – in cui il tema dell’alterità viene sviscerato da diverse angolature, accomunate però dalla stessa domanda di fondo: Chi è l’altro per me?

Nel primo scritto, Conferenze viennesi, ci troviamo davanti a un excursus storico dei rapporti tra un soggetto coincidente con l’europeo bianco di fede cattolica e tutto ciò che si pone come alterità rispetto all’affermazione di questa identità geografica, razziale e religiosa; da Erodoto – il primo ‘europeo’ a relazionarsi con non-europei (‘barbari’) – ai genocidi del XX secolo che hanno «le macabre fattezze dell’Olocausto»: le pagine di questa storia sono innumerevoli spesso tutt’altro che gloriose. Solo con l’avvento del secolo dei Lumi, secondo KapuÅ›ciÅ„ski, il selvaggio (cioè l’altro) diventa “buono” e la diversità, per usare le parole del naturalista tedesco von Haller, «ci insegna a respingere tutto ciò in cui gli uomini si differenziano e a considerare come voce della natura tutto ciò in cui si assomigliano». Tale svolta, oltre a segnare l’irruzione di un problema etico nella storia della cultura europea, getta le premesse per gli studi etno-antropologici di cui Bronislaw Malinowski, in virtù della sua esperienza sul campo tra le tribù indigene della Melanesia, sarà l’interprete più rivoluzionario. Tuttavia è con il pensiero di Emmanuel Lévinas che l’incontro con l’altro si arricchisce di un valore relazionale: tale scambio è sempre un «evento», un’esperienza unica e irripetibile che spinge il soggetto non solo ad accettare la diversità ma soprattutto a riconoscersi in essa come in uno specchio. La matrice giudeo-cristiana di questa filosofia è ben riconoscibile: se è vero che «il volto dell’altro è il libro su cui sta scritto il bene», allora ognuno di noi deve anche «assumersene la responsabilità».

Il secondo intervento, Il mio altro, ribadisce la natura relazionale e dialettica dell’alterità; pertanto l’interrogativo iniziale andrà scisso in due metà speculari e complementari: “Chi è l’altro per me?” e “Chi sono io per l’altro?”. Basandosi sulla sua esperienza di reporter ‘bianco’ nei paesi ‘neri’, KapuÅ›ciÅ„ski riconosce infatti tre dati (razza, nazionalità, religione) che, definendo il concetto di alterità, determinano l’esito di quel processo dinamico e disseminato di incognite che è ogni incontro reale tra due individui. In queste pagine, ciò che stupisce il lettore odierno è sicuramente il passaggio relativo all’«invasione» dei popoli terzomondisti e all’incapacità dell’Europa di far fronte a questa situazione, per cui ‘noi’ (soggetto collettivo designante il prototipo di europeo cui si faceva riferimento sopra) «trattiamo l’altro soprattutto come un estraneo […], come il rappresentante di un genere separato. E, soprattutto, lo trattiamo come una minaccia«. Considerazione, questa, ammantata di un’aura profetica se si considera che l’intervento in questione risale al 1990! La «profonda crisi», per il reporter polacco, investe prima di tutto il nostro sguardo su un mondo trasformato dalle logiche della globalizzazione; e, segnatamente, quello degli intellettuali, colpevoli, a suo dire, di «una completa indifferenza della letteratura verso un dramma mondiale in atto sotto i nostri occhi […], la manifestazione dell’impotenza di tale letteratura davanti ai fenomeni del mondo contemporaneo».

L’altro nel villaggio globale affronta invece il tema da una prospettiva più speculativa, sulla scorta dell’opera di padre Józef Tischner, esponente di quella «filosofia del dialogo» che si richiama alla lezione di Lévinas e che trova ne La filosofia del dramma del religioso polacco un compiuto punto di sintesi e di esplicitazione teorica. Essendo l’uomo un essere per sua natura relazionale, ovvero «un’esistenza che parla« (ancora Lévinas), attraverso il dialogo è dunque possibile pervenire alla comprensione e al reciproco avvicinamento tra un ‘io’ e un ‘tu’ che entrano in contatto, purché la condizione preliminare di tale incontro sia la volontà sincera e incondizionata di aprirsi all’altro. In mancanza di ciò, il rischio è quello di produrre incomprensioni insanabili e profonde distorsioni di senso come nel caso, assai emblematico, del “villaggio globale” teorizzato – con «forte passione missionaria» – dal cattolico McLuhan agli inizi degli anni settanta. Come si può facilmente constatare nella realtà quotidiana, l’idea della mutua solidarietà tra gli abitanti dello stesso villaggio ha infatti ceduto ben presto all’evidenza di «una folla di persone frettolose, sconosciute tra loro e perfettamente indifferenti le une alle altre».

Infine L’incontro con l’altro come la sfida del XXI secolo, tassello conclusivo di questa silloge saggistica, espone il lettore a un fuoco di domande ineludibili e di implacabile cogenza intorno alle quali si riduce il destino della nostra civiltà:

la rivoluzione elettronica, l’esorbitante sviluppo di ogni tipo di comunicazione, la facilitazione nei collegamenti e negli spostamenti […]
in che modo tutto ciò cambierà il rapporto tra noi – gente di una data cultura – con la gente di un’altra, o di altre culture?
Come influirà sulla relazione io-altro all’interno e all’esterno della mia cultura?

A ciò, ci dice KapuÅ›ciÅ„ski, siamo tutti chiamati a rispondere, più in termini di praxis che verbali, per non sprecare la «Grande Occasione» che storicamente ci viene presentata, affinché non vada estinto l’immenso e grandioso patrimonio culturale di cui siamo (im)modesti custodi.

 


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KAPUśCIńSKI , SAGGISTICA , REPORTAGE , EST EUROPA , ALTERITà


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Letteratura

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