G. Verga, Lettere ai fratelli (1883-1920), a cura di G. Savoca e A. Di Silvestro, Catania-Leonforte, Fondazione Verga – Euno Edizioni, 2016, pp. 564.

di Giuseppe Palazzolo

 

 

 

Nell’assenza di moderne biografie verghiane, dovuta allo stato talvolta lacunoso, talaltra magmatico e dispersivo della documentazione, soprattutto di quella familiare, l’unica strada percorribile per addivenire a una ricostruzione rigorosa e scientifica rimane quella dell’edizione dei materiali epistolari.

È però vero che proprio il versante della scrittura familiare è stato quello più trascurato dell’opera di Verga, spesso sottoposto a manipolazioni, sottrazioni, antologizzazioni strumentali, trascrizioni approssimative, dimenticando che esso assume una funzione centrale sia in ordine a una più approfondita conoscenza della vita e dell’opera dello scrittore catanese, sia a uno scavo ‘diverso’ del sottosuolo biografico che in modi spesso inattesi si disvela dietro la superficie apparentemente tersa e levigata della narrazione verista.

Nuove prospettive di indagine emergono da una lettura filologica di questi materiali, spesso considerati come inerte deposito di resoconti minuti, spicciole cronache quotidiane, modesti ‘diari di bordo’. Nel caso di uno scrittore come Verga essi vanno invece studiati in stretta correlazione con tutti gli incartamenti ‘allotri’ (documenti notarili, carte familiari, ecc.), oggi conservati per la maggior parte presso l’Archivio storico del Comune di Catania.  Questo fondo offrirebbe, terminato il faticosissimo lavoro di catalogazione dei documenti, riferimenti fondamentali per ricostruire una fase ancora tanto oscura della vita di Verga quale quella della sua formazione nell’ambiente catanese (le uniche notizie vengono dai preziosi contributi di De Roberto, tasselli di quella bibliografia mancata oggi leggibili nel prezioso volume Casa Verga e altri saggi verghiani, curato da Carmelo Musumarra negli anni Sessanta per Le Monnier).

Che l’edizione di un carteggio familiare sia un lavoro che intreccia filologia materiale, sondaggio archivistico, spogli linguistici interni ed ‘esterni’, ricostruzione ipotetica dell’esistito sulla base dell’esistente, lo conferma la recentissima edizione delle Lettere ai fratelli (1883-1920), curata da Giuseppe Savoca e Antonio Di Silvestro per la serie «Carteggi» pubblicata dalla Fondazione Verga di Catania. Scrivono gli autori nella premessa: «Le numerose raccolte già pubblicate potrebbero suggerire l’idea che il più del lavoro documentario su questo versante sia stato già fatto, ma nella realtà le cose stanno in maniera alquanto diversa, soprattutto per la modesta qualità filologica di molte delle stampe e delle edizioni realizzate» (p. 18).  Insieme con il precedente volume delle Lettere alla famiglia (1851-1880) (Acireale-Roma, Bonanno, 2011), il carteggio con i fratelli Mario e Pietro, condotto sui materiali acquisiti nel 2008 dalla Regione Sicilia presso la prestigiosa casa d’asta Christie’s di Parigi, costituisce un tentativo di attraversamento della vita dello scrittore da un’angolazione che, proprio per la scarsa attenzione ai materiali epistolari familiari, si è finora basata per lo più su testimonianze indirette.

Emerge dalla lettura di queste lettere, per la quasi totalità inedite, un fil rouge che pone queste missive «come naturale prosecuzione dell’involontario romanzo familiare ‘autobiografico’» (p. 18) già delineato con le lettere alla madre. Ma ad assumere fortissimo rilievo sono i temi che saranno al centro della produzione post-malavogliesca: il confronto continuo e la lotta strenua con l’ambiente letterario, giornalistico e teatrale; la gestione della ‘roba’ condotta spesso a distanza; l’interminabile contenzioso per Cavalleria rusticana con Mascagni e Sonzogno; il culto degli affetti e il ricordo degli assenti (su tutti la madre); il senso altissimo della missione del letterato e, legata ad esso, la concezione di un’arte scevra da compromessi con ogni logica ‘mercantile’.

La novità di questa edizione è innanzitutto di tipo metodologico, in quanto essa, trattando documenti mai trascritti in precedenza, si avvale della lettura diretta degli originali, conservandone tutte le particolarità grafiche, interpuntive, paragrafematiche. La trascrizione inoltre mantiene tutte le caratteristiche dell’usus scribendi di Verga, perfino gli errori d’autore che, allo scopo di rafforzare il contatto diretto del lettore con le oscillazioni emotive di una scrittura poco controllata per la sua stessa natura, vengono mantenuti nel testo, dove sono segnalati tra parentesi quadre.

Si tratta pertanto di un’edizione conservativa, la quale si serve di un apparato contenente tutte le informazioni sui manoscritti, di cui registra correzioni e particolarità grafiche. Oltre a queste note filologiche, va segnalata l’importanza del commento che, avvalendosi non solo del riscontro con gli altri carteggi editi, ma anche con materiali d’archivio, cerca di illuminare dettagli biografici, riferimenti storici, personaggi secondari e (sulla base di riscontri con altri autografi degli epistolari verghiani e con le opere edite) elementi linguistici e stilistici significativi.

Per la vastità dei materiali offerti, per l’attenzione alla materialità linguistico-stilistica dei testi, per la curvatura ermeneutica offerta alla lettura del documento, l’edizione delle Lettere ai fratelli costituisce un modello esemplare, che auspichiamo fecondamente riprodotto,  per l’ecdotica dei testi epistolari moderni. 


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letteratura , VERGA , MANOSCRITTO , DOCUMENTI , EPISTOLARIO


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Letteratura


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