La peste tebana nell’Edipo re di Sofocle e nella pittura neoclassica. Similarità con la pandemia attuale

di Diana Perego

 

1. La peste tebana in Edipo Re

La tragedia sofoclea Edipo re, come è noto, è ambientata nella città di Tebe sconvolta dalla peste.[1] L’allusione all’epidemia ateniese del 430 a.C. è tuttora vexata quaestio, qui non affrontabile, che si intreccia anche alla problematica datazione del dramma.[2] Posto che le allusioni storiche siano reali, esse non garantiscono comunque la prossimità cronologica della tragedia agli eventi storici allusi. Al contrario è ammissibile una certa distanza temporale da avvenimenti così dolorosi.[3] In ogni caso è verosimile che tali suggestioni avessero colpito il pubblico a teatro benché, è bene evidenziarlo, l’epidemia in Sofocle sia trasfigurata in senso fortemente letterario.[4] «Noi non sappiamo quando sia stato rappresentato lEdipo re, ma la capacità che ha il teatro di sospendere, anche in virtù del rituale che gli è proprio, i tabù della vita quotidiana, vanifica le preoccupazioni di chi [...] vuole anteporre o allontanare la data di rappresentazione della tragedia rispetto a quella del famigerato λοιμός:[5] anche ciò che si caccia dalla porta può rientrare dalla finestra del teatro», queste le parole convincenti di Giuseppe Serra nel fondamentale studio Edipo e la peste. Politica e tragedia nell’Edipo re.[6]

Di seguito sono riproposti tutti i riferimenti all’epidemia presenti nel testo greco; come vedremo essi sono limitati nel numero e concentrati all’inizio del dramma. 

Nella prima battuta del prologo Edipo si rivolge ai cittadini supplici chiedendo loro perché si trovino davanti alla reggia di Tebe, cosa temano e desiderino.[7] Nelle parole del re troviamo la prima allusione alla peste:

 

πόλις δ᾽ ὁμοῦ μὲν θυμιαμάτων γέμει,

ὁμοῦ δὲ παιάνων τε καὶ στεναγμάτων·

Tutta la città è satura d’incensi, tutta risuona d’inni propiziatori e di lamenti.[8]

 

Notiamo la connotazione sinestetica della situazione: il cattivo odore coperto dall’incenso, le preghiere e i lamenti, di cui non è esplicitata la causa. 

Prende quindi la parola il sacerdote di Zeus che riferisce a Edipo più dettagliatamente la condizione della città:

 

πόλις γάρὥσπερ καὐτὸς εἰσορᾷςἄγαν

ἤδη σαλεύει κἀνακουφίσαι κάρα

βυθῶν ἔτ᾽ οὐχ οἵα τε φοινίου σάλου,

φθίνουσα μὲν κάλυξιν ἐγκάρποις χθονός,

φθίνουσα δ᾽ ἀγέλαις βουνόμοις τόκοισί τε

ἀγόνοις γυναικῶν· ἐν δ᾽  πυρφόρος θεὸς

σκήψας ἐλαύνειλοιμός ἔχθιστος, πόλιν,

ὑφ᾽ οὗ κενοῦται δῶμα Καδμεῖον· μέλας δ᾽

Ἅιδης στεναγμοῖς καὶ γόοις πλουτίζεται.

La città, lo vedi tu stesso, è sbattuta dai marosi e non solleva più il capo dall’abisso sotto l’implacabile tempesta. Langue, la città, nei calici fruttiferi della terra, langue nelle mandrie dei buoi al pascolo e nelle donne che non sanno più generare. Circonfuso di fiamme, un dio si lancia sulla città e la tormenta quale peste impietosa, e la casa di Cadmo ne è svuotata, e il nero Ade si fa ricco di lacrime e pianti.[9]

 

La peste, indicata con il termine λοιμός, è accompagnata dall’aggettivo ἔχθιστος (v. 28), ‘nemica’ ossia avversa a Tebe.[10]La descrizione dell’epidemia include la metafora marina (la città è travolta dalla tempesta della malattia) e quella agricola con il canonico parallelismo tra la terra e le donne, accumunate dalla sterilità. Ricorrente anche la metafora ignea («il fuoco sarà qui, allusivamente anche il calore della febbre»).[11]

Alla richiesta di trovare qualche rimedio Edipo dice di avere già inviato suo cognato Creonte al tempio di Apollo a Pito per chiedere come possa salvare la città (vv. 69-72).[12] Edipo si dimostra quindi preoccupato per la sorte di Tebe.[13] Giunge poi Creonte, lieto all’apparenza e incoronato di alloro (vv. 82-83), che riferisce l’oracolo di Apollo:

 

ἄνωγεν ἡμᾶς Φοῖβος ἐμφανῶς ἄναξ

μίασμα χώραςὡς τεθραμμένον χθονὶ

ἐν τῇδ᾽ἐλαύνειν μηδ᾽ ἀνήκεστον τρέφειν.

Fuor di dubbio ci ordina, il divino Febo, di scacciare il miasma che si è nutrito di questa terra e di non lasciarlo crescere insanabile.[14]

 

È qui utilizzato per la prima volta il termine μίασμα («macchia»«contagio»«impurità»)[15] in modo volutamente ambiguo; esso come è noto si preciserà nel seguito del plot e sarà identificato in Edipo stesso, reo di parricidio e incesto; il rimedio (pharmakòs) pertanto sarà la sua punizione.[16] È evidente il ricorso sofocleo, qui come altroveall’ironia tragica.[17]

Creonte esplicita quindi la necessità di punire l’assassinio di Laio, il cui ’sangue contamina la città’ (vv. 100-101). Dopo che Edipo con risolutezza ha espresso la ferma volontà di scoprire e castigare il responsabile (vv. 132-146), il sacerdote fa riferimento alla peste utilizzando il termine νόσος«morbo» (v. 150): 

 

Φοῖβος δ᾽  πέμψας τάσδε μαντείας ἅμα

σωτήρ δ᾽ ἵκοιτο καὶ νόσου παυστήριος.

Febo, che ha mandato il suo vaticinio, sia il nostro salvatore liberatore dal morbo.[18]

 

Troviamo poi un’altra descrizione dell’epidemia nella parodo;[19] queste le parole dei vecchi tebani che compongono il coro: 

 

 πόποιἀνάριθμα γὰρ φέρω

πήματα· νοσεῖ δέ μοι πρόπας

στόλοςοὐδ᾽ ἔνι φροντίδος ἔγχος

 τις ἀλέξεταιοὔτε γὰρ ἔκγονα

κλυτᾶς χθονὸς αὔξεται οὔτε τόκοισιν

ἰηίων καμάτων ἀνέχουσι γυναῖκες.

ἄλλον δ᾽ ἂν ἄλλᾳ προσίδοις ἅπερ εὔπτερον ὄρνιν

κρεῖσσον ἀμαιμακέτου πυρὸς ὄρμενον

ἀκτὰν πρὸς ἑσπέρου θεοῦ·

ὧν πόλις ἀνάριθμος ὄλλυται·

νηλέα δὲ γένεθλα πρὸς πέδῳ

θαναταφόρα κεῖται ἀνοίκτως·

ἐν δ᾽ ἄλοχοι πολιαί τ᾽ ἔπι ματέρες

ἀκτὰν πάρα βώμιον ἄλλοθεν ἄλλαι

λυγρῶν πόνων ἱκτῆρες ἐπιστενάχουσιν.

παιὼν δὲ λάμπει στονόεσσά τε γῆρυς ὅμαυλος·

Ahi che innumeri pene sto soffrendo! Il popolo intero patisce e non esiste forza di pensiero con il quale si possa risanarlo. E non accrescono nati questa splendida terra, la donna non si libera nei parti dalle strazianti doglie. Tu puoi vederli, l’uno dopo l’altro, come gli alati uccelli, i miseri, più rapidi dell’indomabile fuoco, slanciarsi verso la spiaggia del signor del vespero. Di loro, innumerevoli, perisce la città. Al suolo giace, pianto non muove una mortifera progenie. Le giovani spose, le madri canute sono ai piedi degli altari e gemono da una parte, dall’altra supplicando per le loro funeste sofferenze. Fiammeggia il canto ad Apollo, luttuosi s’accordano i lamenti.[20]

 

Anche in questo caso è insistita la sterilità delle donne ed è presente il riferimento al fuoco. 

Seguono nella tragedia pochi accenni all’epidemia. Quando Edipo nel primo episodio si rivolge al corifeo cita il morbo (νόσος, v. 217): 

 

[…] τἄμ᾽ ἐὰν θέλῃς ἔπη

κλύων δέχεσθαι τῇ νόσῳ θ ὑπηρετεῖν,

ἀλκὴν λάβοις ἂν κἀνακούφισιν κακῶν·

se vorrai ascoltare e seguire le mie parole e provvedere al morbo, troverai soccorso e sollievo dai mali.[21]

 

Edipo indica poi il responsabile della malattia utilizzando il termine miasma (v. 241); qui l’ironia tragica è evidente: Edipo sta parlando di sé senza saperlo, al contrario del pubblico che conosce già la vicenda mitica.

 

ὠθεῖν δ᾽ ἀπ᾽ οἴκων πάνταςὡς μιάσματος

τοῦδ᾽ ἡμὶν ὄντοςὡς τὸ Πυθικὸν θεοῦ

μαντεῖον ἐξέφηνεν ἀρτίως ἐμοί.

Voglio che lo scacciate, tutti voi, perché è lui la causa del contagio, come mi ha appena rivelato il divino responso di Pito.[22]

 

Sono presenti poi brevi cenni al contagio (νόσος, v. 303; νόσημα, v. 307; μίασμα, v. 313) quando Edipo si rivolge a Tiresia per sapere chi sia l’assassino di Laio. Gli ultimi riferimenti a Tebe travagliata dalla pestilenza sono da parte del coro nel secondo episodio: 

 

ἀλλά μοι δυσμόρῳ γᾶ φθίνου-

σα τρύχει καρδίαν,

L’anima mia è consumata invece – oh me infelice – da questa terra che sta morendo.[23]

ἅλις ἔμοιγ᾽ἅλιςγᾶς προπονοουμένῳ,

φαίνεταιἔνθ᾽ ἔληξεν αὐτοῦ μένειν.

Basta, per me, basta, mentre la nostra terra è travagliata. È giusto che il discorso si fermi dove si è interrotto.[24]

 

Da questo momento in poi la pesta tebana è taciuta e sembra sparire dall’orizzonte della vicenda. Questa breve indagine evidenzia la scarsità e la concentrazione nella prima parte del dramma dei riferimenti alla peste indicata nel testo con tre parole differenti: λοιμός (una sola volta al v. 28),[25] νόσος (vv. 150, 217, 303)[26] e μίασμα (vv. 97, 241, 313); quest’ultimo termine ha forti implicazioni simboliche e si riferisce precisamente alla causa dell’epidemia, ossia all’impurità generata dal parricidio e dall’incesto impuniti da parte di Edipo.[27] Lo scenario pestilenziale è citato esplicitamente poche volte; eppure è significativo non solo nel delineare l’atmosfera funebre della vicenda, suggerendo come abbiamo visto anche odori e rumori, ma anche nell’innesto del plot: Edipo indaga per liberare Tebe dalla peste. Ne consegue che, punito il colpevole (Edipo si acceca e si prepara all’esilio), la peste dovrebbe dissolversi; eppure questo elemento rimane implicito nel finale:[28] «la catarsi si compie nelloblio della peste favolosa di Tebe»[29] e alla fine del dramma Edipo non è propriamente cacciato da Tebe e scompare agli occhi del pubblico rientrando nella sua casa.[30] «L’esibizione dell’infelicità di Edipo eclissa alla fine la memoria della peste»;[31] solo dall’Oedipus rex di Seneca in poi la catastrofe di Edipo si concluderà con il suo esilio e la guarigione di Tebe.[32]

 

 2. La peste tebana nella pittura neoclassica

Questo studio si inserisce in una ricerca più ampia di iconografia teatrale[33] di cui mi sto occupando da tempo.[34]L’obiettivo è indagare come il mito di Antigone sia stato raffigurato nell’arte moderna, in particolare nella pittura e nelle incisioni del XIX secolo.[35] In un vasto corpus di immagini ho individuato alcuni soggetti che si ripetono fino all’età contemporanea quali: l’allontanamento da Tebe, la pietas di Antigone, Antigone e Ismene, la sepoltura e la condanna, la messa in scena, Antigone eroina solitaria. L’iconografia dell’allontanamento di Tebe, come vedremo, presenta Edipo e la figlia Antigone che escono dalla città appestata. Ma prima di entrare in medias res e considerare le pitture ottocentesche con tale soggetto è necessario contestualizzare tali opere.[36]

Nell’epoca del Neoclassicismo l’Antigone sofoclea come la tragedia greca in toto e più in generale la cultura ellenica forniscono agli artisti spunti iconografici utili per veicolare valori importanti per l’epoca; nel caso specifico di Antigone essi sono: la pietà filiale, i vincoli di sangue, il coraggio femminile. Dal punto di vista stilistico le opere neoclassiche, come sappiamo, si pongono l’obiettivo di uguagliare ‘la nobile semplicità’ e ‘la quieta grandezza’[37] dell’arte classica. La tragedia sofoclea o meglio il mito di Antigone, di cui gli artisti, soprattutto francesi, ripetono alcune scene significative è il punto di partenza di unoperazione culturale e non solo estetica volta allenfasi di quello che viene ritenuto il mos maiorum esemplare. Ne deriva, come vedremo, una certa semplificazione della tragedia sofoclea che perde la sua complessità e viene fraintesa forse consapevolmente. Eppure, nonostante le modifiche rispetto al testo originario, la componente letteraria in queste tele resta essenziale ed è pertanto possibile rintracciare un possibile collegamento con le fonti dei dipinti. Si tratta di Edipo reEdipo a ColonoAntigone di Sofocle, Fenicie di Euripide, Phoenissae di Seneca, Tebaide di Stazio, Antigone di Alfieri.[38]  

Poiché le tele qui considerate furono realizzate da artisti francesi è bene dire qualcosa sull’asse Parigi-Roma che si delineò nel XIX sec. Si tratta di un itinerario artistico presente nelle biografie dei pittori presi in esame che giunsero nella capitale grazie al Prix de Rome.[39] Il premio, istituito dall’economista Colbert nel 1666, dava la possibilità a studenti meritevoli nel campo delle arti di studiare all’Accademia di Francia a Roma. Qui i giovani artisti potevano studiare l’arte antica, confrontarsi e farsi conoscere in uno scenario di rilevanza internazionale. Molti pittori francesi che contribuirono alla fortuna iconografica di Antigone parteciparono al concorso. Ai loro occhi Antigone simboleggiava oltre che il mito e la cultura classica anche l’ostinazione, il coraggio, la forza di chi porta a compimento quello che sente come un suo dovere: la sepoltura del fratello Polinice. Alcuni temi letterari divennero quindi exempla da diffondersi negli spazi della cultura, quale quello delle Accademie che subentrarono alle scuole religiose per diventare progressivamente istituti pubblici di carattere laico, dedicati all’apprendimento del bello. Ricordiamo che accanto alle discipline di anatomia, prospettiva e storia nelle Accademie era previsto anche l’insegnamento di mitologia.[40] Le tele trattate di seguito sono da ricondurre specificatamente al Prix de Rome del 1843; quell’anno l’Accademia di Francia per la categoria della pittura propose come soggetto ‘Oedipe s’exilant de Thèbes’. Le istruzioni erano le seguenti: 

La peste affligeait la ville de Thèbes. L’oracle consulté avait déclaré que les Thébains étaient punis pour n’avoir pas vengé la mort de leur Roi Laïus, et pour n’en avoir pas même recherché les auteurs. OEdipe parvient par degrés à dévoiler le mystère de sa naissance, et à se reconnaître parricide et incestueux ; il s’arrache les yeux, et, chassé de son palais par ses fils, il quitte Thèbes, traversant la ville, maudit par les citoyens et soutenu par sa fille Antigone. / On aperçoit le palais d’OEdipe avec un autel à la porte, le temple de Pallas, et l’autel d’Apollon. (Sujet tiré de la tragédie OEdipe Roi, de Sophocle).[41]

Prestiamo attenzione in particolare alle indicazioni iconografiche sul finale della tragedia: Edipo accecatosi lascia Tebe e attraversa la città sorretto da Antigone mentre i cittadini lo maledicono. Nonostante nel bando del concorso sia esplicitato che il soggetto è tratto dall’Edipo re di Sofocle, nel finale sofocleo, si è già detto, Edipo rientra nella reggia e delle peste non si hanno più notizie. Sono inoltre suggeriti elementi scenografici quali: il palazzo di Edipo con un altare alla porta, il tempio di Pallade e l’altare di Apollo. Nel dramma greco didascalie interne al testo fanno riferimento alla reggia tebana e all’altare dedicato ad Apollo Liceo.[42] Gli artisti partecipanti al Prix si attennero a tali indicazioni che contengono evidentemente un travisamento della tragedia greca conosciuta forse indirettamente dalla giuria del concorso. È noto che l’opera Théâtre des Grecs di Pierre Brumoy (1730) fosse molto diffusa in Francia e costituisse un utile compendio delle tragedie greche di cui era riportata breviter la trama.[43] Le fonti cui attingevano gli artisti neoclassici per la raffigurazione dei loro soggetti resta vexata quaestio che necessita un approfondimento. Consideriamo ora da vicino i dipinti. 

 

2.1 Eugène Jean Damery, Edipo e Antigone si allontanano da Tebe [fig. 1]

L’artista francese Eugène Jean Damery (1823-1853) vinse con quest’opera il Premier Gran Prix nel 1843 ottenendo una borsa di studio per soggiornare presso l’Accademia di Francia a Roma, dove rimase dal 1844 al 1848.[44]

La tela è caratterizzata dalla presenza di numerosi personaggi che in modo cinetico riempiono lo spazio. Al centro tra la folla avanzano Edipo e Antigone. Il re di Tebe, raffigurato con un mantello rosso, ha una corporatura possente mentre la figlia è esile. La cecità di Edipo è suggerita dal capo reclinato e dal sostegno offerto da Antigone che lo guida tenendolo per un braccio. Intorno personaggi ostili li osservano e additano. Sono i cittadini tebani che accusano il re di essere il responsabile della peste. L’epidemia è suggerita dalla postura scomposta e dalla seminudità delle figure in primo piano. Il vecchio a sinistra e l’infante defunto a destra sono parimenti vittime innocenti della pestilenza. Le pose diversificate, i gesti eloquenti, i colori bruni suggeriscono la disperazione della situazione. Oltre il gruppo in primo piano si scorgono altre persone, a sinistra su un colonnato, a destra lungo una strada. La folla si accalca per assistere al momento solenne dell’uscita del re da Tebe. L’ambientazione urbana è dettagliata, in base alle indicazioni iconografiche del concorso l’edificio a destra potrebbe essere la reggia reale, come sembra suggerire anche l’altare bianco; il tempio al centro sarebbe invece quello di Pallade. Alle spalle della donna seduta in primo piano è presente una esedra dietro la quale si scorge una statua posta su un alto piedistallo. Sullo sfondo sono raffigurati vari edifici in prospettiva; chiude la composizione la cinta muraria della città di cui si scorge una delle sette porte. Un cielo nuvoloso dai colori plumbei contribuisce a rendere tetra la scena. Rispetto delle indicazioni concorsuali e patetismo insistito potrebbero avere determinato la vittoria del Prix de Rome di Damery.    

 

2.2 Léon François Bénouville, Edipo e Antigone si allontanano da Tebe (fig. 2)

Léon François Bénouville (1821-1859) realizzò questa tela nel 1837 e nel 1843 vinse il Second Grand Prix.[45]

La tela di Bénouville rispetto a quella di Damery è meno affollata, più ariosa e pacata. Anche in questo caso Edipo è connotato dal mantello rosso e dallo sguardo abbassato. Antigone, qui raffigurata bionda, è abbracciata al padre che guida in modo amorevole. Attorno a loro i tebani appestati li osservano e li indicano a una maggiore distanza rispetto all’opera precedente. Torna in primo piano a destra il dettaglio patetico della donna seduta a terra con il bambino malato. La scena è ambientata in un portico, forse quello della reggia reale. Emerge nella penombra in secondo piano il profilo di una statua; l’elmo e la corazza suggeriscono si tratti di Atena. Sullo sfondo tra le colonne doriche si scorgono altri edifici. Anche in questo caso il cielo è nuvoloso. In generale l’opera di Bénouville esprime un patetismo trattenuto, una rassegnata tristezza cui contribuiscono anche i colori attenuati. 

 

2.3 Henri Augustin Gambard, Edipo si allontana da Tebe in esilio (fig. 3)

Henri Augustin Gambard (1819-1882)[46] con questa tela ottenne nel 1843 il Deuxième Second Grand Prix.[47]

L’opera si differenzia dalle precedenti per stile, cromatismo e particolari iconografici. In primo piano Edipo avvolto interamente in un mantello rosso avanza incerto protendendo il braccio sinistro in avanti, a fianco Antigone lo sorregge e contemporaneamente pare trattenere la rabbia dei tebani intorno a loro che sembrano non solo additare il re come il responsabile della peste ma anche sollecitarne l’esilio. Le braccia protese di Edipo, del tebano in secondo piano con il mantello giallo, di quello dietro con il mantello verde delineano una diagonale che segna il percorso dell’esilio del vecchio tiranno. In primo piano a sinistra un vecchio sorregge un uomo morente il cui colore giallastro suggerisce la malattia epidemica. La postura e il corpo macilento evocano la deposizione dalla croce di Cristo. Sullo sfondo a sinistra alcuni cittadini osservano la scena dal colonnato della reggia reale di cui è visibile l’altare in ingresso citato nelle indicazioni del concorso. Il secondo piano a destra della tela è invece caratterizzato da uno spazio aperto; oltre la folla si scorge in posizione sopraelevata una statua in marmo presso la quale donne vestite di bianco pregano; oltre sono raffigurati edifici in prospettiva; al centro si distingue la cinta muraria tebana e in fondo il frontone di un tempio. Poche nuvole bianche attraversano il cielo azzurro.   

 

2.4. Altri concorrenti del Prix de Rome del 1843

Parteciparono al concorso senza successo anche i pittori: Charles François Jalabert (fig. 4), Louis Jean Noël Duveau (fig. 5), Eugène Ernest Hillemacher (fig. 6), Henri Villaine (fig. 7). 

Possiamo individuare caratteri comuni presenti in tutte le opere proposte. L’ambientazione urbana comprende la reggia reale, l’altare e il tempio di Pallade. La folla intorno esprime ostilità e disperazione. La peste è suggerita dai malati e dai defunti in primo piano e dall’incarnato giallastro dei cittadini tebani. Edipo è guidato in modo amorevole dalla figlia Antigone. In generale le tele sono simili a livello iconografico e stilistico ed esprimono un certo patetismo retorico tipico del Neoclassicismo.  

 

3. La peste tebana e l’epidemia attuale

In questo paragrafo si evidenzieranno alcune similarità tra la peste tebana narrata nella tragedia sofoclea e ritratta nelle tele neoclassiche e l’epidemia attuale di Covid-19.[48] Un paragone che deve essere guidato dalla prudenza data la distanza cronologica e culturale tra questi mondi.[49]

Iniziamo dai termini. Come abbiamo visto, nel dramma sofocleo tre vocaboli indicano la peste: λοιμός (pestilenza), νόσος(morbo) e μίασμα (impurità/contaminazione). Mentre i primi due sono in generale intercambiabili a livello di significato ma evidentemente con un effetto diverso non più ricostruibile,[50] il termine miasma ha forti implicazioni rituali-simboliche e si riferisce all’impurità generata dalla condotta di Edipo. Oggi nella comunicazione comune ci si riferisce al Covid-19 con termini usati indifferentemente quali: epidemia, pandemia, contagio, morbo, virus; scambiando in modo metonimico la causa (morbo, virus) e l’effetto (contagio, epidemia, pandemia). La parola ‘peste’ viene in generale evitata e usata solo per evidenziare la gravità del presente paragonandola alle epidemie del passato: la peste ateniese narrata da Tucidide, la peste nera del Trecento, quella manzoniana del Seicento, la spagnola del Novecento. In generale assistiamo a una babele linguistica che fomenta la paura e il disorientamento. Non mancano poi voci catastrofiste che denotano anche il Covid-19 come un miasma, inteso come un flagello, una punizione divina causata dalla tracotanza (hybris) dell’uomo contemporaneo; su questo aspetto torneremo a fine paragrafo. 

Il carattere pandemico accomuna la peste tebana e il Covid-19. In Edipo re la città di Tebe e l’intera regione della Beozia sono investite da una pestilenza sconosciuta che colpisce senza distinzioni animali, vegetazione ed esseri umani. La conseguenza è una carestia diffusa che genera a sua volta la sterilità degli armenti, dei campi e delle donne. Mentre la peste ateniese del 430 a.C. descritta da Tucidide è confinata all’interno della polis,[51] quella sofoclea sembra avere un maggior tasso di contagiosità investendo anche il territorio circostante Tebe. Così mentre il confinamento entro le mura ateniesi ricorda le zone rosse della prima fase dell’epidemia di Covid-19, la peste tebana che inevitabilmente dilaga ricorda invece l’incapacità del contenimento del virus contemporaneo. Si è visto come i pittori neoclassici insistano sulla contagiosità della peste raffigurando appestati di diverse età. Nella tela di Eugène Jean Damery in primo piano sono raffigurati a sinistra un giovane e un vecchio, a destra una donna con un neonato defunto (fig. 1). Nell’interpretazione dei pittori ottocenteschi l’epidemia tebana colpisce indifferentemente bambini, giovani, vecchi, uomini e donne, a differenza del Covid-19 che ha colpito prevalentemente la popolazione anziana. Non sono mancate in questi lunghi mesi immagini parimenti retoriche che ritraggono anziani malati. A queste si aggiunge la foto toccante del neonato malato di Covid-19 assistito da un’infermiera interamente bardata dai dispositivi di protezione (fig. 8).

Data la gravità della situazione i cittadini tebani si rivolgono supplici al re Edipo per avere risposte e rassicurazioni, così la nostra comunità si è rimessa ai suoi politici come se fossero figure salvifiche con lo stesso atteggiamento spaventato e la stessa necessità di sapere. È ancora vivido il ricordo della trepidante attesa dei tanti comunicati del premier Giuseppe Conte durante la prima ondata della pandemia. Il re di Tebe cerca di rassicurare i sudditi che chiama amorevolmente ‘figli miei’ ( τέκνα, v. 1). Non sono mancate parole ‘affettuose’ anche da parte delle nostre rappresentanze politiche in questo lungo periodo; si pensi al discorso commosso e commuovente del presidente Sergio Mattarella in occasione della Festa della Repubblica del 2 giugno 2020 tenuto a Codogno, luogo simbolo della prima ondata epidemica. 

Edipo rassicura il suo popolo dicendo che ha inviato suo cognato Creonte a consultare l’oracolo di Apollo (vv. 69-72). Emerge quindi la dimensione religiosa della peste nella tragedia greca, cui si contrappone la concezione laica e in toto scientifica dell’epidemia di Covid-19; non sono però mancate a livello globale manifestazioni religiose di diverso tipo data la gravità planetaria del contagio. 

Quando Creonte riferisce la necessità di individuare e punire l’assassino di Laio responsabile del miasma inizia per volontà di Edipo quella che potremmo definire in modo anacronistico la ricerca del ‘paziente zero’. Il re proclama coram populo che indagherà e troverà l’’untore’. Edipo non sa di essere lui l’uccisore di Laio e quindi il cosiddetto paziente zero perché potremmo dire è ‘asintomatico’, cioè inconsapevole della malattia di cui è affetto e contagioso. La ricerca del paziente zero ha caratterizzato anche la prima fase della nostra pandemia in cui la necessità di capire la causa del contagio era così impellente da generare anche episodi di intolleranza verso gli asiatici in modo indistinto, identificati come ‘capro espiatorio’, recuperando un’altra categoria della tragedia greca. Dopo mesi il paziente zero del Covid-19 è stato identificato così come Edipo alla fine del dramma identifica in sé stesso la causa della pestilenza, ma non prima di aver ‘negato l’evidenza’. Quando l’indovino Tiresia gli dice apertis verbis: «sei tu l’empio che contamina questo paese» (ὡς ὄντι γῆς τῆσδ᾽ ἀνοσίῳ μιάστορι, v. 353) il re di Tebe pensa ad un complotto di Creonte per usurpare il suo trono; Edipo sostiene una tesi complottista piuttosto che accettare la verità, anche nel nostro presente non sono mancati negazionisti dell’esistenza del virus o sostenitori di un legame tra rete 5G e Covid-19 che hanno abbracciato strampalate tesi complottiste piuttosto che accettare la tragicità della situazione.  

Solo dopo le testimonianze inconfutabili del messaggero e del pastore che gli svelano la sua reale identità, Edipo prende consapevolezza della tragica verità. Numerose sono state le testimonianze nella prima fase della pandemia attuale della gravità della situazione soprattutto da parte del personale sanitario con lo scopo di invitare alla prudenza, di adottare le misure di sicurezza e in generale di comportarsi in modo responsabile. Alcune immagini in particolare sono state molto persuasive. Nota a tutti è la fotografia dell’infermiera stremata addormentata su una scrivania. La foto ha fatto il giro del mondo ed è diventata simbolo della pandemia (fig. 9).

Appresa la tragica verità Edipo deve allontanarsi da Tebe, al contrario nella nostra comunità abbiamo assistito pur nel distanziamento a straordinari fenomeni di vicinanza solidale. Mentre gli artisti neoclassici hanno enfatizzato l’esclusione di Edipo additato dai cittadini tebani come emerge in tutte le tele considerate, al contrario nel nostro presente l’inclusione e l’assistenza sono stati i valori perseguiti e promossi anche a livello iconografico. La retorica iconica è stata molto incisiva anche a questo proposito. Si pensi alle tante immagini delle persone anziane amorevolmente assistite durante la malattia. Di seguito un’altra foto diventata virale (fig. 10). 

Alla fine del dramma Edipo da re potente si è trasformato in un uomo con le sue fragilità non solo interiori ma anche fisiche; come un vecchio cieco guidato da Antigone è raffigurato dagli artisti neoclassici che uniscono il tema della pestilenza, dell’esilio e quello della pietas filiale. Il re di Tebe ha perso il trono, la città, l’innocenza ma non l’affetto della figlia che amorevolmente lo guida e lo sostiene nella sofferenza. Anche durante l’attuale pandemia l’amore dei figli nei confronti dei genitori anziani malati e isolati è stato molto insistito a livello mediatico. Il contenimento della diffusione del Covid-19 ha imposto il distanziamento anche all’interno delle famiglie generando sofferenze affettive. Soprattutto il contatto interrotto tra figli e genitori anziani è stato straziante tanto da ideare le stanze degli abbracci nelle case di riposo. Non sono mancate immagini retoriche anche a proposito della pietas filiale (fig. 11).

Una differenza fondamentale intercorre tra la peste tebana e la pandemia attuale riconducibile ai due sistemi culturali così lontani e diversi tra loro. Mentre nell’antica Grecia per porre fine alla contaminazione (miasma) era necessario bandire dalla comunità il pharmakòs, ossia il capro espiatorio ritenuto interamente responsabile della pestilenza oggi abbiamo preso coscienza, almeno si spera, della corresponsabilità di tutti noi sia nella diffusione del contagio sia nel suo contenimento e nella sua sconfitta. I comportamenti responsabili, dall’uso dei dispositivi di protezione al vaccino, devono essere «il mantra etico-politico che segna quotidianamente sul piano concreto le nostre azioni».[52] La soluzione non è l’esclusione, la negazione ma l’inclusione di azioni etiche nella nostra quotidianità e la consapevolezza dei nostri errori pregressi. 

Ma un carattere più profondo accomuna la vicenda di Edipo alla nostra: Edipo compie un doloroso percorso di verità che lo mette di fronte alle sue colpe, non premeditate certo ma comunque innegabili. Così il Covid-19 ha spalancato la porta a verità dolorose alle quali non possiamo sottrarci; le tante contraddizioni del sistema globale sono evidenti e non più differibili. Come nel caso di Edipo i colpevoli siamo noi. Non solo, come per i Greci la contaminazione si lava con azioni di purificazione (katharmòs) così l’uomo contemporaneo deve purificarsi, iniziare un percorso di rigenerazione etica, sociale, culturale di cui avvertiamo la necessità in quest’epoca di sofferenza e incertezza.[53]

Non ‘andrà tutto bene’, ma andrà meglio. Questa è la responsabilità che dobbiamo condividere. 

 

4. Conclusioni

Considerando i passi specifici sulla peste in Edipo re, le pitture neoclassiche che l’hanno raffigurata, le immagini ‘virali’ dell’epidemia di Covid-19 emergono elementi in comune. Teatro, pittura, mass media di epoche così lontane tra loro sembrano cogliere, fissare, approfondire paure universali e ataviche dell’uomo che il contagio porta in superficie. E non si tratta solo della paura di morire. In primis la paura di fronte a un morbo sconosciuto genera l’impellente necessità di sapere, capire, individuare il ‘paziente zero’. Le forze politiche, cui i cittadini si rivolgono fiduciosi, iniziano a indagare la situazione coadiuvati da professionisti (Tiresia in Edipo re, virologi-epidemiologici oggi). Non mancano negazionisti della prima ora e complottisti della seconda. Nel dramma greco Edipo è contemporaneamente re, ‘detective’, negazionista e complottista; sembra quindi riassumere in sé comportamenti cui abbiamo assistito recentemente. Nel frattempo il morbo dilaga e colpisce la cittadinanza, non solo i vecchi più vulnerabili ma anche i bambini come raffigurarono in modo patetico i pittori neoclassici e come è stato divulgato da un’immagine ‘virale’ (degna di nota l’ironia tragica di questa espressione contemporanea) riproposta nel saggio (fig. 8). Con difficoltà e dopo vari tentativi si identifica il paziente zero, si scoprono le cause del diffondersi del morbo e si agisce di conseguenza. Edipo deve quindi allontanarsi da Tebe poiché responsabile del miasma in quanto parricida, parimenti nel nostro presente sono stati imposti allontanamenti, distanziamenti, chiusure. Gli artisti neoclassici che parteciparono al Prix de Rome del 1843 rappresentarono proprio questo elemento della tragedia greca: l’allontanamento di Edipo da Tebe. Mentre la comunità tebana esclude l’infetto, contrariamente la nostra ha accolto i malati grazie allo sforzo estremo (fig. 9) e alle cure amorevoli del personale sanitario (fig. 10). La paura dell’esclusione e della solitudine emergono in modo chiaro in epoca pandemica in cui il distanziamento sociale diventa nuovo modus vivendi. In particolare l’interruzione del rapporto tra figli e genitori anziani ha fatto sentire la necessità di tale legame. Gli abbracci da gesto scontato e magari poco praticato hanno riassunto la loro importanza, come hanno enfatizzato le tante immagini in rete e in tv (fig. 11). Antigone nelle pitture ottocentesche è raffigurata mentre conduce il padre cieco, lo assiste, lo sostiene amorevolmente; così nel nostro incerto presente la pietas filiale sembra tornata ad essere valore fondante della nostra civitas.   

Gli elementi in comune tra la peste tebana sofoclea e l’epidemia di Covid-19 sembrano quindi evidenti, ma tale somiglianza non si spiega con la straordinaria attualità della tragedia greca, sarebbe questo un anacronismo inaccettabile, bensì con la sua universalità. Il teatro greco mette in scena le sofferenze universali dell’uomo che suscitano eleos e phobos, pietà e paura, nel pubblico. Sono gli stessi sentimenti che proviamo osservando il vecchio Edipo cieco allontanato dai tebani ostili raffigurato nelle tele neoclassiche. La pietà nei confronti dei bambini e dei vecchi malati del nostro presente, la paura dell’isolamento e di perdere i nostri affetti sono sentimenti universali. Stando ad Aristotele da tali sentimenti dovrebbe scaturire la catarsi, ossia la purificazione. Speriamo sia così.

 

 


 

* Dedico questo contributo a tutti i miei studenti che in epoca di pandemia hanno continuato tenacemente ad imparare.

[1] Sulle caratteristiche generali della tragedia sofoclea mi limito qui a rimandare a Sofokles, König Ödipus, herausgegeben, übersetzt und kommentiert von B. Manuwald, Berlin-Boston, de Gruyter, 2012, pp. 15-48.

[2] Sulla questione rimando all’introduzione di Condello (Sofocle. Edipo re, a cura di F. Condello, Siena, Barbera, 2009, pp. CIX-CXV) con relative note bibliografiche. Sui tratti che accomunano la peste tebana sofoclea e quella ateniese descritta da Tucidide vd. ivi, p. CXIII, n. 280. 

[3] Significativa a questo proposito la polemica accoglienza riservata alla tragedia di Frinico Presa di Mileto databile nel 493 a.C. (cfr. Sofocle. Edipo re, a cura di Condello, cit., p. CXII, n. 279)

[4] Cfr. ivi, p. 138, n. 8. Sul rapporto tra tragedia sofoclea e contesto storico-politico vd. e.g. G. Ugolini, Sofocle e Atene. Vita politica e attività teatrale nella Grecia classica, Roma, Carocci, 2000; sulle rappresentazioni letterarie della peste vd. R. Girard, The Plague in Literature and Myth«Texas Studies in Literature and Language», 15.5, 1974, pp. 833-850; R. Finnegan, Plagues in Classical Literature, «Classics Ireland», 6, 1999, pp. 23-42; R. Mitchell-Boyask, Plague and the Athenian imagination. Drama, history and the cult of Asclepius, Cambridge, Cambridge University Press, 2007 (alle pp. 56-66 il riferimento a Edipo); sul personaggio di Edipo vd. e. g. R. Lauriola, Oedipus the King, in R. Lauriola, K. N. Demetriou (eds.), Brill’s Companion to the Reception of Sophocles, Boston, Brill, 2017, pp. 149-325.

[5] Cfr. infra

[6] G. Serra, Edipo e la peste. Politica e tragedia nell’Edipo re, Venezia, Marsilio, 1994, pp. 13-14, nota 8. 

[7] Sulla supplica nella tragedia greca vd. P. Cassella, La supplica all’altare nella tragedia greca, Napoli, Bibliopolis, 1999; M. Telò, Per una grammatica dei gesti nella tragedia (II): la supplica, «Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici», 49, 2002, pp. 9-51.

[8] Soph., OT vv. 4-5. Ove non indicato diversamente, faccio riferimento alla traduzione di Vico Faggi (Sofocle, Edipo re, Edipo a Colono, Antigone, a cura di S. Beta, traduzione di V. Faggi, Torino, Einaudi, 2009) condotta sul testo stabilito da Hugh Lloyd-Jones (Sophoclis fabulae, a cura di H. Lloyd Jones e N. G. Wilson, Oxford, Clarendon Press, 1990).

[9] Soph., OT vv. 22-30.

[10] Sulla parola greca λοιμός vd. P. Michelakis, Naming the plague in Homer, Sophocles, and Thucydides’, «American Journal of Philology», 140.3, 2019, p. 381 e nota 1 con i precisi riferimenti ai testi; R.Mitchell-Boyask, Plague and the Athenian imagination, cit., pp. 23-28.

[11] Sofocle, Edipo re, a cura di Condello, cit., p. 138, n. 8. Condello traduce λοιμός ἔχθιστος come ‘febbre nemica’ (p. 7). Sulle figure retoriche del prologo vd. V. Citti, Figure retoriche nel prologo dell’Edipo re«Lexis», XI, 1993, pp. 37-46. Per un’analisi retorica specifica di questi versi rimando a P. Michelakis, Naming the plague in Homer, Sophocles, and Thucydides’, cit., pp. 387s.

[12] Sulla dimensione ‘religiosa’ della peste nell’Edipo re vd. G. Serra, Edipo e la peste, cit., p. 37, nota 47.

[13] Su Edipo e Tebe vd. B. Knox, Oedipus at Thebes. Sophocles’ Tragic Hero and His Time, London, Yale University Press, 1998; G. Serra, Edipo e la peste, cit. 

[14] Soph., OT vv. 96-98.

[15] Sul concetto di miasma vd. R. Parker, ΜΙΑΣΜΑ. Pollution and Purification in Early Greek Religion, Oxford, Clarendon Paperbacks, 1990, pp. 257-280; su contaminazione e tragedia greca vd. F. Meinel, Pollution and Crisis in Greek Tragedy, Cambridge, Cambridge University Press, 2015. 

[16] Cfr. H. P. Foley, Oedipus as Pharmakos, in R. M. Rosen, J. Farrel (ed.), Nomodeiktes. Greek Studies in Honor of Martin Ostwald, Ann Arbor, The University of Michigan Press, 1993, pp. 525-538. 

[17] Cfr. G. M. Kirkwood, A Study of Sophoclean Drama, New York, Cornell University Press, 1958, pp. 247-287; G. Paduano, Sull’ironia tragica, «Dioniso», LIV, 1983, pp. 61-81C. Menke, Tragic Play. Irony and Theatre from Sophocle to Beckett, New York, Columbia University Press, 2009, pp. 47-50; E. Stolfi, Prime note su phonos e miasma nella tragedia greca: il kerygma di Edipo e le sue ambigue allusioni, in L. Gagliardi, L. Pepe (a cura di), DIKEEssays on greek law in honor of Alberto Maffi, Milano, Giuffrè, 2019, pp. 291-314. 

[18] Soph., OT vv. 149-150. 

[19] Sulla parodo della tragedia vd. W. Ax, Die Parodos des Oidipus Tyrannus«Hermes», LXVII, 1932, pp. 413-437.

[20] Soph., OT vv. 168-186.

[21] Soph., OT vv. 216-218.

[22] Soph., OT vv. 241-243.

[23] Soph., OT vv. 665-666. 

[24] Soph., OT vv. 685-686.

[25] «Loimos is a phenomenon which attacks indiscriminately, both within human communities and across different forms of animal and plant life around human communities», P. Michelakis, Naming the plague in Homer, Sophocles, and Thucydides’, cit., p. 382.

[26] Loimos nosos sono intercambiabili secondo R. Mitchell-Boyask, Plague and the Athenian imagination, cit., p. 390; sul concetto di nosos vd. M. Ryzman, Oedipus, Nosos and Physis in Sophocles’ Oedipus Tyrannus, «L’Antiquité Classique», 61, 1992, pp. 98-110; R. Mitchell-Boyask, Plague and the Athenian imagination, cit., pp. 28-31, 34-36.

[27] «…references to the plague mix with references to spilled blood as its cause (μίασμα, 97; αἷμα, 101; μύσος, 138; μιάσματος, 241; μίασμα, 313; μιάστορι, 353; ἀγηλατήσειν, 402, χραίνω, 822; μίασμα, 1012; κηλῖδα, 1384; ἀνδρὸς ἀθλίου θιγεῖν, 1413; ἄγος, 1426) and give way to the generic vocabulary of “disease”» (ivi, p. 390).

[28] Sul finale della tragedia vd. M. Davies, The End of Sophocles’ O.T., «Hermes», CX, 1982, pp. 268-277; G. Ellie, The Last Scene of the Oedipus Tyrannus, «Ramus», XV, 1986, pp. 35-42; G. Serra, Edipo e la peste, cit., pp. 111-128.

[29] G. Serra, Edipo e la peste, cit., p. 53.

[30] Cfr. V. Di Benedetto, Sofocle, Firenze, La Nuova Italia, 19882, p. 254. 

[31] G. Serra, Edipo e la peste, cit., p. 64.

[32] Sen., Oed. 1058-1061: mortifera mecum vitia terrarum extraho. / Violenta Fata et horridus Morbi tremor, / Maciesque et atra Pestis et rabibus Dolor, / mecum ite, mecum. Anche nell’Edipo a Colono di Sofocle i figli cacciano Edipo da Tebe solo più tardi; cfr. G. Serra, Edipo e la peste, cit., p. 112, nota 3. 

[33] Sulla disciplina dell’iconografia teatrale rimando al recente volume di R. Guardenti, In forma di quadro. Note di iconografia teatrale, Imola, Cue Press, 2020, pp. 11-38. 

[34] Cfr. D. Perego, Da Sofocle ad Alfieri. Iconografia di Antigone nell’arte del XIX secolo (Giornata di studi, Dipartimento di filologia classica, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; 05/12/2019); D. Perego, Antigone nelle incisioni del XIX secolo. Uno studio di iconografia teatrale, «Grafica d’Arte», 2, 2020, pp. 2-9; D. Perego, Antigone nell’arte moderna. Uno studio di iconografia teatrale (Seminario, Kerkìs. Teatro Antico in Scena – Università Cattolica di Milano, 28.04.21).

[35] A fronte di una bibliografia sterminata e multidisciplinare sulla figura di Antigone, inclusa la ricezione nel teatro moderno e contemporaneo, ad oggi mi risulta esistano solo due studi recenti specifici sull’iconografia dell’eroina nell’arte moderna. Il saggio di Maria de Fatima Silva (Antigone, in R. Lauriola, K. N. Demetriou (ed.), Brill’s Companion to the Reception of Sophocles, Boston, Brill, 2017, pp. 391-467) include una sintetica trattazione sulla rappresentazione dell’eroina nell’Ottocento e oltre. Il volume di V. Motta, Antigone illustrata (Roma, Albatros, 2019), punto di partenza della mia indagine, cui si aggiungono i miei studi citati sopra, vd. nota 34. 

[36] Sulla pittura neoclassica e Antigone vd. V. Motta, Antigone illustrata, cit., pp. 7-16. 

[37] Sono queste le famose categorie estetiche teorizzate da J. J. Winckelmann in Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura del 1755. 

[38] Per i puntuali riferimenti alle fonti rimando al testo di V. Motta, Antigone illustrata, cit. 

[39] Sul Prix de Rome vd. M. A. Duvivier, Liste des élèves de l’ancienne école académique et de l’école des Beaux-Arts, qui ont remporté les grands prix de peinture, sculpture, architecture, gravure en taille douce, gravure en médailles et pierres fines, et paysage historique depuis 1663 jusqu’en 1857; relevé authentique fait sur les registres de procès-verbaux de l’ancienne académie et sur ceux de l’institut«Archives de l’art français» 1857-1858; J. Guiffrey, Liste des pensionnaires de l’Académie de France à Rome, donnant les noms de tous les artistes récompensés dans les concours du prix de Rome de 1663 à 1907, Paris, Firmin-Didot, 1908; P. Grunchec, Le grand Prix de peinture, les concours des prix de Rome de 1797 à 1863, Paris, École Nationale Supérieure Des Beaux-Arts, 1983; The Grand Prix de Rome: paintings from the École des Beaux-Arts 1797-1863, a cura di P. Grunchec, J. Thuillier, Washington, International Exhibitions Foundation, 1984. 

[40] Cfr. V. Motta, Antigone illustrata, cit., pp. 8-9. 

[41] J. Guiffrey, Liste des pensionnaires de l’Académie de France à Rome, cit., p. 104.

[42] Giocasta all’inizio del terzo episodio porta offerte all’altare del dio Apollo Liceo (Soph. OT v. 919); cfr. V. Di Benedetto, E. Medda, La tragedia sulla scena. La tragedia greca in quanto spettacolo teatrale, Torino, Einaudi, 2002, pp. 105-106. 

[43] Sull’opera di Brumoy rimando a F. Fassina, Pierre Brumoy e il Théâtre des Grecs, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2017. 

[44] P. Grunchec, Le grand Prix de peinture, cit., p. 240; J. Guiffrey, Liste des pensionnaires de l’Académie de France à Rome, cit., p. 104; M. A. Duvivier, Liste des élèves de l’ancienne école académique, cit., p. 327; Envois des pensionnaires de l’École de France à Rome, «Journal des beaux-arts et de la littérature», XII1845, pp. 164-166; Concours pour les Grand Prix. Envois de Rome. Académie des Beaux-Arts, «L’Illustration», VI, 136, 4 ottobre 1845, pp. 67-68; Maestà di Roma. Da Napoleone all’Unità d’Italia. D’Ingres à Degas. Les artistes français à Rome, a cura di O. Bonfait, Milano, Electa, 2003, pp. 180, 468; P. Grunchec, La peinture à l’École des beaux-arts Les concours des Prix de Rome 1797-1863, Paris, ENSBA, I, 1986, pp. 162-163, II, 1989, pp. 154-158; L. Clément de Ris, Mouvement des arts. Envois de Rome, «L’Artiste», XLIV, 15 ottobre 1850, p. 154. 

[45] J. Guiffrey, Liste des pensionnaires de l’Académie de France à Rome, cit., p. 104; M. A. Duvivier, Liste des élèves de l’ancienne école académique, cit., p. 327; M-M. Aubrun, Léon Benouville, Catalogue raisonné de l’œuvre, Paris, Marie-Madeleine Aubrun, 1981, n. 16.

[46] E. Bellier, L. Auvray, Dictionnaire général des artistes de l’école française depuis l’origine des arts du dessin jusqu’à nos jours. Architectes, peintres, sculpteurs, graveurs et lithographes, Paris, Libr. Renouard, 1882, I, p. 70; E. Bénézit, Dictionnaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs, Paris, Libr. Renouard, 1966, I, p. 560.

[47] Guiffrey, Liste des pensionnaires de l’Académie de France à Rome, cit., p. 104; Concours pour les Prix de Rome. Peinture«L’Artiste», 27, 1843, pp. 211-213; Journal des débats politiques et littéraires, 28, 1843, p. 3; The Figure in Nineteenth-Century French Painting, a cura di F. Mosby Dewey, Detroit Institute of Arts, 1979, pp. 46-47, cat. 16; M. M. Aubrun, A History Painting by Gambard, «Bulletin of the The Bulletin of the Detroit Institute of Arts», LVII, 2, 1979, pp. 73-81, fig. 1; P. Grunchec, Le grand prix de peinture, les concours de prix de Rome de 1797 à 1863, cit., 1984, pp. 241, 408, fig. 2; M. A. Duvivier, Liste des élèves de l’ancienne école académique, cit., p. 327.

[48] A questo proposito vd. F. Giorgianni, Lo sguardo di Edipo: alla ricerca del paziente zero, «Visioni del tragico», 5 maggio 2020; E. Palandri, Siamo la città appestatae siamo Edipo«Doppiozero», 20 novembre 2020; S. Fornaro, Edipo Re, la tragedia dell’antropocene: un esperimento di teatro digitale alla Volksbühne di Berlino, «Visioni del tragico», 25 febbraio 2021. 

[49] Per un percorso cronologico su Edipo vd. M. Bettini, G. Guidorizzi, Il mito di Edipo. Immagini e racconti dalla Grecia ad oggi, Torino, Einaudi, 2004. 

[50] R. Mitchell-Boyask, Plague and the Athenian imagination, cit., p. 390. 

 [51]  Thuc., II 47-50.

[52] F. Giorgianni, Lo sguardo di Edipo: alla ricerca del paziente zero, cit.

[53] Cfr. F. Giorgianni, Lo sguardo di Edipo: alla ricerca del paziente zero, cit.

 


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SOFOCLE , EDIPO , TRAGEDIA , arte , ICONOGRAFIA


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Antichistica

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