Resilienza tra crisi e speranza: un insegnamento dalla Commedia di Dante

di Santo Di Nuovo

 


1. Resilienza: un modo di non arrendersi alla crisi[1]

 

La resilienza è la capacità di un sistema di ripristinare la sua omeostasi, ossia una condizione di equilibrio, dopo un intervento esterno perturbante o un deficit rispetto alla capacità di carico (quello che con termine tecnologico si definisce overload). Quando ad una iper-stimolazione (grave e/o prolungata) rispetto alle capacità di fronteggiarla e reggerla subentra un dis-equilibrio, la possibilità di ripristinare l’equilibrio è consentita appunto dalla resilienza. In realtà, il termine resilienza in accezione psico-sociale indica qualcosa di più rispetto ad una semplice sopravvivenza nonostante i danni, ed anche alla condizione di adattamento che comporta un cambiamento di sé per resistere all’evento. Il comportamento resiliente è diverso anche dal “far fronte” o coping, che designa l’uso di risorse adeguate, ma senza necessariamente tornare ad una condizione di equilibrio positivo dopo la perturbazione del sistema.[2]

Quali capacità sono necessarie per attivare la resilienza? Alcune vengono dall’uso di risorse interne già disponibili nella persona, altre dalle capacità di trarre profitto delle risorse offerte dal contesto:[3]

padroneggiare sentimenti ed emozioni forti: ad esempio, evitare eccessive “ruminazioni” mentali, usare tecniche di rilassamento;
evitare di ricorrere a difese negative o soluzioni di “conforto”, ma disadattive come alcol, droghe, altre dipendenze patologiche;
“pensare positivo”: saper trovare aspetti stimolanti nella situazione stressante, attuando una re-interpretazione delle conseguenze possibili dell’evento;
identificarsi come “survivor” capace di cambiamento attivo, piuttosto che come vittima passiva;
fare piani realistici, ricercando informazioni e criteri di comprensione adeguati per programmare le attività di recupero;
possedere abilità di comunicazione efficace, per condividere con altri i propri problemi e recepirne correttamente i feedbacks;
mantenere una buona immagine e fiducia in sé, fondamento motivazionale per l’azione;
sviluppare senso di auto-efficacia e aspettative di controllo interne: sentire di poter fare qualcosa per controllare attivamente il trauma, evitando la passivizzazione e ricorrendo a risorse interne.

 

2. Resilienza e/è speranza

La resilienza è connessa con la dimensione della speranza, che costituisce una delle risorse di psicologiche più importanti per l’individuo ma anche per i gruppi sociali. 
La speranza implica la capacità di pensare positivamente, promuovendo la pianificazione e un efficace adattamento socio-emotivo.[4] Alcuni autori[5] ne hanno sottolineato gli aspetti cognitivi: motivazione e capacità di intraprendere e perseguire obiettivi personalmente rilevanti, usando strategie attive per far fronte alle difficoltà. Altri studiosi hanno maggiormente focalizzato gli aspetti emotivi che sorreggono questi percorsi,[6] in una prospettiva più integrata e olistica.[7]

La speranza attiva la spiritualità – intesa come atteggiamento complessivo di trascendenza rispetto alla vita presente - e ne è a sua volta sostenuta, in un processo circolare continuo.[8] In molti casi la speranza è riferita anche ad aspetti sovra-naturali, assumendo connotazioni tipiche della religiosità nelle sue varie forme.[9]

È stato dimostrato che la speranza attiva processi positivi che moderano gli effetti dello stress accrescono la resilienza, influenzano positivamente il sistema immunitario, migliorano la salute fisica e psichica, realizzano condizioni di benessere generale.[10] La speranza è correlata con autostima, auto-efficacia e abilità di risoluzione dei problemi;[11] è quindi un buon predittore del benessere cognitivo, e contrasta il rischio di depressione.[12] Al contrario, la mancanza di speranza è correlata con rischio di patologie psichiche, e costituisce un fattore di rischio di depressione e suicidio.[13] I questi casi si parla di hopelessness come senso di disperazione che accompagna patologie psichiche diverse.[14]

La definizione di speranza include una proiezione nel futuro, nel quale si cerca di realizzare una realtà diversa e migliore rispetto a quella attuale.[15] Mediante la speranza la persona pensa positivamente alle proprie potenzialità di sviluppo, progetta azioni per realizzare un adattamento sociale ed emotivo soddisfacente.

In questo senso la speranza viene spesso associata con l’ottimismo.[16] In realtà i due costrutti, pur essendo entrambi rivolti alla costruzione di percorsi di vita con attesa di risultati positivi, sono diversi in quanto l’ottimismo prevede che questi possano essere ottenuti anche attraverso forze esterne a sé (le cose andranno bene),[17] la speranza invece riguarda i risultati ottenibili basandosi soprattutto su sé stessi (“spero di farcela”).[18]  Pertanto, i costrutti di speranza e ottimismo sono connessi ma non si identificano.[19] Costrutti diversi ma complementari, speranza e ottimismo sono essenziali per raggiungere, mantenere e implementare il benessere soggettivo, e sono importanti per attivare risposte resilienti alla crisi che sconvolge il benessere delle persone e dei gruppi sociali.   

 

3. Crisi e bisogno di resilienza

La crisi pandemica, da cui non siamo ancora usciti, ci ha fatto sentire come Dante all’inizio della sua Commedia, persi in una selva oscura, la selva dell’angoscia derivante all’incognito, cioè da prospettive future non conosciute e non prevedibili. Innumerevoli ricerche empiriche, condotte in tutto il mondo, hanno studiato l’impatto della pandemia sui tanti aspetti della convivenza sociale: l’organizzazione lavorativa, le relazioni interpersonali, l’uso dei social media, lo stress post traumatico e le sue conseguenze.

Un tema rilevante da un punto di vista psicosociale è quello dell’essere “esiliati” dai propri ruoli usuali, e – come Dante e tanti esuli nella storia – doversi riadattare a schemi di vita nuovi e diversi, ricostruendo resilienza e speranza. Una survey sulla crisi degli studenti universitari[20] ha confermato che la pandemia ha mandato in esilio il ruolo di studenti, di docenti, di cittadini di un mondo che certamente non può essere più come prima. Ma nessuno sa come sarà: ecco l’incognito che segue la pandemia, come ogni crisi. Come quella che Dante e i suoi coevi provavano nel XIV secolo tra sanguinose guerre e l’epidemia di peste che sterminò un terzo della popolazione europea.

Dante viveva personalmente l’angoscia dell’esiliato e dell’incerto futuro, proprio e della collettività sconvolta; e seppe trasfigurarla in un’opera immortale. Quale proposta di resilienza e di speranza ci viene dall’opera di Dante, di cui celebriamo l’attualità dopo sette secoli? Quale lezione si può trarre oggi da trasmettere ai giovani perturbati dalla pandemia? e non solo a loro, ma anche ai loro docenti ed educatori, e a tutto il mondo in crisi?

 

4. Dante e la resilienza: una lezione ancora attuale?

La crisi di Dante quando scrive la sua Commedia è quella di un esiliato senza prospettive di ritorno in patria. Era condannato per «baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia … a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia”».[21] Restarono delusi di tutti i tentativi di rientro in patria, con le armi e con la politica. Dante rimase esule e provò fino alla morte «sì come sa di sale lo pane altrui, e com’è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale» (Paradiso, XVII). La Commedia che scrive durante questo esilio è veicolo allegorico della speranza di salvezza, partendo dai drammi dei dannati, passando per le pene che purgano, per arrivare alla gloria del paradiso.

Nella prima cantica il poeta ripercorre la diabolicità della vita quotidiana, che concretizza l’inferno, il male personificato nei diavoli infernali tipici della cultura medievale. Condannati a pena eterna sono i politici che tradiscono la loro missione, i religiosi che tradiscono la fede, i cittadini che tradiscono la morale per l’interesse personale. Così si crea l’inferno, e l’angoscia che fa di-sperare. Da dove può derivare la speranza di salvezza da questa angoscia? Diverse sono le fonti che Dante cita nella sua ricerca di senso salvifico.

La prima di questa fonte è interna all’umanità stessa: è la voglia, e la capacità, di mettersi in viaggio per uscire dalla selva oscura. Evitando l’immobilismo, la depressione, il lasciarsi andare, e attivandosi per trovare la via d’uscita. La speranza nasce dal movimento. Lo sanno bene quanti, sin dalle origini del mondo, si mettono in viaggio per lasciare contesti di vita insoddisfacenti, conflittuali, pericolosi. La migrazione è una forma di speranza, e una premessa di resilienza. Ma bisogna anche saper trovare supporto in questo viaggio: una guida, in mentore, qualcuno che non solo insegna la strada, ma aiuta a capire perché andare e dove andare. Stranamente, Dante sceglie come guida iniziale Virgilio, un non-cristiano. Sarà un pre-cristiano a guidarlo verso il paradiso, anche se poi lo lascerà prima di arrivare alla meta, affidandolo ad altri buoni supporti. Come dire: ogni essere umano, a prescindere dalla sua fede religiosa, può trovare una guida nella ragione che Virgilio impersona; che però si ferma ad un certo punto, e ha bisogno di altri ausili più completi e duraturi.

Il supporto può arrivare anche da una categoria del genere umano che un tempo si pensava ‘inferiore’ tanto da non meritare neppure di avere un’anima: le donne.[22] Guidano Dante nel suo viaggio Beatrice una donna sublimata nella poesia, Lucia protettrice della visione, e la massima esponente della femminilità santificata, la Vergine Maria. Anche questo sembra strano perché per Dante – come scriveva Francesco De Sanctis[23]«l’amore non ebbe tempo di divenire una passione, come si direbbe oggi, rimase un sogno ed un sospiro». Una donna, seppur solo sognata, aiuta l’esiliato nel suo viaggio di salvezza; un’altra, la moglie Gemma Donati – seppur di famiglia appartenente ad un partito politico avverso – rimase a prendersi cura della sua casa e dei suoi beni. La donna resta per Dante un “oggetto di desiderio”, come direbbe Buňuel, eppure questo oggetto del desiderio diventa fonte di speranza di una “vita nuova”.

 

5. Le fonti della speranza: filosofia, scienza, fede

La salvezza viene ancora da un’altra guida: la filosofia e la scienza.
Nel Convivio[24] Dante chiama beati «i pochi che possono partecipare alla mensa della scienza, dove si mangia il “pane degli angeli”», e miseri coloro «che si accontentano di mangiare il cibo delle pecore». Spera in una vita basata su filosofia e scienza, che devono guidare la vita umana insieme alla fede. Perché – come si è visto nell’impossibilità di Virgilio di portarlo fino al paradiso - la ragione non basta: «State contenti, umana gente, al quia; ché se potuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria» (Purgatorio, III). Non tutto ci è permesso di conoscere nella vita limitata e finita in cui siamo immersi. Voler cogliere in questa vita il frutto della conoscenza totale è fonte di condanna, come nel mito della colpa originale.
Fedele a questa logica, Dante colloca all’inferno Ulisse, pur ammirandolo, perché vuole superare i limiti per scoprire ciò che agli umani non è permesso. Il folle e temerario viaggio oltre i limiti di Ulisse è – come scrisse Borges[25]«un occulto e intricato suicidio», come quello del capitano Ahab di Melville. Dante stesso è un po’ come Ulisse: «… un avventuriero che calca sentieri mai calcati, esplora mondi che nessun altro ha conosciuto e si prefigge le mete più difficili e remote. Ma qui si esaurisce il paragone. Ulisse intraprende a proprio rischio e pericolo avventure proibite; Dante si lascia condurre da forze superiori».[26]

Per salvarsi ci vuole qualcosa che va al di là della scienza: sperare cose che non si possono vedere e dimostrare. «Fede è sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi» P)aradiso, XXIV).

Ma la fede non è solo quella religiosa, è anche quella laica in un mondo che può essere diverso e libero, e che l’umanità stessa può e deve costruire, liberandosi da tutti i vincoli che ne limitano la piena realizzazione. Primaria fonte di speranza è il desiderio di libertà: come ben sapeva Catone che «libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta» (Purgatorio, I). Dante aspira alla libertà dal male in generale, ma anche alla libertà dalla politica oppressiva, come proclama nella pesantissima invettiva contro chi priva ingiustamente un popolo della libertà: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!» (Purgatorio, VI).

Infine: la salvezza dall’angoscia richiede una funzione profetica: l’allegoria poetica, la sua visione servono a Dante non solo per la salvezza personale ma anche come missione per illuminare alla speranza gli uomini del suo tempo, persi dietro gli odi e le guerre, e aggrediti dalla pandemia della peste.
Proclamare la speranza, diffonderla; questo vuol dire essere profeti, come hanno sostenuto con diverse modalità e argomentazioni, Mineo,[27] Sermonti e, più di recente, Benigni.[28] Queste sono diverse fonti della speranza che aiuta ad uscire dalla “selva oscura” in cui si può incappare nel mezzo della vita, e ad andare verso le “stelle” che ci fanno intravedere una realtà diversa, senza angoscia. Ma non tutti sanno realizzare questa speranza …

Molti personaggi che Dante incontra nel suo viaggio hanno manifestato l’angoscia esistenziale in declinazioni diverse, e hanno cercato di superarla con mezzi più o meno efficaci (alcuni disastrosi e ‘infernali’). Così i di-sperati soffrono senza speranza; in purgatorio si soffre ma con la speranza di redenzione; la speranza nella vita beata rappresenta il “paradiso”, il mondo delle “stelle” cui Dante aspira e che mette a suggello di tutte e tre le cantiche. Queste stelle sono regolate dall’amore che muove tutto («il sole e l’altre stelle»: Paradiso, XXXIII): la speranza nell’amore è quella che ci guida verso la salvezza.

 

6. La speranza nella fraternità: da Dante a Morin

La domanda finale, e suprema, è dunque cos’è l’amore. Certo, per Dante è Dio, come lo è per la fede cristiana: quella vera, non quella traviata di papa Bonifacio VIII e di altri cosiddetti “credenti”, che infatti stanno ben collocati nell’Inferno. Ma come si concretizza la divinità-amore nella vita quotidiana, per poter sperare di raggiungere il paradiso?  Si attua nel superamento dell’egocentrismo narcisistico e nella apertura agli altri: questo è l’amore che consente di guardare da lontano, con distacco, «l’aiuola che ci fa tanto feroci» (Paradiso XXII, 151), aiuta a costruire una vita nuova, libera dall’odio e dell’egoismo, aperta alle realtà ‘diverse’.
Dante insieme alla donna-guida Beatrice segue Benedetto all’Empireo, «volgendosi con li eterni Gemelli» il segno dei pellegrini, di chi viaggia, di chi ha desiderio di cose nuove, di chi ha open mind (Gemelli era il segno zodiacale dello stesso Dante). Il segno di chi crede nella fraternità con i compagni di viaggio per aiutarsi reciprocamente a raggiungere la salvezza finale, perché non ci si può salvare da soli.

Ecco cosa intende come amore fraterno un grande viaggiatore nella cultura del XX secolo, che ha prolungato la sua vita nel XXI fino a superare da poco i 100 anni, Edgar Nahoum (Morin): «Come non ho mai potuto vivere senza amore, non ho potuto vivere senza fraternità. Le mie esperienze di fraternità sono i momenti più belli della mia vita«.[29]
Ma quale fraternità? Quella nutrita dal «sentimento profondo di una maternità comune» e dalla consapevolezza che una «comunità di destino» coinvolge ormai necessariamente tutti gli esseri umani, e che l’egoismo di alcuni sarà rovinoso per tutti.
Morin ha creato il neologismo reliance, derivato da religione – in ottica laica – e alleanza: capacità di rafforzare le connessioni positive o crearne nuove.[30] L’identità sociale è possibile solo se connessa al nostro ‘prossimo’, alla comunità, alla società multietnica, alla razza umana come “Terra-Patria”. Reliance (linguisticamente vicino a resilience) è il “porto sicuro” per tutti gli esuli in cerca di fraternità, salvezza dalla deriva cui portano tecnologia ed economia lontane dal mirare alla meta del bene comune, verso una polis comune cui la politica mondiale non sa, o non vuole, orientarsi.

 

7. Per “riveder le stelle”…

In conclusione, riassumiamo cosa ci insegna Dante rispetto ad una crisi esistenziale e globale come quella odierna derivata dalla pandemia, ma non solo: crisi conseguente all’egoismo, all’etnocentrismo, all’imperialismo economico, alla stolta guerra contro chi è “diverso”. Condizioni precedenti alla pandemia, che questa ha accentuato facendoci precipitare in un esilio collettivo dalla fraternità e dall’amore, e in molti casi anche dalla ragione.
Dante ci insegna a muoverci, a metterci in viaggio con fiducia per uscire dalla oscurità della selva, a cercare per questo viaggio supporti e guide giuste, ad usare la scienza valutandone al tempo stesso i limiti, a cercare la libertà, ad essere profeti dell’amore, dell’apertura verso gli altri, verso la fraternità: tutte le condizioni che creano la “vita nuova”.
Questo valore della speranza, che contiene i possibili mezzi per supportarla, è la grande profezia che Dante dopo sette secoli ci trasmette ancora. Ed è una voce di grande attualità per i nostri giovani, e per tutto il mondo in esilio nell’oscurità della selva ma desideroso di uscire alla luce del sole e di liberarsi delle nubi per “riveder le stelle”: una resilienza piena e definitiva.

 

 


[1] Professore emerito dell’Università di Catania, presidente della Associazione Italiana di Psicologia.
Questo testo rielabora ed amplia la conferenza tenuta all’incontro organizzato dal CInAP (Centro per l’Integrazione attiva e partecipata) dell’Ateneo catanese il 1 ottobre 2021 su Dante Alighieri: ansia e/è incognito.

[2] S. S. Luthar, D. Cicchetti, B. Becker, The construct of resilience: A critical evaluation and guidelines for future work, «Child Development», 71/3, 2000, pp. 543-562; E. Malaguti, Educarsi alla resilienza: Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi, Trento, Erickson, 2005; L. Peirone (a cura di), Nuovo coronavirus e resilienza: Strategie contro un nemico invisibile, Torino, Anthropos, 2020 (nuovocoronavirus-ebook.com)

[3] C.E. Agaibi, J.P. Wilson, Trauma, PTSD, and resilience: A review of the literature, «Trauma, Violence, and Abuse», 6, 2005, pp. 195-216.

[4] A. Carr, Positive Psychology, NY, Brunner- Routledge, 2004.

[5] C.R. Snyder, Conceptualizing, Measuring, and Nurturing Hope, «Journal of Counseling and Development», 73, 1995, pp. 355-360; Id., Handbook of Hope: Theory, measures, and applications, San Diego, Academic Press, 2000.

[6] Citava la speranza come “sindrome emozionale” J. R Averill, The emotions: An integrative approach, in R. Hogan & J. A. Johnson (eds.), Handbook of personality psychology, Academic Press, San Diego (CA), 1997, pp. 513-541. Più recentemente: A. Scioli,  C.M. Samor, T.L. Campbell, C.M. Chamberlin, A.B. Lapointe, A.R. Macleod, A prospective study of hope, optimism and health, «Psychological Reports», 81, 1997, pp. 723-733; A. Scioli, H.B. Biller, Hope in the age of anxiety, New York, Oxford University Press, 2009.

[7] H. Du – R.B. King, Placing hope in self and others: Exploring the relationships among self-construals, locus of hope, and adjustment, «Personality and Individual Differences», 54, 2013, pp. 332-337.

[8] T. Merton, The new man, New York, Noonday Press, 1961; G.G. May, The awakened heart, San Francisco, Harper Collins, 1991.

[9] J.W. Ciarrocchi, E. Deneke, Hope, optimism, pessimism and spirituality as predictors of well-being controlling for personality, «Research in the Social Scientific Study of Religion», 16, 2006, pp. 161-183; C. W. Ellison, Spiritual well-being: conceptualization and measurement, «Journal of Psychology and Theology», 11, 1983, pp. 330-340; R.A. Tanyi, Towards clarification of the meaning of spirituality, «Journal of Advanced Nursing», 39/5, 2002, pp. 500-509.

[10] K.B. Chan, Individual differences in reactions to stress and their personality and situational determinants: Some implications for community mental health, «Social Science & Medicine», 11, 1967, pp. 89-103; L. A. Gottschalk, Hope and other deterrents to illness, «American Journal of Psychotherapy», 39, 1985, pp. 515-524.

[11] N. Park, C. Peterson, M.E.P.Seligman, Strengths of character and well-being, «Journal of Social and Clinical Psychology», 23, 2004,  pp. 603-619; O.B. Davidson, D.B. Feldman, M. Margalit, A focused intervention for 1st-year college students: Promoting hope, sense of coherence, and self-efficacy, «The Journal of Psychology», 146, 2012, pp. 333-352; D.H. Schunk, Self-efficacy and achievement behaviors, «Educational Psychology Review», 1, 1989, pp. 173-208.

[12] A.T. Beck, J. Rush, B.F. Shaw, G. Emery, Cognitive therapy of depression, New York, Guilford Press, 1979; F.T. Melges, J. Bowlby, Types of hopelessness in psychopathological process, «Archives of General Psychiatry», 20, 1969, pp. 690-699.

[13] J. Frank, The role of hope in psychotherapy, «International Journal of Psychiatry», 5, 1969, pp.383-395; R.C. Erickson, R.D. Post, A.B. Paige, Hope as a psychiatric variable, «Journal of Clinical Psychology», 31, 1975, pp. 324-330; F.J. Hanna, Suicide and hope: The common ground, «Journal of Mental Health Counseling», 13, 1991, pp. 459-472.

[14] F.T. Melges, J. Bowlby, Types of hopelessness in psychopathological process, «Archives of General Psychiatry», 20, 1969, pp. 690-699; J.C. Franklin, Risk factors for suicidal thoughts and behaviors: A meta-analysis of 50 years of research, «Psychological Bulletin», 143, 2017, pp. 187-232.

[15] C. R. Snyder, C. Harris, J.R. Anderson, S.A. Holleran, L.M. Irving, S.T. Sigmon, L. Yoshinobu, J. Gibb, C. Langelle, P. Harney, The will and the ways: Development and validation of an individual differences measure of hope, «Journal of Personality and Social Psychology», 60, 1991, pp. 570-585; M.C. Ginevra, T. M. Sgaramella, L. Ferrari, L. Nota, S. Santilli, S. Soresi, Visions about future: a new scale assessing optimism, pessimism, and hope in adolescents, «International Journal for Educational and Vocational Guidance», 17, 2017, pp. 187-210.

[16] A. Carr, Positive Psychology, New York, Brunner-Routledge, 2004.

[17] M.F. Scheier, C.S. Carver, Optimism, coping, and health: Assessment and implications of generalized outcome expectancies, «Health Psychology», 4, 1985, pp. 219-247

[18] P.R. Magaletta, J.M. Oliver, The hope construct, will, and ways, «Journal of Clinical Psychology», 55, 1999, pp. 539-551.

[19] P. Bruininks, B.F. Malle, Distinguishing hope from optimism and related affective states, «Motivation and Emotion», 29, 2005, pp. 327-355; F.B. Bryant, J.A. Cvengros, Distinguishing hope and optimism: Two sides of a coin, or two separate coins?, «Journal of Social and Clinical Psychology», 23, 2004, pp. 273-302.

[20] S. Di Nuovo, C. Moschetto, V. Narzisi, Il malessere degli studenti dell’Ateneo durante la pandemia, «Bollettino di Ateneo dell’Università di Catania», 7 settembre 2021, http://www.bollettino.unict.it/sites/default/files/allegato-articoli/Survey%20studenti%20Ateneo_2021.pdf Presentata al Congresso internazionale della European Federation of Psychological Associations, a Lubljana, 5-8 luglio 2022.

[21] «Libro del chiodo», Archivio di Stato di Firenze, 10 marzo 1302.

[22] Un recente saggio sull’argomento è quello di M. Santagata, Le donne di Dante, Bologna, Mulino, 2021. Cfr. anche A. Cazzullo, A riveder le stelle, Milano, Mondadori, 2020.

[23] F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Napoli, Morano, 1890, p. 59.

[24] D. Alighieri, Convivio, Bonaccorsi, Firenze 1490. E-pub: SAGA Egmont 2021.

[25] J.L. Borges, Nove saggi danteschi, Milano, Adelphi, 2001 (ed. orig. 1982).

[26] Citazione da A. Rüegg, Die Jenseitsvorstellungen vor Dante und die übrigen literarischen Voraussetzungen der “Divina Commedia”, II, Einsiedeln, Beziger, 1945, p. 114.

[27] N. Mineo, Profetismo e apocalittica in Dante: strutture e temi profetico-apocalittici in Dante: dalla Vita nuova alla Divina commedia, 1968 (ripubblicato nel 2018 Acireale, Tipheret).

[28] Vittorio Sermonti ha letto e spiegato Dante alla radio e in letture pubbliche (è anche autore di L’inferno di Dante, Garzanti, Milano 2021); Roberto Benigni con le sue performance ha avvicinato Dante all’ampio pubblico televisivo.

[29] E. Morin, La fraternité, pourquoi ?, Arles, Éditions Actes Sud, 2019.

[30] Id., Il Metodo, vol. 6: Etica, Milano, Cortina, 2005.


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Psicologia

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