Resilienza e accomodatio:
strategia retorica e teologia progressiva in Erasmo da Rotterdam

di Maria Fallica

 

 

Erasmo resiliente? La centralità estrema nel dibattito pubblico e nell’immaginario sociale del termine ‘resilienza’, l’immaginario sociale (forzatamente?)[1] positivo e prescrittivo legato al concetto, addirittura un certo suo «imperialismo scientifico»[2] legato ad una pretesa unificante e totalizzante possono mettere in serio dubbio l’opportunità scientifica di applicare un termine del genere, estraneo al suo contesto storico e linguistico, all’esperienza storica e teologica di Erasmo da Rotterdam. Che plausibilità, dunque, assegnare a una ricerca che si proponga di esplorare la teologia e la vita, le attitudini umane e spirituali, di un principe della parola, che impiegò pagine su pagine a descrivere, circoscrivere e definire la sua produzione e il suo credo, con una parola altra, estranea, à la page? La scommessa di queste mie righe è dunque quella non di una sistematica ricomprensione di un complesso di dottrine alla luce di una nuova categoria, né ancor meno una nuova interpretazione psicologizzante della personalità storica di Erasmo, ma il tentativo di esplorare le possibilità ermeneutiche dell’immagine, contenute nella sua radice e nella sua prima, nota, occorrenza, per dischiudere significato. Partirò quindi da tre parole chiave, che mi guideranno nell’analisi, tutte strettamente collegate all’etimologia e all’uso tecnico scientifico del termine: urto, contraccolpo, eco.

 

1. Echi e rimbalzi: una possibile etimologia

L’operazione che si è annunciata richiede qui di indicare possibili etimologie del termine, esse stesse indicanti una genealogia ideale, che si carica a ritroso di significato e sfumature. Molti studi recenti indicano quindi nella Sylva Sylvarum (1627) di Francis Bacon la prima occorrenza del termine »resilience« nella lingua inglese:

The echo cometh as the original sound doth, in a round orb of air: it were good to try the creating of the echo where the body repercussing maketh an angle: as against the return of a wall,  &c. Also we see that in mirrors, there is the like angle of incidence, from the object to the glass, and from the glass to the eye. And if you strike a ball side-long, not full upon the surface, the rebound will be as much the contrary way. Whether there be any such resilience in echoes, (that is, whether a man shall hear better if he stand aside the body repercussing, than if he stand where he speaketh, or anywhere in a right line between,) may be tried. Trial likewise would be made, by standing nearer the place of repercussing than he that speaketh; and again by standing further off than he that speaketh, and so knowledge would be taken, whether echoes, as well as original sounds, be not strongest near hand.[3]

 

La comparsa del termine resilienza nella lingua inglese si verifica dunque nel contesto della discussione sulla natura dell’eco, descritto come «round orb of air» che torna indietro come una palla lanciata contro un muro. Lo scienziato britannico Thomas Young nel suo A Course of Lectures on Natural Philosophy and the Mechanical Arts, del 1807, definisce resilienza «that [action] which resists impulse[4] legando il suo significato all’elasticità dei corpi, alla capacità di riprendere forma o posizione originaria dopo compressione o piega.[5] Una lettera di Cartesio a Mersenne del 1630, tradotta in latino nel 1668, traduce l’originale rebondir, ‘rimbalzare’, con i termini latini resilientia e resilire, indicando la proprietà fisica dei corpi che rende possibile il rimbalzo degli oggetti materiali e il riflesso dei suoni.[6] I vocaboli inglesi e francesi originano dunque nel latino resilio, composto di salire, «saltare», e il prefisso re-, dal significato di «scattare all’indietro, indietreggiare improvvisamente (anche in orrore o disgusto), rinculare, tirarsi indietro, rimbalzare».[7] Non rientra nell’interesse del nostro discorso la storia della fuoriuscita del termine dal suo significato meccanico per entrare nella storia della psicologia, delle scienze sociali in genere, dell’ecologia e infine nel discorso pubblico generalistico. Invece, incroceremo a) il significato contemporaneo attribuito al termine, come reazione positiva, trasformativa e adattativa, al trauma; 2) i valori meccanici di contraccolpo, salto e eco, desunti dall’etimologia latina e dai primi usi scientifici del termine; 3) qualche occorrenza latina, rintracciata in Erasmo, per provare a ragionare sulla potenzialità del suo impiego per illuminare aspetti della figura dell’olandese.

 

2. Camaleonti e dèi del mare: l’accomodatio come chiave dell’ermeneutica erasmiana

La teologia erasmiana è sostanzialmente una teologia adattativa. Davanti a quella che Erasmo scopre come faticosa e vertiginosa sfida di un cristianesimo millenario, la cui storia sin dalle origini è storia plurale e diversificata, l’umanista propone, sia nella sua pratica esegetica che nel suo tentativo di dialogo con prospettive diverse, non la resistenza dogmatica e ferrea, ma la capacità di adattamento, la diatriba, la provvisorietà e parzialità della ricerca teologica, che non significa affatto, però, indifferentismo o nicodemismo, ma è basata su un preciso fondamento paolino e patristico. Il modello è la patristica accomodatio, lo strumento esegetico cui Erasmo fa ampio riferimento nella Ratio e che è al cuore della sua comprensione dell’economia di salvezza, secondo una lettura patristica (origeniana)[8] di 1Cor 3,1-2.[9] La Sapienza divina balbetta, adattando la sua voce all’infantile insipienza umana[10] e la Scrittura sacra parla al modo degli uomini.[11] Così, Cristo è detto Proteo, lo sfuggente, metamorfico dio marino, per la varietà della sua vita e del suo insegnamento; parole che susciteranno le aspre critiche di Alberto Pio da Carpi.[12] E Paolo segue Cristo, anche egli Proteo e camaleonte:[13] alla loro sequela Erasmo stesso, che assume su di sé il nome di Proteo. La capacità del dio marino di cambiare aspetto è funzionale alla volontà e necessità di fuga: il dio non si fa braccare, si sottrae ai nemici, cambiando forma. Il suo nome si può dunque sussumere sotto il topos di «inconstantia»»o    morum inaequalitas, «come dice il De verborum copia erasmiano, elencando le possibili variationes del soggetto, insieme ad altri esempi mitici, come Mercurio, Empusa, Vertumno, Morfeo, Circe, capaci di cambiare («vertere») forma e volto, «in miracula rerum».[14] Nella Spongia, l’atteggiamento di Erasmo, nel contesto di un attacco a Hutten che attardò e tentò di evitare sino alla fine, per motivi politici e di vicinanza, è presentato nei termini dellaccomodatio e di questa mutabilitas che si adatta a circostanze e esigenze. Così, Erasmo dichiara di essere accusato di tergiversare, perché è «varius in epistolis»:[15] ma, si chiede retoricamente, dovrebbe forse dire le stesse cose a chiunque, calzando lo stesso calzare a ogni piede, ignorando la varietà di persone, tempi e circostanze? Paolo stesso cambia il suo linguaggio e il suo tono, ma il suo scopus rimane costante, così come si mantiene fermo, Erasmo sostiene, il proprio, così definito: «proveho bonas litteras ac synceriorem et simpliciorem illam theologiam pro viribus instauro».[16] Lutero, Hutten, nemici e amici passeranno, ma Cristo e il suo spirito rimangono. Erasmo dichiara d’aver evitato in ogni modo di venir trascinato in questa «arena gladiatoria»,[17] facendosi Vertumno, Proteo e polipo, e tuttavia così mostrando non incostanza ma fortezza. Ecco dunque l’accomodatio, la divina condiscendenza, l’adattabilità del divino interprete Paolo, che si fanno strategia di risposta alla crisi, modalità adattativa e non oppositiva, almeno nell’intentio.

 

3. Contraccolpo: la necessità di rispondere alla crisi

La Spongia stessa era in realtà documento della, seppur riluttante e tardiva, discesa in campo di Erasmo contro Hutten, morto poi proprio al momento della stampa dell’attacco (agosto 1523). Ma s’apriva subito un ancor più decisiva arena per Erasmo, che già nel settembre 1523 comunica a Enrico VIII di star scrivendo qualcosa contro i luterani. Nel novembre 1523, Giulio de Medici diviene papa e nell’aprile 1524 abbiamo traccia di un suo intervento diretto presso Erasmo perché pubblichi presto contro Lutero. Fra l’agosto e il settembre 1524, la Concio de immensa misericordia Dei declina in positivo una teologia chiaramente alternativa a quella luterana, impostata sull’immensa misericordia divina che guarda con benevolenza alla libera offerta spirituale del peccatore contrito; il De libero arbitrio imposta invece in senso controversistico la critica a Lutero sul decisivo tema dell’arbitrio.[18] Al De servo arbitrio luterano Erasmo risponde poi ancor più aspramente con l’Hyperaspistes in due parti (fra 1526 e 1527). Il tema dell’«elasticità» di Erasmo è significativamente attaccato da Lutero, che parla di una sua natura «anguillesca»,[19] duplice. All’inclinazione erasmiana, esplicitamente affermata, contro ogni affermazione dogmatica assertoria, Lutero al contrario ribadisce di voler definire le verità chiare, nude e semplici, del dettato paolino, inteso secondo la sua teologia della croce; in altri termini, di voler «dogmatizzare». Ora, non ci si faccia trarre in inganno da una possibile lettura nicodemitica o minimalista dell’atteggiamento erasmiano: esso non è mancanza di scopus, ma metodo, fondato sulla capacità suprema di agency dell’intelletto, sede naturale del dono divino di grazia, capace di trascendere dalla lettera allo spirito.

L’esperire teorico-pratico dell’accomodatio è dunque un atteggiamento «resiliente», che va incontro alla sfida non opponendosi frontalmente o resistendo stoicamente; anche nello scontro diretto, come nel caso del confronto sempre più serrato con Lutero, la tendenza fortemente antidogmatica e dissolutoria erasmiana non è indifferentismo, ma opzione ambiziosa, «polipescamente» in grado di afferrare e far propri temi e sintagmi propri del nemico, per assorbirli nella propria visione d’insieme.[20] Naturalmente, ciò lo esponeva al rischio di profondi fraintendimenti, come nel caso celebre del fervido erasmiano Martin Bucer, che, appena ascoltato Lutero, dichiarò la perfetta consonanza di quest’ultimo con ciò che predicava Erasmo;[21] e l’equivoco prosperò, fin a divenire censura inquisitoriale. Erasmo poteva vantare all’altezza storica del Libero arbitrio di rifugiarsi nello scetticismo, quando ciò fosse consentito dall’autorità della Scrittura e dai decreti della Chiesa, operando ancora in un campo largo quale il cattolicesimo pre-tridentino, ove gli era possibile sperare in un umanesimo biblico che liberamente guidasse un rinnovamento interno della cristianità. Notissimi gli ostacoli che Erasmo incontrò in vita, dal mondo universitario e monastico in particolare, ma furono anche potenti e profondi i sostegni politici e ecclesiastici al più alto livello di cui potè godere, che gli permisero comunque di mantenere libertà e amplissima rilevanza.

 

4. Salti: dalla lettera allo spirito

Quindi, l’atteggiamento di Erasmo per sua stessa definizione tende ad evitare lo scontro, a nascondersi e moltiplicarsi in mille forme per evitare una frontale opposizione,[22] e, quando essa è poi inevitabile, Erasmo pratica una dissolutoria forma diatribica che è letta ad esempio da Lutero come scetticismo di matrice ateistica.  Al fondo di questi atteggiamenti si trova, come si accennava, una pratica ermeneutica che legge il paolino dualismo lettera/spirito come necessità di trascendimento spirituale, dentro una tradizione patristica origeniana che fa da ossatura esegetica delle più importanti teorizzazioni erasmiane.[23] Vorrei leggere questa pratica alla luce di uno dei significati del termine resilire, collegato al «salto»: trascendimento, dunque, come salto verso il profondo, dischiusura di significato. Lo farò tramite un’opera esegetica di Erasmo, non particolarmente celebre ma significativa, datata al 1532: il commento al Salmo 38.[24] Si tratta di un’opera scritta a Friburgo, da un Erasmo ormai maturo, a pochi anni dalla morte, dedicata al vescovo Stanislaus Thurzo di Olmütz, oggi in Moravia, cui aveva già dedicato la sua edizione della Storia naturale di Plinio. Il commento è occupato in larga parte dall’esegesi del titolo, «in finem pro Idythum ipsi Dauid».[25] Questo incipit è detto da Erasmo «nitidissima stellula»,[26] stella risplendente, che illumina di significato, apre gli occhi e le orecchie della mente ad afferrarne il mistico significato. Finis, ci avverte Erasmo, è naturalmente consummatio, compimento, in senso paolino: lo spirituale che compie il letterale. Per quel che riguarda l’espressione «pro Idythum», la più misteriosa, fa riferimento, continua Erasmo,

vox Hebraeis sonat transiliens eos, agnoscis animam piam, tedio rerum humanarum fessam, in quibus longe plus aloes est quam mellis, ae veluti delassatam calumniis, conuiciis, et insectationibus improborum, suspirantem ac gestientem euolare e lutei domicilii latebris, in illam perfectam beatarum mentium requiem, a quarum oculis Deus abstersit omnem lacrymam, nec iam metuendus est illis vllus luctus, clamor aut dolor.[27]

L’esegesi del nome Iditun viene fatta risalire, secondo una diffusa tradizione patristica,[28] al salto, all’attraversare con un balzo: Iditun è «colui che li attraversa», che trascende. Evidente nelle righe appena citate l’auto-identificazione con questo ritratto di vecchio desolato, colpito da una vita che ha il sapore amaro dell’aloe più che del miele, che aspira al salto finale del riposo eterno.[29] Il commento al Salmo si trasforma così in una riflessione su Cristo suonatore della cetra e saltatore, prefigurato in Davide che compone la canzone, e Iditun, che la suona: la melodia che si intona è dettata dallo Spirito. Iditun non solo suona, ma profetizza: Erasmo specifica che il dono della profezia non è solo la rivelazione di verità future, ma lo svelamento dei significati nascosti delle Scritture: l’esegesi, che rivela ciò che è vecchio e ciò che è nuovo.[30] Cristo dunque è Iditun «salientium primus ac summus est»,[31] primo e sommo fra coloro che saltano, che suona con il suo corpo, strumento purissimo che celebra la gloria del Padre, e che intona la melodia più benefica dispiegato sulla croce.[32] Cristo-Iditun è lo sposo visto dalla Sposa del Cantico, che avanza «transiliens colles»:[33] trascinato dall’amore, Cristo-Sposo-Iditun oltrepassa i monti (la Legge) e i colli (cerimonie e precetti della Legge)[34] e salta fra i mondi, procedendo dal Padre ma senza allontanarsene, per regnare alla sua destra senza abbandonare la sposa. Erasmo spiega che queste tappe («gradus») della divina economia sono dette talvolta nella Bibbia cursus, talvolta saltus, perché non vi è in esse alcuna necessitas, ma solo charitas, che corre sempre affrettandosi e sempre desiderosa.[35] Così come apostoli e martiri furono suonatori di lira e saltatori, così tutti i cristiani devono emulare Iditun, soprattutto i pastori e maestri del popolo di Dio. Nessuno può essere buon suonatore di lira se non ha, come Iditun, balzato attraverso tutti i desideri umani, invidia e rivalità, desiderio di fama, rabbia, odio, errore ereticale, che turbano l’armonia del tutto.[36] Essere nuovi Iditun significa trascendere ogni bassa preoccupazione e cantare un canto più elevato: un canto profetico, che esponga con purezza e fedeltà il senso mistico della Scrittura, e un canto d’unità, che serva all’edificazione della Chiesa. Il tema dell’accomodatio si inserisce qui senza fatica nel discorso, che loda Paolo come eccellente citaredo, che suona una musica adatta a ciascuno, senza sacrificare la sincerità del suo insegnamento, facendosi tutto a tutti.[37] Paolo è «arte saliendi praecellens»,[38] perché non teme di guardare il mondo dall’alto, con distacco, nella certezza che solo l’appartenenza a Cristo è guadagno. Così,

Vt igitur efficiamur Idythum, expediti ad saltum, exoneremus nos ipsos omnibus sarcinis, quae deprimunt sensum multa cogitantem, abrumpamus omnes remoras et retinacula carnis.[39]

Ma come è possibile librarsi con un salto? Bisogna fissare prima con gli occhi la direzione, che i piedi prenderanno: così, credere precede l’amore, in senso non temporale ma per la sua natura. L’essere umano che ha attraversato d’un balzo ciò che è naturale (come l’amore per la moglie, o i figli, o i genitori) ed è trasceso allo spirituale, ha oltrepassato la natura che gli è propria e si è avvicinato all’altezza degli angeli.[40] Non è necessario seguire ancora il testo, che in questa lunga digressione sul titolo del canto è in totale sintonia con l’esegesi origeniana del Cantico (2,8), influentissima poi nella tradizione latina, tutta incentrata, come notato da Manlio Simonetti, sul concetto di balzar su, saltare, e che è in sé una piccola summa della teologia del progresso origeniano; val la pena citarne un passaggio, nella traduzione di Simonetti:

Ecco, egli viene balzando sui monti e passando sui colli (2,8)

Sopra abbiamo spiegato il significato letterale. Perciò ora bisogna esaminare in che modo Cristo, venendo alla chiesa, salga sui monti e salti sui colli (saltando più che passando è il significato proprio del termine proposto). Isacco camminando e progredendo diventava piu grande, finché diventò molto grande. Paolo invece non già camminando ha progredito ma correndo, quando dice: Ho compiuto la corsa. Ma del nostro Salvatore e sposo della chiesa non si dice né che cammina né che corre, ma che sale e salta sopra i monti e i colli. Se infatti tu consideri in quanto poco tempo la parola di Dio ha percorso il mondo invaso da false superstizioni e lo abbia richiamato alla conoscenza della vera fede, puoi capire in che modo egli balzi sui monti, cioè superi con i suoi salti tutti i grandi regni e li pieghi ad accogliere la conoscenza della vera religione, e salti sui colli, allorché rapidamente soggioga anche i regni minori e li porta all’osservanza del vero culto.[41] Il balzo è attribuito qui all’impeto della parola di Dio, che ha compiuto un progresso impensabile e subitaneo, prodigioso per tempi e modi. Ma Origene descrive poi il balzo nei termini della sottrazione del velo, la rivelazione del senso dei libri della Legge e dei Profeti da cui prorompe la manifestazione di Cristo:

Ma il passo si può intendere anche in altro modo, in quanto Mosè ha scritto di lui e i profeti lo hanno annunciato. Ma a questo annuncio nel testo del Vecchio Testamento sta sovrapposto un velo. Quando per la sposa il velo è tolto, cioè per la chiesa volta a Dio, subito essa vede lo sposo che sale in questi monti, cioè nei libri della legge; e nei colli dei libri profetici per la chiarezza ed evidenza della rivelazione essa lo vede non tanto che appare quanto che salta, per così dire: quasi che, voltando le singole pagine del testo profetico essa veda Cristo saltar fuori di lì. Tolto ora finalmente il velo che ricopriva ogni passo del testo, essa ormai lo vede ribollire ed emergere e prorompere con evidente manifestazione.[42]

 

Infine, Origene indica l’intimità eterna del corpo mistico con il Logos, tutto richiamato a tornare dopo la caduta in quest’unità, progredendo in grazia e virtù come il Capo; ogni anima poi può zampillare di flutti d’acqua viva, e ospitare i salti vivificanti del Logos:

Il senso pregnante di questo passo ci suggerisce un’altra interpretazione. Infatti ognuno che crede in Dio con piena fede può essere chiamato monte o colle, per l’eccellenza della vita e la profondità dell’intelligenza. Anche se un tempo è stato valle, poiché in lui Cristo progredisce per età sapienza e grazia, ogni valle sarà colmata: invece tutti i superbi e coloro che si esaltano come monti e come colli saranno umiliati a terra, perché chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. […] Ma perché trovi posto anche il terzo tipo d’interpretazione, riferiamo il passo ad ogni singola anima. Se ci sono alcuni più capaci di accogliere il Verbo di Dio, che hanno bevuto l’acqua data loro da Gesù e questa è diventata in loro fonte di acqua viva, zampillante in vita eterna, costoro, nei quali il Verbo di Dio ribolle con frequenti pensieri e quasi con copiosi perenni flutti, diventano a ragione monti e colli di vita scienza e dottrina: su di loro balza e salta nella maniera più degna il Verbo di Dio, ch’è diventato in loro, per l’abbondanza di dottrina, fonte di acqua viva, zampillante in vita eterna.[43]

 

Il salto, il trascendimento dalla lettera allo spirito, dal carnale allo spirituale, in intimità d’amore, è evidentemente la regola del testo. E se la sensibilità e i tempi non permettono ad Erasmo di condividere l’impianto sistematico di protologia ed escatologia che consentono a Origene di collocare in un grandioso scenario ultra-cosmico il dramma mistico dell’anima, che passa dall’intimità preesistente con il Logos alla universale redenzione finale, la semplificazione dell’impianto origeniano porta paradossalmente a un suo progresso,[44] che banalizza ma amplifica il suo risultato. Il cristianesimo erasmiano è trascendimento, che purifica dalle storture e dalle corruzioni e razionalizza, in modalità progressive e adattative, senza mai forzare ed ereticamente rompere l’unità. Non è dunque un caso che proprio nel Commento al salmo 38 Erasmo faccia notare la diversità delle tradizioni della chiesa, che ha ricevuto i più grandi insegnamenti da uomini che sono poi ricaduti nelle più grandi eresie: Origene, Tertulliano, Cipriano, e altri ancora, che sono caduti in punti importanti, come Agostino e molti altri. Erasmo compila una lunga lista, concludendo che è impossibile, se si confronta con i criteri a lui contemporanei, trovare un autore ecclesiastico che non possa essere censurato.[45] Se quest’osservazione storica è per Erasmo il modo per lamentare gli attacchi invidiosi che diffamano le persone, con chiaro riferimento personale, la relativizzazione storica di quella stessa tradizione patristica che egli aveva passato la vita a restaurare e proporre come modello per la cristianità è nello stesso segno di un trascendimento secolarizzante che farà storia nella esegesi storico-critica per secoli a venire. Un’eredità che, nello stesso tempo in cui la si usa, si dissolve. Francis Bacon paragona l’eco ad un globo d’aria, che ritorna indietro in una piega, rimbalzando, come una palla sul muro. Questa immagine della resilienza è la più adatta a descrivere il gioco di echi che Erasmo insegue e che lo seguono: una ripresa filologica della teologia patristica, volta a restituire il vero volto della Scrittura, depurata dalle incrostazioni sofistiche, ha come effetto il trascendimento di tali autorità, del tutto storicizzate e pluralizzate, così come i testi sacri stessi. Così, eredi di Erasmo risultano essere da un lato i prelati romani alla Iacopo Sadoleto, segretario di papi, che lo imita e ammira, ma dall’altro i sociniani, gli antitrinitari, i radicali, che continuano la sua traiettoria filologica e razionalista.[46] Una parola, quella erasmiana, che si conferma sfuggente, anguillesca, resiliente in una lunga, contrastata tradizione.

 

5. Echi e rimbalzi

Tornando al tema del balzo, per mostrare come esso non sia episodico, è forse opportuno lasciare per un momento il tardo commento al salmo per andare al capolavoro erasmiano, e citare le ultime parole della Moria. Dopo un discorso che è da alcuni considerato la punta emersa del misticismo erasmiano, che presenta un platonico-origeniano rapimento d’amore dei folli cristiani, la Follia si congeda così: «Ma ormai, davvero dimentica di me stessa, salto al di là del fossato«[47]» )  Verum ego iamdudum oblita mei ὑπὲρ τὰ ἐσκαμμένα πηδῷ (.[48] Il proverbio greco che indica il salto oltre i limiti è naturalmente incluso nella raccolta degli Adagia erasmiani (adagio 993, «ultra septam transilire»),[49] la cui lettura ci aiuta a comprendere meglio il significato di questa chiusa. Saltare oltre i limiti, dice Erasmo, è termine «adatto sia per quelli che progettano qualcosa di nuovo e incredibile e di gran lunga al di sopra delle facoltà degli uomini comuni, sia per quelli che si allontanano dall’obiettivo prefissato, sia per quelli che oltrepassano i termini loro prescritti e la misura del potere loro demandato».[50] Fra gli esempi, è utile ricordare quello di «Crisostomo, nellomelia terza sulla seconda lettera ai Corinzi [In epist. 2Cor. hom. 3,1]: «Superò i limiti»; parla di Paolo, il quale insegnando il Vangelo con gratuità, diede più di quanto si esigeva dagli Apostoli[51] Saltare oltre il fossato può essere hybris, può essere quasi divino superamento del limite umano nella charis, può essere fallimento. Le parole della Moria sono tutto questo, e anche altro: come non richiamare allora un termine principe per comprendere la parola erasmiana, ironia. Ironia è veramente la capacità del salto e della secolarizzazione; come ha scritto Julia Kristeva,

nel momento in cui si cristallizza in Erasmo, l’umanesimo è un’esperienza del linguaggio che addomestica la follia e sogna la pace. L’umanesimo del Rinascimento si separa dalla teologia quando il teologo Erasmo, appassionato della retorica antica, si esprime per bocca della Follia: «Senza di me (dice Erasmo/la Follia) il mondo non può vivere un solo istante». Che fare? Nessun peccato, nessuna assoluzione. Erasmo ci offre, molto puntualmente, una declamazione. Egli colloca la Follia in un teatro ambulante: che il suo elogio sia in realtà una satira? Del resto non è lui che parla, è un altro, un’altra, una donna che sragiona, fino a impadronirsi dolcemente degli stessi apostoli, dei mistici e degli amanti. Teatrale, polifonico, «stadio estetico ironico» (Kierkegaard), qui l’umanesimo non ci trascende, ci cerca piuttosto in quanto è più inconfessabile.[52]

Qui Kristeva coglie l’emersione di un dispositivo, quello di un umanesimo secolarizzante, non dimentico dell’inconfessabile, che s’instaura paradossalmente in Erasmo (teologo e «trascendente», eppure umanista e ironico), che s’inserisce in un processo che «ha rinunciato a fissare un Oggetto assoluto di desiderio uguale per tutti, senza peraltro rinunciare a questi due universali che sono il bisogno di credere e il desiderio di sapere».[53] In Erasmo l’Oggetto assoluto è certamente invece ancora riconosciuto e indicato; in effetti, il paradosso che Kristeva qui coglie, fra un teologo che, nelle sue parole, si separa dalla teologia, si può forse meglio spiegare cogliendo la motivazione mistica, coerentemente origeniana, del salto intimo che all’esterno proietta l’effetto di una sublime ironia e all’interno scava un vuoto, come indica il riferimento kierkegaardiano. «Nellironia il soggetto batte in perenne ritirata, disputa la realtà onde salvar sé stesso […] L’ironista è veramente profetico, siccome di continuo accenna a un che da venire, ma non sa cosa».[54] L’ironia è salto: «Socrate si rivela come chi stia per saltare verso qualcosa, epperò ad ogni istante, invece di saltare in questo altro, scarta a lato e salta indietro, in sé stesso».[55] L’ironia, come Erasmo, è infine atopica, amica di tutti, conterranea di nessuno.

6. A parziale conclusione

Il percorso fatto, davvero a salti e per intervalla, all’interno della produzione erasmiana, ha mostrato auspicabilmente la possibilità, non del tutto peregrina, di interrogare Erasmo alla luce del termine resilienza, interpretato sia più volentieri dalla base dell’etimologia latina che nel suo valore contemporaneo, a cui questa etimologia può forse dischiudere nuova pregnanza. Resilienza in Erasmo dunque come strategia adattativa, risposta alla crisi, percorso non lineare ma in grado, in profondità e slancio, di superare l’ostacolo. E d’altronde, tornando ancora al grande esegeta alessandrino, è il defectus litterae, il testo difficoltoso e impervio, a rivelarsi traccia di un disegno che chiede, stimola, interroga l’intelligenza, chiedendo un sovrappiù di esegesi, di disvelamento, di profondità: una parola resiliente.

 

 


[1] Si osserva nella riflessione socio-economica e nella stampa una certa opposizione alla ‘retorica della resilienza’, legata anche talvolta a una prospettiva anti-neoliberista: questa opposizione si fonda sul rischio che un’eccessiva enfasi del discorso pubblico, giornalistico, educativo sulla resilienza come attitudine positiva e sempre riemergente, ad ogni costo, dalle avversità possa essere un mezzo per nascondere, obliare, combattere il trauma e la fatica, o per nascondere precisi indirizzi politici: cfr.  per esempio A. Amore, Dimensioni e percezioni di resilienza: concetti e dinamiche in contesti ad alta vulnerabilità, in M. Valeri, A, Scuttari, H. Pechlaner (a cura di), Resilienza e sostenibilità: dinamiche globali e risposte locali, Torino, Giappichelli, 2021, pp. 13-29: 18.

[2] L. Olsson, A. Jerneck, H. Thorén, J. Persson, D. O’Byrne, A Social Science Perspective on Resilience, in, The Routledge Handbook of International Resilience, a cura di D. Chandler, J. Coaffee, Londra-New York, Routledge, 2017, pp. 49-62: 57.

[3] F. Bacon, Sylva sylvarum: or A Natural History, in The Works of Francis Bacon, II, a cura di J. Spedding, R.L. Ellis, D.D. Heath, Cambridge, Cambridge University Press, 2011, p. 426, §245.

[4] T. Young, A Course of Lectures on Natural Philosophy and the Mechanical Arts, I, Londra, Taylor and Walton, 1845, p. 110.

[5] Cfr. Oxford English Dictionary, online edition.

[6] R. Descartes, Epistolae. Partim ab Auctore Latino sermone conscriptae, partim ex Gallico translatae, II, Londra, Dunmore, 1668, p. 370, lettera 110 a Marin Mersenne. Cfr. S. Cresti, L’elasticità di resilienza, risposta ai lettori per conto dell’Accademia della Crusca, in accademiadellacrusca.it.

[7] Oxford Latin Dictionary, a cura di P.G.W. Glare, Oxford, Clarendon Press, 1968, p. 1629, mia traduzione.

[8] Cfr. il classico A. Godin, Érasme lecteur d’Origène, Ginevra, Droz, 1982.

[9] Il riferimento patristico è alla συγκατάβασις/accomodatio, termine chiave per comprendere la pedagogia divina verso l’uomo in Ireneo, Origene, Atanasio, Teodoreto di Cirro, Giovanni Crisostomo ecc.: cfr. K. Duchatelez, La “condescendance” divine et l’histoire du salut, «Nouvelle revue théologique», XCV, 1973, pp. 593-621; S.D. Benin, The Footprints of God: Divine Accommodation in Jewish and Christian Thought, Albany, State University of New York, 1993. Sull’accomodatio in Erasmo, si veda almeno M. Turchetti, Une question mal posée: Érasme et la tolérance. L’idée de sygkatabasis, «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», LIII, 2, 1991, 2, pp. 379-395; P. Walter, Theologie aus dem Geist der Rhetorik. Zur Schriftauslegung des Erasmus von Rotterdam, Mainz, Matthias Grünewald, 1991, pp. 42-53; M. Hoffmann, Rhetoric and Theology; The Hermeneutic of Erasmus, Toronto, University of Toronto Press, 1994, pp. 106-112.

[10] D. Erasmus, Enchiridion militis christiani, in Id., Opera Omnia, a cura di J. Domański, R. Marcel, Leida, Brill, 2016, («ASD», V-8) pp. 56-375: 120; Id., Ratio verae theologiae seu Methodus, in Ausgewählte Werke, a cura di H. Holborn, A. Holborn, München, C. H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, 19642, («ASD», V-8) p. 274.

[11] D. Erasmus, Über den freien Willen/ De libero arbitrio [1524], in Id., Ausgwählte Schriften. Lateinisch und deutsch, 4, Darmstadt 1969, pp. 1-195: 70.

[12] D. Erasmus, Ratio verae theologiae, cit., p. 214; cfr. Id., The New Testament Scholarship of Erasmus. An introduction with Erasmus’ Prefaces and Ancillary Writings, a cura di R. Sider, University of Toronto Press, 2019 («CWE», 44), p. 557, nota 351.

[13] D. Erasmus, Ratio verae theologiae, cit., p. 223.

[14] D. Erasmus, De duplici copia verborvm ac rerum commentarii duo, a cura di B.I. Knott, Amsterdam, Elsevier, 1988, («ASD», I-6) p. 265. Si veda anche l’adagium 1174, «Proteo mutabilior», in D. Erasmus, Adagiorum chilias secunda, a cura di M. Szymański, Amsterdam, Elsevier, 2005, («ASD», II-3) p. 188.

[15] D. Erasmus, Spongia adversus aspergines Hutteni, a cura di C. Augustijn, Amsterdam, Elsevier, 1982, («ASD», IX-1) p. 170.

[16] Ibidem.

[17] Ivi, p. 164.

[18] S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino, Bollati Boringhieri, 1987, p. 155.

[19] Il termine appare sia nel De servo arbitrio che in una Tischrede: cfr. M. Lutero, De servo arbitrio, in Werke. Kritische Gesamtausgabe, a cura di J.K.F. Knaake et alii, Weimar, H. Böhlaus, 1908 («WA 18») pp. 517-787: 716; Id., Werke. Tischreden, 1531-1546, a cura di J.K.F. Knaake et alii, Weimar, H. Böhlaus, 1912 («WT 1») p. 55.

[20] Si pensi alla strategia della Concio de immensa Dei misericordia, che tratta il tema dell’immensa misericordia divina da una prospettiva apparentemente dialogante con quella solofideistica luterana, ma intrinsecamente alternativa: cfr. G. Lettieri, Machiavelli interprete antiluterano di Erasmo. L’Esortazione alla penitenza (1525) epitome del De immensa Dei Misericordia (1524), «Giornale critico di storia delle idee. Mimesis», II, 2017, pp. 27-103: 37: «ritengo che il DeImmMiser non sia affatto un’opera aperta alla recezione di fermenti luterani, ma al contrario un’opera astutamente dialogica, nella quale egli vuole accogliere equivocamente alcune rivendicazioni dell’ex monaco agostiniano, ma solo perché esse sono quelle che, più “propriamente” e con maggiore misura teologica, Erasmo stesso aveva proclamate: la centralità della fede interiore, rispetto all’esteriorità delle opere; la critica alla corruzione di un cristianesimo esteriore, superstizioso e venale; l’esigenza di radicale riforma spirituale. Erasmo, pertanto, pare accogliere temi chiave di Lutero, ma finendo per stemperarne comunque la radicalità, quindi normalizzandoli e riconciliandoli con la stessa tradizione cattolica ecclesiastica e confraternale».

[21] C. Augustijn, Erasmo da Rotterdam, Brescia, Morcelliana, 1989 (ed. or. 1986), p. 180.

[22] Non si dimentichi che non sempre la situazione andò in questi termini: Erasmo, ad esempio, rispose prontamente e con amor di polemica ad avversari meno illustri e politicamente protetti come Hutten o Lutero; si veda ad esempio il caso della disputa con Henry Lee (cfr. R. Coogan, Erasmus, Lee and the Correction of the Vulgate: The Shaking of the Foundations, Ginevra, Droz, 1992 e C. Asso, La teologia e la grammatica. La controversia tra Erasmo ed Edward Lee, Firenze, Olschki, 1993).

[23] Per una storia di questo dispositivo ermeneutico, e della sua grande alternativa agostiniana, cfr. G. Lettieri, Il differire della metafora. Il transfert del desiderio da Gregorio di Nissa e Agostino a Ricoeur e Derrida, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2018.

[24] Cfr. D. Erasmus, Enarratio Psalmi XXXVIII, a cura di R. Stupperich, in Enarrationes in Psalmos. Pars altera, Amsterdam, Elsevier, 1986, («ASD», V-3) pp. 161-244; Id., An Exposition of Psalm 38, a cura di C. White, in Collected Works of Erasmus: Expositions of the Psalms, a cura di J.K. McConica, D. Baker-Smith, Toronto, University of Toronto Press, 201, pp. 1-123.

[25] D. Erasmus, Enarratio Psalmi XXXVIII, cit., p. 171.

[26] Ibidem.

[27] Ibidem.

[28] Hieronymus Stridonensis, Liber interpretationis hebraicorum nominum, a cura di P. de Lagarde in Id., Hebraicae quaestiones in libro Geneseos. Liber interpretationis hebraicorum nominum. Commentarioli in psalmos. Commentarius in Ecclesiasten, a cura di P. de Lagarde, G. Morin, M. Adriaen, Turnhout, Brepols, 1959 («CCSL» 72) p. 48: «Idithun transsiliens eos siue saliens eos». Si veda anche Agostino: Augustinus Hipponensis, Enarrationes in Psalmos I-L, a cura di E. Dekkers, J. Fraipon, Turnhout, Brepols, 1956 («CCSL» 238); e Ambrogio: Ambrosius Mediolanensis, Explanatio psalmorum XII, a cura di M. Petschenig, New York, Johnson Reprint Corp., 1962 («CSEL»64) (ed. or. 1919 Vienna, F. Tempsky; Lipsia, G. Freytag), pp. 283-314.

[29] Si veda la stessa dedica al vescovo Thurzo, in D. Erasmus, Enarratio Psalmi XXXVIII, cit., pp. 169-170, dove Erasmo si presenta come anziano e sballottato dalle onde in tempesta.

[30] D. Erasmus, Enarratio Psalmi XXXVIII, cit., p. 172.

[31] Ibidem.

[32] Ivi, p. 173.

[33] Ivi, p. 174; cfr. Ct 2,8, e Origenes, Commentaire sur le Cantique des Cantiques, tome I, a cura di L. Brésard, H. Crouzel, M. Borret, Parigi, Cerf, 1991 («SC» 375), tutto questo passaggio erasmiano riecheggia l’esegesi origeniana del Cantico.

[34] Origene parla di monti come libri della legge e colli=libri profetici.

[35] D. Erasmus, Enarratio Psalmi XXXVIII, cit., p. 176.

[36] Ivi, p. 177: «Sed bonus citharoedus esse non potest, qui non sit Idythum, omnesque cupiditates humanas spiritu transilierit. Etenim si inter canendum obstrepat emolumenti studium, aut gloriae sitis, aut ira odiumue, aut metus hominum, aut haereticus error, vna chorda dissonans viciat totam harmoniam».

[37] Ivi, p. 180.

[38] Ibidem.

[39] Ibidem.

[40] Ivi, pp. 181-182.

[41] Origene, Commento al Cantico dei Cantici, a cura di M. Simonetti, Roma, Città Nuova, 1976, pp. 224-225. Cfr. G. Lettieri, Progresso, in Origene. Dizionario. La cultura, il pensiero, le opere, Roma, Città Nuova, 2000, pp. 379-392.

[42] Origene, Commento al Cantico dei Cantici, cit., p. 226.

[43] Ivi, p. 228.

[44] Cfr. Origen and the Origenian Tradition on Progress, a cura di G. Lettieri, A.C. Jacobsen, M. Fallica, Berlino, Peter Lang, 2022 per una prospettiva di lunga durata sull’eredità origeniana correlata al tema del progresso.

[45] D. Erasmus, Enarratio Psalmi XXXVIII, cit., p. 197.

[46] Cfr. G. Bietenholz, Encounters with a Radical Erasmus: Erasmus’ Work as a Source of Radical Thought in Early Modern Europe, Toronto, University of Toronto Press, 2009, pp. 33-68; S. Brogi, Il ritorno di Erasmo: critica, filosofia e religione nella “République des lettres”, Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 132-137; M. Biagioni, L. Felici, La Riforma radicale nell’Europa del Cinquecento, Roma-Bari, Laterza, 2012.

[47] Erasmo da Rotterdam, Elogio dell’insensatezza, in Id., Scritti teologici e politici, a cura di E. Cerasi, S. Salvadori, Milano, Bompiani, 2011, p. 205.

[48] D. Erasmus, Encomium Moriae, a cura di C.H. Miller, Amsterdam, Elsevier, 20012, («ASD», IV-3), p. 194.

[49] D. Erasmus, Adagiorum Chilias Prima, a cura di M.L. van Poll-van de Lisdonk, M. Cytowska, Amsterdam, Elsevier, 1998, («ASD», II-2) p. 993.

[50] Erasmo da Rotterdam, Adagi, a cura di E. Lelli, Milano, Bompiani, 2013, p. 905.

[51] Ivi, p. 907.

[52] J. Kristeva, Osare l’umanesimo, in Il cortile dei gentili: credenti e non credenti di fronte al mondo d’oggi, a cura di L. Mazas, Roma, Donzelli, 2011, pp. 19-20.

[53] Ivi, p. 19. Kristeva è molto più critica di quell’umanesimo del trascendimento, dell’elevazione, che vede rischioso e violento di fronte all’esperienza concreta; in Erasmo in realtà domina questo trascendimento platonico, come abbiamo visto, che però compie un approfondimento, una virata interna.

[54] S. Kierkegaard, Sul concetto di Ironia in riferimento costante a Socrate, a cura di D. Borso, Milano, Guerini, 1989, pp. 200-202. Su questo testo si veda L. Battista, L’ironia come prassi decostruttiva in Søren Kierkegaard, «Lo Sguardo - rivista di filosofia» XVII, 2015, pp.413-430.

[55] Ivi, p. 133.


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ERASMO , TEOLOGIA , RETORICA , RESILIENZA


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Teologia

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