L’ ecomuseo della Valle del fiume Simeto e la sua comunità resiliente

di Federica Maria Chiara Santagati

 

 

1. Il fiume, il territorio e il LabPEAT

Fiume a regime torrentizio, il Simeto nasce sui monti Nebrodi vicino il paese di Maniace, alla confluenza dei torrenti Cutò, Saracena e Martello e traccia una sorta di semicerchio attorno al monte Etna, sul lato ovest-sud-ovest. Con i suoi 113 km di lunghezza e un bacino idrografico di circa 4.200 km², il Simeto ed è uno dei principali fiumi siciliani; attraversa vari territori della città metropolitana di Catania per sfociare, dopo un lungo percorso fra aree interne, nel mare Ionio a sud di Catania (area dell’oasi del Simeto).

Nella valle del fiume coesistono varie specie animali e vegetali che caratterizzano ecosistemi particolari, vi insistono anche comuni ricchi di storia ma oggetto di spopolamento e di degrado sociale, così come di attività illegali da parte della criminalità locale.
Malgrado la vicinanza al capoluogo etneo, i comuni che ricadono nel territorio attraversato dal fiume (Belpasso, Camporotondo Etneo, Misterbianco, Motta Sant’Anastasia, Paternò, Ragalna, Santa Maria di Licodia, Adrano, Biancavilla, Bronte, Maletto, Maniace) rimangono del tutto periferici rispetto all’indotto e ai servizi offerti dal capoluogo. Si tratta nella maggior parte di casi di comuni costituiti da un numero di abitanti che varia da qualche migliaio ad alcune decine di migliaia[1] e in cui i residenti sono dediti prevalentemente all’agricoltura e al terziario. In tali centri si rileva un’elevata percentuale di studenti che abbandona la scuola media superiore senza conseguire alcun diploma,[2] con la conseguente emigrazione oppure l’incremento di attività illegali criminali.

A partire dal 2007 quest’area è stata interessata da un movimento di mobilitazione sociale costituito da associazioni e cittadini dello stesso territorio contro il Piano Regionale dei Rifiuti (2002), che prevedeva la costruzione di un inceneritore proprio in un sito riconosciuto di interesse comunitario (S.I.C.) tra Paternò e Centuripe, a ridosso del fiume Simeto. Tale coalizione contraria all’inceneritore ha trovato il supporto del Laboratorio per la Progettazione Ecologica e Ambientale del Territorio (LabPEAT) dell’Università di Catania.[3]

 Questa relazione di natura tecnico-scientifica si è rivelata fondamentale nel delineare il lungo processo che ha rafforzato l’atteggiamento di resilienza della comunità simetina volto a difendere il proprio territorio e ha reso i cittadini della valle coprotagonisti delle scelte di pianificazione territoriale da attuare in quei luoghi. Tale rapporto con il LabPEAT ha registrato inoltre un altro aspetto positivo: ha gettato le basi – anche se all’inizio in modo inconsapevole[4] – per un ecomuseo della valle del Simeto. Tale pratica di cogestione sostenibile copartecipata segue infatti, oltre che i principi della ricerca-azione nel campo della pianificazione territoriale, anche quelli contenuti nella definizione di ecomuseo elaborata in occasione del convegno nazionale Giornate dell’Ecomuseo – Verso una nuova offerta culturale per lo sviluppo sostenibile del territorio (2007): «l’ecomuseo è una pratica partecipata di valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale, elaborata e sviluppata da un soggetto organizzato espressione di una comunità locale, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile».[5] La cittadinanza attiva, come vedremo nel caso simetino, diventa un presidio di sostenibilità.

Tale processo sostenibile di co-partecipazione alla pianificazione territoriale, tenacemente sostenuto anche dalla comunità locale, dura da oltre un decennio e sarà illustrato sia per comprendere le pratiche inclusive di cogestione partecipata sostenute da tutti i co-ricercatori (comunità locale e membri dell’Università),[6] sia per dimostrare quanta consapevolezza del proprio ruolo di cittadinanza proattiva abbia assunto la popolazione dell’area nel corso del tempo.

 

2. I primi passi verso una resilienza consapevole (2009-2012): l’input del LabPEAT e le soluzioni conseguite

La mobilitazione contro l’inceneritore raggiunse il suo obiettivo e nel 2009-2010, per impulso del LabPEAT, riuscì a convertirsi in una mappatura di comunità, a cui si approdò dopo avere analizzato alcune esperienze di community organizing[7] svolte negli USA e avere fortemente coinvolto in queste riflessioni critiche di co-progettazione soprattutto due associazioni del territorio (ViviSimeto di Paternò e Comitato Civico Salute Ambiente di Adrano).[8] Il modello seguito da ora in avanti nella valle del Simeto dai co-ricercatori sarà quello della ricerca-azione, metodo che ha consentito di co-produrre e ampliare la conoscenza per accrescere la capacità di riscatto della comunità simetina nel suo insieme.

L’oggetto della ricerca è stato perseguito con il metodo della ricerca-azione congiuntamente dai membri del LabPEAT e da quelli della comunità locale, in base a un accordo che individuava un processo di trasformazione territoriale (azione) per migliorare il contesto di vita locale. Si tratta di pratiche di pianificazione territoriale codificate da tempo e che contemplano studi dal taglio fortemente transdisciplinare.[9] Naturalmente quanto più alta è la partecipazione da parte dei membri della comunità simetina, tanto maggiori sarebbero le possibilità di riuscire nell’impresa e di ottenere significativi impatti trasformativi; i ricercatori apprendono gli uni dagli altri (mutuo-apprendimento) nel corso della ricerca, seguendo un tipo di organizzazione orizzontale (non verticistica) con una metodologia partecipativa di tipo bottom up. I ricercatori del LabPEAT possiedono strumenti conoscitivi, saperi tecnici e saperi d’uso, necessari per dare efficacia alla co-partecipazione e a valorizzare il potenziale che la comunità civile da sola non è in grado di esprimere. La ricerca assume una dimensione processuale di lungo termine, prevede riflessività, flessibilità e intenzionalità con un approccio fortemente maieutico.[10] La mappa di comunità, uno dei primi strumenti utilizzati nel processo simetino ai fini della ricerca-azione, si è rivelata uno strumento fondamentale proprio per le sue caratteristiche maieutiche, come si intuisce anche dai risultati ottenuti grazie anche alla grande partecipazione della comunità simetina. Si tratta di uno strumento di indagine il cui utilizzo è stato ampiamente discusso, soprattutto nei suoi vari aspetti organizzativi, con i membri della comunità che hanno partecipato alla mappatura aiutati da ricercatori universitari esperti che avevano il ruolo di facilitatori (prevalentemente durante i primi incontri).

Al di là della raccolta di dati paesaggistici (rappresentanti la percezione da parte della popolazione dei valori e disvalori del proprio territorio),[11] la mappatura ha rappresentato l’indice dell’elevatissimo interesse della comunità a partecipare ai processi decisionali. La mappa di comunità ha contemplato difatti il lavoro di quasi cinquecento individui che hanno fornito la loro lettura e interpretazione del territorio della valle del Simeto, evidenziandone non solo gli aspetti positivi, le memorie e le prospettive di sviluppo, ma anche le criticità.[12] La mappatura ha evidenziato gli obiettivi cui i partecipanti tendevano e la sentita necessità di discutere tali proposte con le istituzioni pubbliche,[13] con un nuovo spirito di coesione e di consapevolezza crescente all’interno del gruppo dei cittadini. Si è cercato quindi l’interlocuzione con le autorità pubbliche – non sempre facile – per coordinare sinergicamente il lavoro da svolgere nelle aree (soprattutto spazi pubblici, intesi come «beni comuni»)[14] individuate attraverso la mappatura.[15]

Ma le difficoltà riscontrate, a causa sia della mancanza del supporto concreto delle istituzioni pubbliche e sia della crisi finanziaria che attanagliava anche le università (comportando una riduzione dei ricercatori), causarono una maggiore lentezza nella prosecuzione degli incontri di lavoro di pianificazione territoriale e nelle relazioni con gli enti pubblici e con la popolazione d’area. Nell’aprile del 2011 venne finalmente firmato un protocollo d’intesa fra alcuni enti pubblici (Adrano, Belpasso, Centuripe, Troina e il Libero consorzio di comuni di Enna) finalizzato ad avviare il Patto per il fiume Simeto, ma in quella fase non era contemplabile un numero congruo di co-ricercatori per seguire il processo.
Malgrado la crisi socio-economica dell’area in quella fase,[16] le associazioni del territorio erano comunque interessate a portare avanti le pratiche per avviare un protocollo di Patto di Fiume; per questo motivo il LabPEAT decise di dare inizio a una riflessione critica e intraprendere una campagna che rendesse chiaro alla comunità che un Patto di Fiume avrebbe potuto non solo migliorare l’area dal punto di vista ambientale e di qualità della vita, ma anche avere un impatto positivo sullo sviluppo locale in termini di possibilità lavorative.

Si cominciò a lavorare al progetto Life che legava associazioni locali, istituzioni pubbliche e il LabPEAT (Università di Catania) per la valorizzazione del fiume nell’area di Ponte Barca. Sebbene il progetto Life, presentato alla Comunità Europea per un finanziamento,[17] non venne finanziato, esso pose le basi per la creazione di una forte intesa pubblico-privata mirata alla tutela del territorio. Tale legame apparve solidissimo in occasione delle risposte alle intimidazioni di “stile mafioso” di cui fu oggetto uno dei giovani imprenditori agricoli più attivi della comunità di Paternò. A supporto del suo coraggioso atto di denuncia furono infatti organizzate alcune iniziative: una marcia di più di cinquecento persone con in testa il sindaco di Paternò, una campagna di raccolta fondi dal basso (che ha fruttato migliaia di euro) e alcune interrogazioni parlamentari. Un ulteriore riconoscimento e attestato di solidarietà al giovane imprenditore è arrivato col conferimento del premio nazionale Ambiente e Legalità (Legambiente) per la denuncia che aveva sporto.

 

3. L’autocandidatura alla Strategia Nazionale Aree Interne e il Patto di Fiume (2013-2018): la crescita della comunità proattiva

Nel 2013 la comunità di co-ricercatori (accademici e non accademici) della Valle del fiume Simeto[18] ha presentato la candidatura del territorio simetino nell’ambito della Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI) e ha inglobato al proprio interno un maggior numero di amministratori dei comuni della valle.[19] Tale richiesta verrà approvata nel 2018, un vero successo per un territorio del Sud, dove in genere i processi di pianificazione strategica territoriale faticano a decollare.[20]

Nel tentativo di ampliare la platea dei partecipanti simetini alle attività di co-progettazione sostenibile,[21] negli anni 2013-2014 fu riconosciuto come strumento per formalizzare il rapporto fra istituzioni pubbliche e società civile il Patto per il Fiume Simeto, ideato grazie ad alcune sperimentazioni di gestione partecipata di aree fluviali già avviate altrove.[22]

Nel febbraio 2015 era cresciuta numericamente la comunità resiliente che intendeva occuparsi della progettazione del proprio territorio: nasceva formalmente il Presidio Partecipativo del Patto del Fiume Simeto che metteva insieme quasi 50 associazioni della valle del Simeto e una decina di enti locali presenti lungo il medio corso del fiume (comuni di Adrano, Belpasso, Biancavilla, Centuripe, Motta Sant’Anastasia, Paternò, Ragalna, Regalbuto, Santa Maria di Licodia, Catenanuova e Troina).[23] L’accordo con il LabPEAT ha contemplato anche la promozione della pianificazione territoriale col metodo della ricerca-azione, da svolgere anche attraverso il supporto di due università straniere di grande rilievo, la University of Memphis e la University of Massachusetts Boston, che insieme al LabPEAT organizzano ogni anno la scuola estiva di Community Planning and Ecological Design (CoPED). Si tratta di un programma di scuola estiva dal taglio interdisciplinare, che contempla i lavori di studenti, ricercatori ed esperti dei dipartimenti di Antropologia e di Ingegneria delle due università americane e del LabPEAT;[24] tale attività della CoPED in qualche modo sostituisce il laboratorio del Patto che ha avuto difficoltà ad essere avviato. Gli studenti co-ricercatori possono affinare la pratica dell’educazione alla progettazione (“service learning” in planning education) utilizzando anche il metodo della ricerca-azione, facendo proprie le istanze della comunità civile della valle del Simeto e veicolandole perché possano essere utili ai fini della progettazione territoriale desiderata dai co-ricercatori. Il caso della valle del fiume Simeto consente di legare conoscenze tecniche con questioni sociali e/o ambientali molto complesse e quindi può consentire agli studenti, incontrando la comunità civile e tentando di avvicinarsi al loro sistema di relazioni (individui, società, ambiente),[25] di sviluppare una forte consapevolezza etica e critica; il service learning in planning education consente infatti agli studenti di sviluppare un diverso tipo di conoscenza tecnica sensibile agli aspetti sociali, che deriva anche da una riflessione autocritica.[26]

Secondo uno spirito partecipativo legato al metodo di progettazione seguito, il Patto del Fiume Simeto prevedeva la costituzione di un’assemblea pubblica composta da tutti gli attori pubblici e privati presenti nel Patto per deliberare, con spirito proattivo, sulle azioni da intraprendere. Erano previste dal Patto una Commissione (con funzione di organo esecutivo) e un Laboratorio (con funzioni operative). Si riscontrarono però alcune difficoltà sia di ordine amministrativo-burocratico sia di ordine finanziario, che non consentirono di avviare tutte le attività così come previste al momento della costituzione del Patto (come nel caso del Laboratorio previsto per la pianificazione). I co-ricercatori continuarono a lavorare rifacendosi alle logiche di enti del terzo settore, tentando di riprendere comunque le attività previste dalla convenzione del Patto.[27]

 

4. La formula dell’ecomuseo (2019-2022): l’allargamento della comunità resiliente durante e dopo la pandemia

Nel 2019 grazie a nuovi incontri avvenuti con vari esperti di ecomuseo (Hugues de Varine, Giuseppe Reina e membri della Rete Nazionale degli Ecomusei), i co-ricercatori scoprirono un’ulteriore e diversa forma di organizzazione che poteva aiutarli nel mantenimento di un modello di organizzazione per la pianificazione territoriale condivisa secondo un processo bottom up: l’ecomuseo. Gli ecomusei, del resto, entrati a pieno titolo fra gli esempi di buone pratiche di pianificazione partecipata e sostenibile del territorio,[28] favoriscono «[…] modalità di rigenerazione dell’eredità culturale locale evitando che il patrimonio territoriale venga depauperato […]»,[29] in linea con quanto previsto anche dalla Convenzione di Faro (2005).[30] L’ecomuseo, rispetto al Patto, possiede una struttura organizzativa più agile e semplice da attuare e presuppone un processo di democratizzazione delle attività da svolgere, che nel caso del Simeto è già da tempo avviato. Oltre a questa caratteristica in comune fra il caso simetino e le attività svolte in molti ecomusei, ne ricordiamo anche un’altra: l’impiego delle mappe di comunità. Anche gli ecomusei molto spesso si basano, infatti, sull’utilizzo delle mappe di comunità per identificare/leggere il territorio con gli occhi della popolazione che lo abita (la mappa diventa una sorta di autorappresentazione della comunità), potendo così pianificare secondo l’ottica degli abitanti le attività da intraprendere.[31]

Nell’area simetina si è considerata la formula dell’ecomuseo dopo avere a lungo riflettuto criticamente su ciò che era stato fatto negli anni precedenti con altri strumenti di pianificazione. Ma l’intenzione è comunque quella di non abbandonare la Convenzione del Patto di Fiume e anzi di pensare a un rinnovo della stessa.[32]

L’ecomuseo simetino ha cominciato a prendere forma nel 2020, malgrado l’arrivo della pandemia da COVID 19: la comunità non ha affatto perso la propria tenacia e ha continuato a lavorare da remoto, con la consapevolezza di operare al fine di migliorare la propria qualità di vita. Si è creato un gruppo di lavoro che prevedeva la redazione di quattro progetti legati a diversi aspetti problematici del territorio locale: Esiste un fiume (ecologia), Paesaggi inclusivi (inclusione sociale), Il museo va in campagna (lettura e interpretazione del territorio contenitore di beni culturali)[33] e Nuove catene del valore (riscoperta dei mestieri locali per investire in economia circolare per il futuro dei giovani simetini).[34] Tutte queste attività tenevano e tengono conto della costruzione di mappe di comunità che dal 2007 fino a oggi sono state redatte dai co-ricercatori, al fine di utilizzare un linguaggio chiaro a tutti gli attori coinvolti e rendere più facile il dialogo fra tutti i redattori e i lettori delle mappe stesse. A questa platea di mappatori si sono unite alcune scuole e associazioni del territorio, che hanno chiesto di entrare a far parte ufficialmente del percorso/processo in atto. La partecipazione alle attività dell’ecomuseo soprattutto da parte delle scuole costituisce non solo un mero ampliamento dei partecipanti, ma un’importante testimonianza di questa comunità resiliente, che ha compreso e identificato come essenziale il rapporto tra patrimonio culturale, costruzione dell’identità civica e valori di cittadinanza[35] grazie alle attività copartecipate svolte progressivamente negli anni.

Il più recente riconoscimento (2022) alla perseveranza della comunità simetina è arrivato dalla Fondazione per il Sud, col finanziamento del progetto Reti Capacitanti nella Valle del fiume Simeto che prevede la formazione di un nuovo soggetto collettivo al fine di sviluppare «[…] un sistema di imprenditoria sociale diffusa a vantaggio dei giovani»,[36] con uno scambio di competenze e conoscenze fra le nuove e le vecchie generazioni del territorio. Fiducia, tenacia, resilienza sono le qualità acquisite nel corso del tempo, ma anche la consapevolezza che il benessere territoriale passa attraverso la sostenibilità e la tutela del paesaggio.

Al pari dei musei, anche gli ecomusei devono essere istituzionalizzati e questo processo di formalizzazione giuridica in Italia avviene attraverso le regioni.[37] L’ecomuseo della valle del fiume Simeto non è stato ancora riconosciuto dalla Regione Siciliana,[38] ma possiamo confidare che tale riconoscimento avrà esito positivo, soprattutto per la correttezza del metodo adottato (la ricerca-azione), propulsore di sviluppo sociale e in grado di rendere maggiormente proattiva la comunità simetina.

Nello spirito tenace della comunità simetina, si ricordano infine le parole di un suo membro: «[…] Se mettiamo a fuoco quello che vogliamo fare, poi possiamo portarlo avanti comunque».[39] Per non essere travolta da eventi che avrebbero danneggiato il territorio, la popolazione locale è divenuta uno straordinario esempio di resilienza: ha deciso di trasformare la lotta contro l’inceneritore in un’opportunità di crescita, rafforzando la fiducia in se stessa e divenendo un fondamentale presidio di sostenibilità.

 

 

 

 

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[1] Sotto il profilo dell’ampiezza demografica Paternò (48 mila residenti ca.) risulta essere uno dei maggiori comuni della Valle del Simeto. Cfr. Formez PA, La Strategia Nazionale per le Aree Interne e i nuovi assetti istituzionali, 2019, .

[2] Cfr. Assessorato Regionale dell’agricoltura e Dipartimento Regionale dell’agricoltura, Supporto metodologico alla predisposizione della strategia di sviluppo locale di tipo partecipativo, 2020, , p. 52.

[3] Il Laboratorio per la Progettazione Ecologica e Ambientale del Territorio (dipartimento di Architettura e Urbanistica dell’Ateneo catanese) ha avuto come primo direttore la prof.ssa Piera Busacca e vanta una lunga esperienza di co-progettazione sul territorio sia di ambito urbano sia extraurbano. Oggi il LabPEAT ha come responsabile scientifico il prof. Filippo Gravagno.

[4] Nella valle del Simeto all’inizio il LabPEAT ha impiegato pratiche per generare un processo di inclusione sociale (come anche previsto dalla logica ecomuseale) al fine di garantire la partecipazione della popolazione ai processi decisionali di pianificazione territoriale, ma senza avviarsi consapevolmente verso pratiche organizzative ecomuseali. Scrive Giusy Pappalardo (membro attivo del LabPEAT) sugli scambi e confronti avuti nel 2019 «Le diverse interlocuzioni [di natura scientifica, con Hugues de Varine, Giuseppe Reina, la Rete Nazionale degli Ecomusei] mi convincevano ad affermare che, quanto messo in piedi fino a quel momento nella valle del Simeto, fosse di fatto un processo ecomuseale. “Eravamo un ecomuseo ma non lo sapevamo!”, era la frase che più volte mi trovavo a ripetere per rimarcare il carattere spontaneo della nostra azione». G. Pappalardo, Paesaggi tenaci. Il processo ecomuseale del Simeto, Milano, Franco Angeli, 2021, p. 150, nota 15.

[5] Risoluzione finale del convegno Giornate dell’ecomuseo. Verso una nuova offerta culturale per lo sviluppo sostenibile del territorio, 12-13 ottobre 2007, Università di Catania, . Sugli ecomusei si veda il recente testo di H. de Varine, L’ecomuseo singolare e pluarale. Una testimonianza sui cinquant’anni di museologia comunitaria nel mondo, Gemona del Fiuli, Utopie Concrete, 2021 (ed. orig., L’ecomusée singulier et pluriel. Un témoignage sur cinquante ans de muséologie communautaire dans le monde, Harmattan, Paris ,2017) e la bibliografia ivi contenuta.

[6] Cfr. F. Gravagno, L. Saija, G. Pappalardo, Una partnership tra Università e Comunità per lo sviluppo locale: una esperienza di mappatura partecipata nella valle del Simeto, in F. Martinico (a cura di), Ricerca, didattica e prassi urbanistica nelle città del Mediterraneo. Scritti in onore di Giuseppe Dato, Roma, Gangemi, 2011, pp. 415-424.

[7] Si trattava degli esperti Ken Reardon e Wade Rathke che nel 2009 sono venuti raccontare alla comunità simetina la loro esperienza negli USA. Cfr. L. Saija, La ricerca-azione in pianificazione territoriale e urbanistica, Milano, Franco Angeli, 2016, pp. 68-70. Sui temi di community organizing si veda W. Rathke, Nuts e Bolts: The ACORN Fundamentals of Organizing, New Orleans, Social Policy Press, 2018.

[8] Cfr. G. Pappalardo, Paesaggi tenaci. Il processo, cit., p. 39.

[9] Si tratta di testi legati anche alla pedagogia esperienziale; si veda a titolo esemplificativo P. Reason, H. Bradbury (a cura di), Handbook of action research: Participative inquiry and practice, Sage, New York, 2001; K. M. Reardon, Promoting reciprocity within community/university development partnerships: Lessons from the field,, «Planning, Practice e Research», 21/ 1, 2006, pp. 95-107; D. Coghlan, M. Brydon-Miller (a cura di), The Sage encyclopedia of action research, Sage, New York, 2014; L. Saija, La ricerca–azione in pianificazione, cit.

[10] L’approccio maieutico rappresenta uno dei punti di riferimento sia nel dibattito museologico legato alle pratiche delle «museologie insorgenti», sia in quello della pianificazione urbanistica e territoriale. Con uno sguardo transdisciplinare sono da considerare le esperienze di Danilo Dolci (soprattutto nel Bèlice negli anni Sessanta) e Paulo Freire, cfr. D. Dolci, La struttura maieutica e l’evolverci, Firenze, La Nuova Italia, 1996; P. Freire, Pedagogia do Oprimido, New York, Herder and Herder, 1970; M. Tracchi, Danilo Dolci e Paulo Freire: un intreccio intellettuale tra maieutica e dialogo per un’educazione problematizzante, «Orientamenti pedagogici», 66/1, 2019, pp. 133-148. Sulle «museologie insorgenti» si veda M. M. Duarte Cândido, M. Cornelis, É. Nzoyihera, Les muséologies insurgées: un avenir possible pour une tradition épistémologique, in K. Smeds (a cura di), The Future of Tradition in Museology. Materials for a discussion, papers from the ICOFOM 42nd symposium in Kyoto (Japan), 1-7 September 2019, Parigi, ICOFOM- ICOM, 2019, pp. 50-53. Sul metodo della ricerca-azione nella pianificazione territoriale e urbanistica cfr. L. Saija, La ricerca-azione in pianificazione, cit.

[11] In base alla Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000) «Il termine “ paesaggio “ viene definito come una zona o un territorio, quale viene percepito dagli abitanti del luogo […]».

[12] Cfr. A. Raciti, Il progetto come pratica sociale. Due esperienze di ‘Progetto-azione’ nella valle del Simeto, Tesi di dottorato in Progetto e Recupero Architettonico, Urbano e Ambientale, Dip. di Architettura, Università degli Studi di Catania, Catania, a.a. 2012-2013, pp. 187-193.

[13] Per intraprendere un dialogo con le istituzioni si pianificò un evento che ebbe un titolo significativo: Pianificare insieme si può! Un Patto tra comunità e istituzioni per fare rivivere la valle del Simeto. Cfr. L. Saija, La ricerca–azione in pianificazione, cit., p. 84.

[14] «Beni comuni», il riferimento è all’accezione ampia conferita da Stefano Rodotà (S. Rodotà, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni, Bologna, Il Mulino, 2013).

[15] Si tratta dell’area di contrada San Nicolò liberata dai rifiuti (in accordo con Comune di Paternò e Corpo Forestale di Catania) per accedere al fiume Simeto e della villetta comunale Girolamo Rosano di Adrano (qui l’accordo con amministrazione comunale non è andato a buon fine). Entrambi questi due progetti di riqualificazione, dopo la fase di avviamento, furono fallimentari, anche per la mancanza di un efficace supporto da parte delle istituzioni. Per una lista completa di queste collaborazioni con i vari enti si veda G. Pappalardo, Paesaggi tenaci. Il processo, cit., p. 134.

[16] La disoccupazione giovanile della città metropolitana di Catania fra il 2010 e il 2012 era aumentata (era passata al 46,6% crescendo di 9 punti percentuali) costringendo molti giovani a emigrare, cfr. L. Saija, La ricerca-azione in pianificazione, cit., pp. 97-99.

[17] Il progetto Life era stato presentato in risposta al bando altamente competitivo legato alla call Life + Enviromental Policy and Governance 2013 del 7° Programma Quadro dell’Unione Europea. Cfr. ivi, p. 102 nota 32.

[18] I co-ricercatori in questione sono rappresentati soprattutto da agricoltori, insegnanti, sindaci, ingegneri, urbanisti, archeologi, famiglie e altre categorie della popolazione locale fortemente interessate allo sviluppo del territorio.

[19] Per la redazione del progetto i comuni hanno messo in campo anche i loro consulenti e si sono aggiunti anche stakeholders locali.

[20] Sulle difficoltà della pianificazione nel Mezzogiorno, cfr. I. Vinci, La pianificazione strategica nelle città del Mezzogiorno, «Scienze regionali», 3, 2014, pp. 73-102.

[21] Il tentativo di ampliare la platea dei partecipanti alla co-progettazione andrà a buon fine, soprattutto con la collaborazione della nuova Associazione valle del Simeto che darà un grande apporto al Patto per il Fiume Simeto. Cfr. L. Saija, La ricerca-azione in pianificazione, cit., pp. 104-105.

[22] Cfr. il caso del Contratto di fiume-paesaggio del medio Panaro, ; R. Micarelli, G. Pizziolo, Il contratto di fiume/paesaggio del medio Panaro, in M. Bastiani (a cura di), Contratti di fiume. Pianificazione strategica e partecipata dei bacini idrografici, Palermo, Flaccovio, 2011, pp. 323-342; tale caso è indicato in G. Pappalardo, Paesaggi tenaci. Il processo, cit., p. 41.

[23] A questi comuni si aggiungerà Catenanuova. Cfr. Presidio Partecipativo del Patto di Fiume Simeto, .

 

[24] Per avere un’idea del tipo di lavoro svolto e del metodo avviato, cfr. University of Memphis, Don’t WASTE it! Strategia simetina per la prevenzione rifiuti / Simeto Strategy for waste prevention 2019, .

 

[25] Gli studenti americani lavorano con la comunità locale supportati da membri dell’Ateneo di Catania, sono presenti inoltre traduttori che effettuano la traduzione ove occorra e che soprattutto svolgono la funzione di mediatori culturali. Sulle modalità di lavoro sul campo previsto dalla Summer School CoPED, si veda A. Raciti, L. Saija, From ecosystem services to Ecological Devices: The CoPED Summer School experience in the Simeto River Valley, Italy, «Journal of Urban Management», 7, 2019, pp. 161-171.

 

[26] Cfr. D.A. Schön, Educating the reflective practitioner: Toward a new design for teaching and learning in the professions, San Francisco, Jossey-Bass, 1987.

 

[27] Sui dettagli organizzativi di questa fase si veda G. Pappalardo, Paesaggi tenaci. Il processo, cit., p. 44.

 

[28]               Sulla “duttilità” degli ecomusei, a scopo esemplificativo si veda R. Riva, Gli ecomusei strumenti di democrazia per il progetto dello sviluppo Sostenibile, in M. R. Gisotti e M. Rossi (a cura di), Territori e comunità. Le sfide dell’autogoverno comunitario, Atti dei Laboratori del VI Convegno della Società dei Territorialisti, Castel del Monte (BA), 15-17 novembre 2018, pp. 146-153; G. J. Burgers, C. Napolitano, I. Ricci, Ecomuseo della Via Appia: un progetto di sviluppo sostenibile per la piana di Brindisi, in M. R. Gisotti e M. Rossi (a cura di), Territori e comunità. Le sfide dell’autogoverno comunitario, Atti dei Laboratori del VI Convegno della Società dei Territorialisti, Castel del Monte (BA), 15-17 novembre 2018, Palermo, SdT, 2020, pp. 37-45.

 

[29] H. de Varine, L’ecomuseo singolare e plurale, cit., p. 248.

 

[30] Si tratta di attività di “tutela” delle «comunità di eredità» che si prendono cura di un patrimonio/eredità comune. Come recita, infatti, la Convenzione di Faro, «Una comunità di eredità è costituita da un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici delleredità culturale, e che desidera, nel quadro di unazione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future». Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, Faro, 2005, p. 5, (testo originale Council of Europe Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society).

 

[31] Sull’impiego delle mappe di comunità nella formazione delle attività degli ecomusei, cfr. S. Clifford, M. Maggi, D. Murtas, Genius Loci. Perché, quando e come realizzare una mappa di comunità, Torino, IRES, 2006.

 

[32] Cfr. G. Pappalardo, Paesaggi tenaci. Il processo, cit., p. 160.

 

[33] Questo laboratorio prevede pratiche laboratoriali di museologia sociale.

 

[34] Su queste attività cfr. ivi, pp. 150-160.

 

[35] Sul tema dell’educazione civica e la sua relazione col patrimonio culturale, cfr. I. Baldriga, Estetica della cittadinanza. Per una nuova educazione civica, Firenze, Le Monnier, 2020.

 

[36] Fondazione per il Sud, ReCap Simeto, . Reti Capacitanti nella Valle del fiume Simeto (ReCap) prevede una fase di formazione nell’ambito della progettazione e l’avvio d’impresa per nuove opportunità lavorative.

 

[37]               Gli ecomusei italiani rivestono un carattere di sussidiarietà, dato che lo Stato e le Regioni devono semplicemente controllare l’operato degli ecomusei e non gestirli direttamente, poiché spetta agli ecomusei una propria autogestione. Nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (2004) non appare l’ecomuseo, che ritroviamo invece solo nelle leggi regionali (ove promulgate); cfr. A. Angelini, Per un uso sostenibile e duraturo del territorio, in G. Reina (a cura di), Gli ecomusei. Una risorsa per il futuro, Venezia, Marsilio, 2014, p. 139. Sulle leggi regionali italiane si veda la sintesi di G. Reina, L’ecomuseo fra territorio e comunità, in G. Reina (a cura di), Gli ecomusei, cit., pp. 77-80.

 

[38] È stata presentata istanza di riconoscimento alla Regione Siciliana nel febbraio 2021, ma ancora la risposta tarda ad arrivare. Sulla legge regionale siciliana n. 16 del 2014 che prevede il riconoscimento degli ecomusei che dovrebbero possedere precisi requisiti, vedi G. Reina, L’ecomuseo fra territorio e comunità, cit., pp. 80-83.

 

[39]               Alessandro Gagliardo, cit. in L. Saija, La ricerca-azione in pianificazione, cit., p. 102.

 


Tags

SIMETO , ECOMUSEO , PROGETTAZIONE , TERRITORIO


Categoria

Museologia

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