Corpi virtuali per una immortalità reale?

di Santo Di Nuovo

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1. Al di là di un corpo mortale?

L’umanità ha sentito fin dalle sue origini l’esigenza di ipotizzare una relazione tra la vita terrena in un corpo fisico e mortale, e un aldilà immortale.

Andando oltre la conoscenza razionale umana, diverse fedi religiose hanno avanzato ipotesi sui misteri dell’aldilà e ai rapporti di questo con il corpo. In alcune tradizioni la continuità della vita era assicurata dalla reincarnazione (rinascita del principio spirituale di un individuo in un altro corpo) o dalla metempsicosi, trasmigrazione delle anime in corpi diversi. Credenze risalenti alle Upanisad indiane e al buddismo, alla religione orfica, e successivamente rielaborate da filosofi e scrittori. Ma in queste condizioni non può essere assicurata la continuità della coscienza individuale, benché si ammetta la possibilità di conservare alcuni ricordi della vita precedente.[2]

Diverse forme di persistenza dopo la morte corporea sono state ritenute possibili. Nelle religioni mesopotamiche e greche, gli dèi possono rendere alcuni esseri umani fisicamente immortali.  Greci e Romani hanno previsto l’Ade come luogo fisico, collocato al di sotto del mondo dei viventi e invisibile ad esso, in cui i defunti continuano a vivere “al di là” della esistenza corporea. Per il cristianesimo, ma anche per molte altre religioni, i veri credenti risorgeranno all’immortalità fisica nei propri corpi.

Anche diversi filosofi hanno approfondito il rapporto fra corpo mortale e sopravvivenza al di là di esso, attribuita ad un principio vitale, diverso dal corpo, chiamato anima. Questo principio immateriale è immortale, e – secondo pensatori come Socrate – la filosofia dovrebbe mirare a liberarlo dal corpo, guidandolo verso le verità eterne, e questa liberazione si realizza con la morte fisica. Lo stoicismo attribuiva l’immortalità al λόγος universale, concepito come il fuoco animatore del mondo, di cui le singole anime sono scintille, che devono ricongiungersi ad esso nella conflagrazione universale finale del ciclo cosmico. Anche il pensatore islamico Ibn Sīnā (Avicenna)[3] considerava il principio immortale non come personale ma come impersonale e universale.

Mentre molti filosofi cristiani riaffermavano il dualismo platonico corpo-anima, Ibn Rushd (Averroè),[4] riprendendo Aristotele, considerava l’intelletto sostanza incorporea e perciò eterna. In precedenza, anche il filosofo e scienziato alto medievale Al-Farabi,[5] proveniente da una cultura musulmana ma che pure attingeva alla filosofia greca, aveva ribadito che l’essenza della persona umana è divisa in due componenti, una delle quali è strettamente associata alla natura e l’altra invece all’anima immateriale.

La sussistenza dell’anima, sostanza incorruttibile – sosteneva Cartesio[6] – per la sua essenziale semplicità, può consentire la sopravvivenza oltre la morte ma in una condizione diversa, in assenza del corpo fisico; concezione diversa da quella delle fedi religiose che ammettono una continuità o rinascita del corpo come conosciuto nella vita mortale.

L’esistenza di un doppio livello di esistenza (corpo materiale e principio spirituale indipendente da esso) sarebbe confermata, secondo alcuni filosofi, teologi e scrittori, ma anche psicologi, dalle esperienze extra-corporee riferite da reduci da morte apparente, che proverebbero la realtà di un diverso livello di vita.[7] Queste esperienze mirano a dimostrare la possibilità di passare a un livello superiore di coscienza, in cui ciò che si perde è ciò di cui l’uomo non ha più bisogno: il corpo fisico. In definitiva, stare in un corpo fisico non sarebbe l’unico modo di vivere, ma ci sarebbero altri “corpi invisibili” in cui è possibile proseguire la vita.
Su questo principio si basa il tentativo più avanzato di prolungare la vita in un corpo immateriale appositamente creato mediante le tecnologie e l’Intelligenza Artificiale.

 

2. Come soddisfare la aspirazione ad un corpo immortale? Una risposta tecnologica

Il progetto del Trans-umanesimo o Humanity+,[8] cerca di trovare risposte alla finitezza basate sull’Intelligenza Artificiale. Humanity+ ha avuto importanti precursori in Bacon, Nietzsche e Julian Huxley, ed è stata ripresa nel recente volume di Chalmers su Reality+ come realtà genuina ancorché virtuale.[9] Realizzando la fusione di biologia, scienze cognitive, informatica e nanotecnologia, il trans-umanesimo mira alla possibilità di bloccare il processo di deterioramento della vita. Lo scopo è creare un altro sé, che non invecchi e non muoia.
Gli impulsi trascendentalisti tendono a cercare l’immortalità, come in passato era stato tentato dalla ricerca di “fonti di giovinezza”, “elisir di lunga vita” e altri tentativi di sconfiggere l’invecchiamento e la morte. Avvalendosi della Intelligenza artificiale, scaricare la coscienza individuale sul web sarebbe un modo per garantire la sopravvivenza dopo la fine della vita corporea.[10] Esperti specializzati in interfacce neurali mirano a dare una risposta definitiva ai dolori e alle malattie dell’invecchiamento e alla morte stessa, trasformando i corpi e le menti a rischio di fragilità e di morte in persone olografiche.[11]
L’ambizioso progetto “Initiative 2045” aspira a sostituire persone reali, fragili e mortali con persone olografiche potenzialmente immortali.[12] Il processo è lungo e complesso. Nella prima fase deve essere creata una copia del corpo della persona realisticamente simulato, mediante tecniche consentite dall’Intelligenza artificiale (già sperimentata con successo sui robot androidi nei laboratori giapponesi).[13] Nel secondo periodo, viene programmato un Avatar in cui viene innestata la replica del cervello perfettamente simulata.[14] Nella terza fase, l’Avatar sarà implementato con i tratti della personalità individuale, anche questi replicati dalla persona reale. Nell’ultima fase – prevista per il 2045, da cui il titolo del progetto – un Avatar simile a un ologramma potrà sostituire la persona dopo la sua morte fisica, abilitandola ad una vita infinita in un cloud di realtà virtuale appositamente programmato.

Non si tratta di fiction fantascientifiche, ma di progetti reali che hanno già centinaia di adepti, iscritti e “prenotati” per questa avventura trans-umana.

Trasformare gli individui in realistici corpi-Avatar risponderebbe all’antico desiderio di superare i limiti fisici della vita umana. Si aprirebbe la possibilità di realizzare la potenziale immortalità a cui l’umanità aspira fin dalle origini del mondo, che tutte le religioni traducono nella credenza nell’aldilà e nella possibilità della reincarnazione, e che la simulazione potrebbe ora realizzare non solo come “anima” spirituale ma in un corpo diverso da quello fisico.

La finitudine umana dunque può essere sconfitta dalla simulazione, cioè creando milioni di avatar immortali? Le critiche a questa pretesa di recuperare con la cibernetica il paradiso perduto non sono mancate, a cominciare da quelle strettamente tecniche.

È dubbio che eseguire una scansione dettagliata del cervello organico originario di un individuo e simulare l’intera struttura della sua personalità, seppur possibile, potrà consentire di raggiungere i livelli di coscienza necessari per replicare senza limiti di tempo la piena esistenza della persona umana. Nonostante gli avanzamenti delle tecnologie cibernetiche, il livello di dettaglio che tali scansioni e simulazioni dovrebbero raggiungere per emulare la consapevolezza è ancora da determinare, e non pochi dubitano che possa essere davvero ottenuta.

Ma, ammettendo che quanto promesso da “Initiative 2045” sia effettivamente realizzabile, non è chiaro se e come questi avatar individuali si relazionerebbero tra di loro per riprodurre la vita sociale che è essenziale per dare un senso alla vita dei singoli. Questa soluzione non risolve il problema posto già da secoli dalle ipotesi di un Ade o un paradiso ultra-mondano in cui anime (e corpi?) dovrebbero vivere, ma che non ipotizzano concrete modalità relazionali tra queste vite prolungate in eterno.

Sul piano etico, si obietta che questa sorta di “vita oltre la vita” andrebbe pianificata e governata da agenti intelligenti che riproducono l’essenza stessa della vita: la mente cosciente. Il pericolo è di istituire un “totalitarismo cibernetico”, e lo stesso Boström, fondatore del trans-umanesimo, ha messo in guardia contro i rischi che le intelligenze virtuali travolgano l’intelligenza umana inducendo a dipendere dalle macchine e creando potenziali disastri esistenziali e sociali: il pericolo che gli umani sentono istintivamente provenire da umanoidi troppo intelligenti, come tanta letteratura e cinematografia fantascientifica ha da tempo illustrato.

 

3. Quale via per l’al-di-là? Dal corpo virtuale individuale alla “parola” condivisa e al corpo collettivo

Considerando che il bisogno di avere assicurata una qualche forma di superamento della fine individuale è sempre reale e pressante nella storia della umanità, si possono ipotizzare altre vie per appagarlo, diverse da quella di simulare l’immortalità in corpi-avatar individuali? Si potrebbe avviare la costruzione di una ‘trascendenza’ dentro e dopo il tempo della vita, assicurando al tempo stesso forme di relazionalità cui gli individui possano conservare la propria peculiare personalità all’interno di un progetto comune.

In questa direzione la tecnologia può offrire il “saper fare”, non lo scopo del progetto. Dalle scoperte del fuoco e della ruota agli antibiotici, ai social media, fino all’intelligenza artificiale e alla robotica, la scienza è un mezzo, non può stabilire il fine, che va invece cercato con una riflessione progettuale socializzata e contestualizzata.

Alcune teorie filosofiche e sociologiche hanno spostato il problema della sopravvivenza alla morte corporea ad un “progetto” che ha dei confini non solo individuali ma collettivi. La progettualità individuale si proietta nell’immateriale quando si connette a un progetto collettivo, orientato oltre il tempo vissuto individualmente e la finitezza del corpo mortale.
Riprendendo il presupposto condiviso da alcune teorie sociologiche e alcune culture, la morte fisica e la sopravvivenza ad essa non sono questioni solo individuali ma anche sociali.

Baudrillard[15] affermava che i morti cessano di esistere definitivamente quando vengono eliminati dalla rappresentazione simbolica del gruppo. Questo è un concetto antico condiviso con la tradizione orientale, secondo la quale la persona non muore definitivamente, pur separandosi dal corpo fisico, e resta vivo fin quando qualcuno ne tiene vivi il nome e gli atti. I “morti viventi” (morti che vivono ancora) sono ben diversi dagli “zombie” della letteratura noir occidentale. In molti templi cinesi esistono delle sale per commemorare i defunti dove si depositano le “tavolette dell’antenato” con la foto, le parole e gli atti della persona da ricordare. Questa tradizione culturale si basa sulla credenza in tre diversi “corpi”: quello fisico, quello spirituale (l’anima) e il “corpo verbale”: ritratti, immagini, scritti, che ricordano e sintetizzano l’esistenza personale. Pensieri e atti che tengono in vita la persona defunta, finché l’oblio non sopravviene e toglierla dalla memoria simbolica del gruppo di riferimento.
Secondo questa credenza, si può dunque sopravvivere alla fine del corpo fisico continuando a vivere in un corpo diverso dalle consuete coordinate, delimitate dallo spazio-tempo della fisica. Ma non basta per questo solo il “ricordo”, per quanto sia importante per una memoria storica dei singoli: si può trascendere il fondamento materiale accedendo ad una dimensione transpersonale immateriale. Il processo evolutivo dell’umanità può raggiungere alti livelli di intelligenza collettiva promuovendo forme di trascendenza dalle singolarità individuali in una realtà comune.
L’etnografo Hutchins[16] sosteneva che le rappresentazioni mentali, collocate dalla scienza cognitiva classica nel cervello, in realtà sono distribuite nel sistema socioculturale di cui l’individuo fa parte. La concezione di “coscienza collettiva” era stata peraltro condivisa da autori di diversa estrazione teorica come Durkheim, Freud e Gramsci, e dalle teorie della “intersoggettività”, della “deep social mind” e del “social brain”.[17]

Ey[18] sosteneva che il campo della coscienza dà la forma alla relazione dell’Io col mondo, consentendo di aprirsi al mondo e orientarsi in esso, e di distribuire lo spazio vissuto tra il soggetto e il mondo.
Ken Wilber[19] partendo dalla psicologia transpersonale interculturale, e dalla negazione di un ordine del mondo basato sulla unidimensionalità della materia, evidenzia la necessità di accedere ad una “greater mind”, estendendo la consapevolezza al trascendentale, quale che sia il nome attribuitogli: universo, evoluzione, esistenza, “il tutto”, o Dio; comunque un potenziale antropologico derivante dallo sviluppo della coscienza sociale. «Il tema unificante in varie forme di spiritualità è … la ricerca di un ordine sistemico e la spiegazione o l’esperienza dell’interconnessione, dove la piatta materialità unidimensionale viene trascesa … La spiritualità come forma di coscienza costruisce il mondo come un tutto sistemico, dove le diverse parti sono interconnesse».[20] Nel Cosmo gli umani esistono solo in relazione con il tutto.[21]

Un supporto recente, in direzione dell’interconnessione delle coscienze individuali in un tutto sovraordinato e significativo, viene dalle concezioni neuroscientifiche secondo cui la mente non risiede solo nel cervello ma si estende al corpo (embodied cognition) e alla realtà esterna che la sostiene e la integra (extended mind). La mente costruisce i processi di pensiero mediante risorse disponibili al di fuori del cervello, tra cui le altre menti con cui si interagisce.[22] Secondo Gazzaniga[23] l’attività cerebrale non ha luogo solo nelle aree del cervello, ma nello spazio fra tanti cervelli che interagiscono.

Questa interazione non può che basarsi sulla parola, il λόγος dello stoicismo, la “coscienza discorsiva” kantiana, il fondamento essenziale della mente secondo Saussure. È l’elemento che in senso lacaniano struttura anche l’inconscio, che a sua volta rende possibile l’attività mentale cosciente. In questo senso l’inconscio è collocato fuori dalla mente, dato che penetra nella mente infantile attraverso le parole e i discorsi dell’habitat culturale e struttura così la coscienza.[24]

Esiste una coevoluzione tra coscienza e linguaggio[25] da cui nasce il legame “narrativo” che consente la comprensione di sé nel mondo, e attiva l’in-tenzionalità come tensione verso l’altro per comunicare e condividere i contenuti mentali. La narrazione serve alla produzione di senso per le persone e per l’intera comunità. La coscienza ha una matrice sociale condivisa in quanto interiorizza il linguaggio. Secondo Gadamer[26] il dialogo interiore manifesta il “Mitenandersein”, essere-uno-con-l’altro, che può fondare la socialità, come può distruggerla se crea una coscienza collettiva alterata e mistificata da esigenze di potere.

Riaffermando il potere del “discorso collettivo” in un’era digitale che minaccia di metterlo in crisi, Turkle[27] ribadisce che «conversando insieme, costituiamo una realtà condivisa».

Una nozione che concretizza la condivisione è quella di “meme”,[28] che rappresenta la trasmissione di idee, simboli e comportamenti tra le persone che condividono una cultura, e questo spiega l’evoluzione della cultura. Come i geni, i memi infatti possono replicarsi e mutare, secondo le regole della selezione naturale; come unità di base della cultura corrispondono a reti di neuroni che costituiscono i nodi della memoria semantica collettiva.[29]

Mediante la trasmissione genetica si costruisce la memoria collettiva che trascende quella personale e diventa patrimonio della specie. La coscienza dell’individuo serve ad assicurare la sua identità finché resta in vita, ma anche ad accumulare memoria per la specie. L’acquisizione alla coscienza collettiva di nuovi significati crea un patrimonio immateriale che si tramanda nel tempo al di là delle singole persone che hanno contribuito a cumularlo.

Alcuni neuroscienziati cognitivi ipotizzano che una narrazione generale possa trascendere la finitudine della singolarità, e questo consentirebbe di raggiungere una forma di sopravvivenza collettiva al di là della morte individuale.

Uno stimolante articolo[30] sostiene che l’anima – se così si vuole chiamare la parte immateriale della persona - è una “proprietà distribuita” del nostro cervello e degli altri, e la partecipazione a questa proprietà condivisa è il modo in cui gli aspetti immateriali della persona possono sopravvivere alla morte.

Commentando questa posizione, altri autori introducono la nozione di auto-narrativa come concetto interdisciplinare volto a cogliere aspetti essenziali dell’identità delle persone. Le auto-narrazioni sono concepite come costrutti relazionali dinamici e distribuiti, adatti per implementazioni neurali, aperti ad una dimensione spazio-temporale ulteriore.

L’aldilà può essere raffigurato in termini relazionali come un sistema unificante che abbraccia e connette tutti i sé/persone, in modo tale che ogni sé abbia accesso simultaneo e immediato alla narrazione di tutti gli altri. Poiché tutti i sé e le narrazioni individuali convergono e si relazionano all’interno di un tale sistema unificante, l’aldilà potrebbe essere concepito come la manifestazione ultima dell’intera storia dell’umanità.[31]

Somiglianze interessanti possono essere trovate fra la teoria dei memi, l’approccio neuroscientifico alla narrativa universale, e gli “archetipi” junghiani come temi o modelli universali condivisi dall’umanità al di fuori del tempo. Non si tratta di idee ereditate, ma di una disposizione funzionale a produrre idee uguali o affini.[32] Mediante gli archetipi, secondo Jung possiamo attingere a una parte inconscia della nostra mente per avere indicazioni sull’immortalità, che invece la coscienza non può raggiungere per i suoi limiti strutturali di spazio e tempo. La coscienza vive infatti in un mondo che ha plasmato le nostre condizioni psichiche, e non ci consente di rappresentare un altro mondo governato da leggi dello spazio e del tempo radicalmente diverse, cui solo l’inconscio collettivo può accedere.[33]
Ma la narrazione archetipica proposta in termini neuroscientifici non è limitata alla conoscenza cumulativa proveniente dal passato. È un progetto condiviso da realizzare nel futuro, in una coscienza sociale che aspetta di trovare le parole adeguate per la condivisione.
Il concetto di “racconto archetipico” trova anche risonanza con il concetto già citato di “λόγος universale” dello stoicismo, che però proviene da un Dio immanente. Lo stesso si dice all’inizio del Vangelo di Giovanni: “λόγος” è Dio, ma in senso trascendente. La parola narrata è il principio e la fine, la vita e la luce eterna degli uomini. Ma come si può realizzare questa trascendenza all’interno della realtà contingente e finita in cui l’umanità – nell’accezione heideggeriana – si trova “gettata”?

 

4. Le religioni e le alleanze sociali possono realizzare un corpo invisibile e immortale?

Edgar Morin[34] ha creato il neologismo ‘reliance’, derivato da religione – anche in ottica laica – e alleanza, per definire la capacità di rafforzare connessioni e progetti positivi e crearne di nuovi. L’identità sociale è possibile solo se connessa al “prossimo”, alla comunità, alla società multietnica, al genere umano come unica “Patria-Focolare”. Questo è il “porto sicuro” per tutti gli esuli in cerca di fraternità, e di salvezza dalla deriva a cui possono portare la tecnologia e l’economia, anziché mirare al bene comune. Si pensi agli usi dei “social media” che costruiscono la coscienza collettiva ma possono anche manipolarla e distorcerla.  E alla economia globalizzata, che tende a sopraffare i più deboli anziché aiutarli a diventare più forti.

Mentre la libertà e l’uguaglianza possono essere promosse dalla legge, la fraternità non può essere imposta. Nasce dal riconoscimento della comune umanità e dal rispetto delle sue differenze come risorse e non come barriere. Su queste basi si può sviluppare la fratellanza tra tutti gli esseri umani per far fronte al comune destino di finitezza e per condividere i tentativi di superarlo. Questa strada va verso un progetto di πόλις comune che la politica mondiale non sa, o non vuole, orientare. Il progetto va orientato alla costruzione di memi e di reti di coscienza sociale condivisa e dovrebbe riguardare tutti gli ambiti della vita umana: economia, lavoro, giustizia, ecologia, salute, alimentazione, consumi, famiglia, condizione femminile, diversità fisica e psichica, invecchiamento. Tutte le dimensioni in cui si realizza il benessere devono trovare una strada che realizzi un migliore corpo-sociale umano.[35] È la strada dell’unità intelligente dell’umanità che realizza la consapevolezza di appartenere alla comunità invisibile di coloro che lottano contro il male e l’iniquità per affermare le forze del bene, che Einstein[36] individuava nella verità, nella bellezza e nella giustizia.
Un sostegno ulteriore a questa visione laica del progetto di fraterna cooperazione sociale potrebbe venire dalla fede religiosa, condivisa da gran parte dell’umanità pur se in forme diverse e sganciata dalla religiosità formalizzata in riti e pratiche devote. Una fede che implica la consapevolezza dell’interdipendenza in un progetto comune, universale, che trascende il tempo e lo spazio e la singola persona. Progetto dall’esito ora inconoscibile, per le strutture fisiche e mentali in cui siamo gettati, perché le “trascende”; ma che si realizza in un corpo mistico in cui la parola divina si presenta e si realizza.
In particolare, il cristianesimo καϑολικός (universale) riconosce la Chiesa diffusa nel modo come un corpo “mistico”, vivente seppur invisibile. «Questo è il mio corpo», parola di Gesù ai suoi discepoli, si ripete ogni volta che si rinnova il mistero eucaristico, la “comunione”. Un corpo da condividere. La communio si realizza mettendo insieme le esperienze e le capacità ‘narrative’ di quanti credono in questa condivisione, costruendo concretamente l’essenzialità del racconto, del λόγος come pensiero-parola presupposto dell’azione. La communio è l’obiettivo e il mezzo che realizza la trascendenza dell’individuo e la presenza divina nel mondo, portatrice di ‘salvezza’ dalla finitudine, che è salvezza dello spirito ma anche del corpo (in questo senso anche i corpi attuali devono “risorgere”).

L’ἐκκλησία divina, come Cristo l’ha voluta, è la realizzazione concreta e vivente del λόγος universale che permane nel tempo, e può portare al mondo una parola di speranza e di vita eterna – dove l’eterno deve cominciare “qui ed ora”. In realtà, l’ἐκκλησία cristiana non sempre ha coinciso con l’istituzione ecclesiastica quale nella storia – per molte ragioni: alcune valide, alcune meno, altre per nulla – è diventata, e che ha troppo spesso e in troppi luoghi trascurato i bisogni dei corpi attuali in vista di risurrezioni ultra-terrene.

La reliance moriniana e la speranza in un diffuso λόγος propositivo di fraternità universale è l’utopia che mira a raggiungere l’obiettivo di un supplemento di umanità, una Humanity+, ma in modo diverso dalla filosofia e dalla tecnologia del Trans-umanesimo: creando non tanti corpi virtuali come avatar individuali dispersi in una eternità indefinita, ma un unico corpo universale, invisibile ma profondamente reale, in cui l’eternità comincia a realizzarsi dal momento presente e supera i limiti delle vite individuali.

 

 

 

 

[1] Professore emerito di psicologia, Università di Catania. Presidente della Associazione Italiana di Psicologia.

[2] R. Stemman, The big book of reincarnation, Bophal, Manjul Publishing House, 2017.

[3] A. Ibn Sīnā, A Compendium of the Soul, Alexandria, Library of Alexandria, 2019.

[4] A. Illuminati (a cura di), Averroè e l’intelletto pubblico. Antologia di scritti di Ibn Rushd sull’anima, Roma, ManifestoLibri, 1996.

[5] A. Al-Farabi, Philosophy of Plato and Aristotle, New York, Cornell University Press, 2002.

[6] R. Descartes, Opere filosofiche, Torino, Utet, 1994. Sulle critiche delle neuroscienze al dualismo cartesiano, che mantiene separata la mente dal corpo: A. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, tr. it., Milano, Adelphi, 1995.

[7] E. Kübler-Ross, On life after death, New York, MacMillan, 1969; R. Moody, Life after life, New York, Bentham, 1976.

[8] N. Boström, A history of transhumanist thought, «Journal of Evolution and Technology», 14, 2005, pp. 1-25; A. Sandberg, N. Boström, Whole Brain Emulation: A roadmap. Technical Report. Oxford, Future of Humanity Institute and Oxford University, 2008.

[9] D. Chalmers, Reality+: Virtual Worlds and the Problems of Philosophy, New York, Norton, 2022.

[10] R. Kurzweil, The Singularity Is Near, New York City, Viking Press, 2005.

[11] A. R. Rosenthal, Love of Life: Deconstruction, Biotech & the Survival of Indefinite Life, «Oxford Literary Review», 40/2, 2018, pp. 156-180.

[12] D. Itzkov, Initiative 2045, http://2045.com/.

[13] H. Ishiguro, How Human Is Human?: The View from Robotics Research, Tokyo, JPIC International, 2020. Cfr. anche il sito della Intelligent Robotics Laboratory, Osaka University: https://eng.irl.sys.es.osaka-u.ac.jp/.

[14] Progetti internazionali nel campo dell’informatica e delle neuroscienze come “Human Brain Project” mirano a realizzare, attraverso supercomputer condivisi tra diverse istituzioni, una simulazione del funzionamento completo del cervello umano. Lo sviluppo e le applicazioni della tecnologia informatica ispirata al cervello consentiranno la messa a punto di agenti robotici e ambienti virtuali e reali per testare le simulazioni dei funzionamenti cerebrali. Per una descrizione del progetto in lingua italiana: H. Markram, Il progetto cervello umano, «Le Scienze», 8, 2012, pp. 44-49. Descrizioni più ampie nel sito https://www.humanbrainproject.eu/.

[15] J. Baudrillard, L’Échange symbolique et la mort, Paris, Gallimard, 1979.

[16] E. Hutchins, Cognition in the wild, Cambridge, MIT Press, 1995.

[17] R.I.M. Dunbar, The social brain hypothesis, «Evolutionary Anthropology», 6, 1998, pp. 178-191.

[18] H. Ey, La conscience. Paris, Presse Universitaire de France, 1963.

[19] K. Wilber, Integral spirituality. A starting new role for religion in the modern and postmodern world, Boston, Integral Books, 2006.

[20] M. Kamppinen, J. Jakonen, Systems thinking, spirituality and Ken Wilber, Beyond New Age, «Approaching Religion», 5 (2), 2015, pp. 3-14 (cit. pp. 4-5).

[21] C. Taylor, A Secular Age, Cambridge, Belknap - Harvard University Press, 2007.

[22] A. Clark, Supersizing the Mind: Embodiment, Action, and Cognitive Extension, Oxford University Press, 2008; P.A. Murphy, The Extended Mind: The Power of Thinking Outside the Brain, Boston, Mariner Book, 2019.

[23] M. Gazzaniga, Who is in charge? Free will and the science of the brain, New York, Harper Collins, 2011.

[24] J. Lacan, Ècrits, New York, Norton, 1966.

[25] M.A. Arbib, Co-evolution of human consciousness and language, «Annals of the New York Academy of the Sciences», 929/1, 2001, pp. 195-220.

[26] H.-G. Gadamer, Linguaggio, Roma-Bari, Laterza, 2005.

[27] S. Turkle, Reclaiming conversation. The power of talk in a digital age, New York, Penguin - Random House, 2016.

[28] R. Dawkins, The selfish gene, Oxford, University Press, 1989.

[29] C. J. Lumsden, E.O. Wilson Genes, Mind, and Culture: The Coevolutionary Process, Cambridge, Harvard University Press, 1981.

[30] M. A. Arbib, Your soul is a distributed property of the brains of yourself and others, «Reti, saperi, linguaggi: Italian Journal of Cognitive Sciences» III/1, 2016, pp. 5-30.

[31] I. Colagè, N. Gobbi, From distributed souls to relational, dynamical and distributed self-narratives, «Reti, saperi, linguaggi: Italian Journal of Cognitive Sciences» III/2, 2016, pp. 253-260 (cit. pp. 258-259).

[32] C.G. Jung, Simboli della Trasformazione, tr. it., Torino, Bollati-Boringhieri, 2012, cit., p.109.

[33] Id., Life after death, in Memories, Dreams, Reflections, New York, Random House, 1961.

[34] E. Morin, La Fraternité, pourquoi?, Paris, L’Aube, 2019.

[35] E. Morin, La voie, pour l’avenir de l’humanité, Paris, Fayard, 2011.

[36] A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Roma, Newton Compton, 2006.

 

 

 


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