Corpi, arte e omoerotismo: l’ekphrasis poetica in “Sight and Song” (1892) di Michael Field

di Silvia Romano

 

1. Introduzione

Con lo pseudonimo di Michael Field, le poetesse inglesi Katharine Bradley (1846-1914) e Edith Cooper (1862-1913), furono molto attive nell’ambito dell’estetismo vittoriano componendo una straordinaria quantità di versi tra raccolte poetiche e drammi storici. Nel 1892 pubblicarono una raccolta di poesie dal titolo Sight and Song, ispirata a una serie di dipinti che avevano colpito l’attenzione dalle due poetesse nei maggiori musei londinesi, ma anche nel continente europeo. Bradley e Cooper erano già note al pubblico per aver pubblicato, nel 1889, sempre con il nom de plume di “Michael Field”, un volume intitolato Long Ago che comprendeva componimenti poetici scritti a partire dai frammenti originali di Saffo, tradotti dal greco e rielaborati celebrando esplicitamente, e audacemente per l’epoca, l’amore tra donne. Anche in Sight and Song il concetto di traduzione è fondamentale quanto lo era stato per Long Ago, sebbene in questo caso non si tratti di traduzioni da una lingua ad un’altra, bensì di reinterpretazione delle immagini in forma scritta. Lo scopo principale di questa seconda raccolta poetica, come spiegano “le Fields” stesse nella Prefazione al volume, è «to translate into verse what the lines and colours of certain chosen pictures sing in themselves».[1] Risulta quindi evidente che la complessità sinestetica del linguaggio di Michael Field suggerisce l’esperienza sensoriale multidimensionale del guardare qualcosa e rispondere a ciò che l’immagine restituisce a chi la guarda;[2] qualcosa che le due poetesse cercano di catturare inizialmente attraverso le diverse modalità di scrittura utilizzate come terreno preparatorio di Sight and Song – il loro diario condiviso, la loro intensa corrispondenza così come i versi stessi – . In questa loro seconda raccolta di poesie Bradley e Cooper proseguono il progetto, cominciato con Long Ago, di raccontare la loro esperienza lesbica creandosi appositamente degli spazi poetici alternativi in cui celebrare l’amore e il desiderio tra donne; ma questa volta, anziché rifarsi alla tradizione greca, le Fields danno voce ai corpi femminili dipinti dai Maestri del Rinascimento italiano, associando l’esperienza omosessuale all’ermeneutica delle immagini. Questo saggio si propone di analizzare alcuni esempi tratti da Sight and Song utilizzando la metodologia degli studi di genere per mostrare come i versi di Michael Field riescano a dare visibilità al desiderio lesbico animando i corpi dipinti e facendoli diventare soggetti attivi per un potenziale pubblico di lettrici. Da un punto di vista femminista e queer, le poesie che compongono Sight and Song possono, inoltre, essere considerate una forma di resistenza ai discorsi ideologici vittoriani sul sesso, il genere e l’estetica.[3] In tal modo, come è stato notato, queste autrici-spettatrici che «swore / Against the world to be / Poets and lovers evermore»,[4] possono essere considerate anticipatrici della critica femminista al sessismo e l’eteronormatività.[5]

La copertina del volume Sight and Song originariamente riportava l’inscrizione:

Written by Mi-

chael Field

enunciando tipograficamente nella biforcazione del nome la doppia autorialità della raccolta e la visione condivisa dei componimenti codificati al suo interno.[6] La divisione in sillabe del nome Michael, inoltre, ricorda foneticamente l’espressione “my call”, cioè la “mia decisione”, riportando il discorso ad un soggetto volontariamente univoco, al singolare, che ha scelto di essere espressione di una sola voce narrante. Questo espediente tipografico del soggetto spezzato che ritorna verso se stesso ricorda la strategia della barra obliqua nell’ «i/o» narrante de Il corpo lesbico della scrittrice femminista francese degli anni Settanta Monique Wittig. A mio avviso la lettura di Deborah Ardilli della barra obliqua nel testo di Wittig come «frattura intenzionalmente provocata, come deliberata volontà di non-coincidenza di “i/o” che, invece di fissarsi sul registro privativo della mancanza, si apre in un soggetto infinitamente variato e sufficientemente potente da riassorbire, trasfigurare e all’occorrenza, risputare il corpo mitico di una tradizione costituita sulla sua cancellazione», può costituire una chiave di lettura non solo del nome sillabato in copertina, ma in generale per la poetica che percorre tutto il volume di  Sight and Song. Infatti, a questo proposito, Jill Ehnenn scrive che la poesia di Michael Field «gesture[s] toward a series of infinite erasures only to critique them».[7]

 Il saggio intende, inoltre, mostrare come la poesia ecfrastica di Sight and Song sia riuscita a ribaltare, in un contesto dominato dagli uomini, con ben oltre mezzo secolo di anticipo, quel male gaze denunciato da Laura Mulvey nel 1975 con il suo saggio fondamentale Visual Pleasure and Narrative Cinema. L’analisi di Sight and Song attraverso la lente degli studi di genere servirà a evidenziare il ruolo di rilievo assunto da Bradley e Cooper nella storia della letteratura lesbica nel tentativo di espandere il canone poetico tardo-vittoriano al fine di includere anche Michael Field.

 

2. Studi sull’omosessualità nel Vittorianesimo

Facendo una breve panoramica dei Victorian Studies in chiave queer, si potrebbe iniziare dicendo che è stato solo in seguito alla pubblicazione di Storia della sessualità di Foucault in cui il filosofo identificava il Diciannovesimo secolo come momento chiave per la nascita dell’idea moderna di sessualità, marcando in particolare con la fine del Diciannovesimo secolo la nascita dell’omosessualità come precisa identità sessuale con i suoi codici rappresentativi e il suo tessuto sociale, che in ambito letterario tra gli anni Ottanta e Novanta sono apparsi i primi studi che analizzavano il Decadentismo e l’Estetismo vittoriano in termini queer. Un esempio è lo studio di Richard Dellamora Masculine Desire (1990) che portò alla luce il desiderio omosessuale maschile come componente fondamentale dell’estetica della scrittura di Oscar Wilde. Lo studio di Dellamora identificò addirittura un canone di scrittori omosessuali quale cardine dell’Estetismo vittoriano: Pater, Swinburne, Symonds, Tennyson e, ovviamente, Wilde. Certamente dopo lo studio di Dellamora altri hanno fatto seguito nell’analisi delle strategie letterarie vittoriane di autorappresentazione dell’omosessualità, tra cui l’interesse per il passato, l’Ellenismo in particolare, come punto di riferimento per la creazione di spazi che giustificassero l’esistenza dell’omosessualità fin da civiltà dal grande prestigio culturale quale quella dell’antica Grecia. In questa direzione, infatti, va lo studio di Linda Dowling del 1994 Hellenism and Homosexuality in Victorian Oxford nel quale la studiosa rintraccia nei riferimenti all’antica Grecia delle opere, tra gli altri, di Pater, Symonds e Wilde la codificazione di un linguaggio che rendesse l’omoerotismo facilmente identificabile a un pubblico di intellettuali omosessuali[8] negli anni del famigerato Labouchère Amendment introdotto nel 1885. Solo nel 1991 con lo studio di Elaine Showalter intitolato Sexual Anarchy si comincerà poi a riflettere sulla vera e propria ridefinizione del genere sia in ambito maschile che femminile a cavallo tra il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo. Showalter rivelerà inoltre quel segreto ma forte legame tra la scrittura di Pater e Wilde e la letteratura prodotta dal movimento della New Woman.[9] Tuttavia, bisognerà aspettare la fine degli anni Novanta del Novecento per vedere emergere alcuni studi sulla produzione letteraria delle donne nel Vittorianesimo, in particolare all’interno dell’Estetismo, in un’ottica di Queer Studies e di conseguenza studiare l’importanza delle diverse modalità di espressione del desiderio da un punto di vista anche femminile. Di cruciale importanza per questo discorso sarà il lavoro di Kathy Alexis Psomiades e Talia Schaffer Beauty’s Body: Femininity and Representation in British Aestheticism (1997), seguito da un volume collettaneo curato dalle stesse, Women and British Aestheticism (1999), nel quale verrà finalmente cambiata la prospettiva maschile dominante, riconoscendo le donne come soggetti attivi nella produzione culturale dell’Estetismo inglese. Con l’inizio degli anni Duemila l’attenzione si sposterà su una serie di scrittrici marginalizzate, tra cui Olive Custance, Ouida,[10] A. Mary F. Robinson, Vernon Lee (quest’ultima, in particolare, da autrice minore diventa voce autorevole come saggista, filosofa, critica d’arte e classicista). È, quindi, in questo quadro di riscoperta e reinserimento nel canone letterario inglese di autrici e classiciste vittoriane dimenticate che si aggiungono gli studi su Michael Field, illuminando con una nuova prospettiva, lesbica e femminista, l’ambito degli studi di genere applicati alla letteratura fin de siècle. A iniziare la discussione sulla visibilità del desiderio lesbico tra Bradley e Cooper sarà l’articolo di Chris White del 1990 ‘Poets and lovers evermore’: Interpreting female love in the poetry and journals of Michael Field, al quale farà seguito il pionieristico capitolo dedicato a Michael Field nel volume di Yopie Prin, Victorian Sappho (1999). Successivamente, a consacrare l’importanza di Michael Field nella storia della letteratura inglese sarà la monografia di Marion Thain Michael Field: Poetry, Aestheticism and the Fin de Siècle (2007).[11]

 

3. Sight and Song, la voce dei corpi dipinti

La Prefazione a Sight and Song annuncia l’intento, almeno apparente, delle autrici di voler guardare l’arte evocando quell’«occhio innocente» teorizzato da John Ruskin nel suo Elements of Drawing (1857).[12] Le autrici dichiarano infatti:

 

The aim of this little volume is, as far as may be, to translate into verse what the lines and colours of certain chosen pictures sing in themselves; to express not so much what these pictures are to the poet, but rather what poetry they objectively incarnate. Such an attempt demands patient, continuous sight as pure as the gazer can refine it of theory, fancies, or his mere subjective enjoyment. […] The effort to see things from their own centre, by suppressing the habitual centralisation of the visible in ourselves, is a process by which we eliminate our idiosyncrasies and obtain an impression clearer, less passive, more intimate.[13]

 

Mentre l’ekphrasis del volume di Michael Field potrebbe ricordare opere precedenti come i Sonnets for Pictures di Dante Gabriel Rossetti, Sight and Song è in realtà un esperimento originale che punta maggiormente alla critica della soggettività dell’esperienza estetica di Walter Pater e che replica al modo in cui le immagini femminili storicamente sono state date in pasto allo sguardo del pubblico maschile.[14]
Tuttavia, l’intento iniziale molto presto lascia spazio all’interpretazione personale. Influenzate, infatti, dalle parole di The Renaissance in cui Pater, teorico dell’Estetismo, afferma «What is this song or picture, this engaging personality presented in life or in a book, to me», Bradley e Cooper terminano la loro Prefazione con:

 

When such effort has been made, honestly and with persistence, even then the inevitable force of individuality must still have play and a temperament mould the purified impression:

“When your eyes have done their part,

Thought must length it in the heart”.[15]

 

Come nota Ana Parejo Vadillo, che ha descritto i componimenti in Sight and Song come «traduzioni trasparenti», nella Prefazione al volume vi è un movimento di «objective enjoyment […] followed by subjective jouissance» col quale le autrici riescono, da un lato, a dichiarare impossibile la neutralità dello sguardo proposta da Ruskin e, dall’altro, a criticare l’estetica soggettiva concepita da Walter Pater che cancella l’esperienza degli altri osservatori. In questo modo, continua Vadillo, Michael Field propone un’estetica in due fasi per permettere l’autonomia sia dell’oggetto d’arte che di chi lo guarda.[16] Proprio nell’esperienza estetica consiste la differenza fondamentale tra la teoria di Pater e la poetica di Michael Field. Infatti, spiega Vadillo, sebbene sia indubbia l’ammirazione delle Field per Pater e sia innegabile che condividano con lui l’interesse per la figura dello spettatore, le autrici rifiutano il modo in cui secondo Pater lo spettatore/critico vive l’esperienza dell’opera d’arte. Inoltre, per Michael Field l’arte visiva può essere “tradotta” in letteratura: ed è proprio il concetto che le forme d’arte possano essere tradotte al di là del divario mediale a collocare le autrici in una posizione diametralmente opposta a quella di Pater. Infatti, all’inizio del suo saggio The School of Giorgione Pater afferma: «it is the mistake of much popular criticism to regard poetry, music, and painting – all the various products of art – as but translations into different languages of one and the same fixed quantity of imaginative thought, supplemented by certain technical qualities».[17] In realtà, nonostante il giudizio di Pater, il volume di Field si colloca chiaramente in una genealogia di scrittura ecfrastica che risale alla classicità, fu spesso utilizzata durante il Rinascimento e trovò nuovo vigore nel Diciannovesimo secolo, quando le cosiddette “arti sorelle” ricominciarono a dialogare tra di loro.[18]

Le affinità tematiche tra il testo di Pater e la raccolta poetica di Field si possono rintracciare nel fatto che entrambi i lavori sono una sorta di “viaggio nel tempo” nella cultura europea.[19] L’analisi di Pater sul Rinascimento si muove infatti dalla Francia medievale alla Germania settecentesca, passando per l’Italia del sedicesimo secolo. Analogamente, le poesie ecfrastiche sul Rinascimento di Bradley e Cooper portano la coppia di autrici in giro per l’Europa attraverso musei e gallerie d’arte.

Uno dei componimenti in Sight and Song “traduce” uno dei più famosi dipinti della storia dell’arte, ovvero la Gioconda di Leonardo:

 

Historic, side-long, implicating eyes;

A smile of velvet’s lustre on the cheek;

Calm lips the smile leads upward; hand that lies

Glowing and soft, the patience in its rest

Of cruelty that waits and doth not seek

For prey; a dusky forehead and a breast

Where twilight touches ripeness amorously:

Behind her, crystal rocks, a sea and skies

Of evanescent blue on cloud and creek;

Landscape that shines suppressive of its zest

For those vicissitudes by which men die.[20]

 

I versi di Field sembrano fare da controcanto a quanto lo stesso Pater aveva scritto a proposito della Gioconda nel 1835 in Renaissance:

 

The presence that rose thus so strangely beside the waters, is expressive of what in the ways of a thousand years men had come to desire. Hers is the head upon which all “the ends of the world are come,” and the eyelids are a little weary. It is a beauty wrought out from within upon the flesh, the deposit, little cell by cell, of strange thoughts and fantastic reveries and exquisite passions. […] She is older than the rocks among which she sits; like the vampire, she has been dead many times, and learned the secret of the grave; and has been a diver in deep seas… and all this has been to her but as the sound of lyres and flutes, and lives only in the delicacy with which it has moulded the changing lineaments and tinged the eyelids and the hands.[21]

 

Anche John Addington Symonds descrive il sorriso della Monna Lisa come «symbol of the secret of the world, an image of the universal mystery», ridotta insomma a un sorriso che eccede la dimensione umana. Cancellati i riferimenti umani, l’immagine diventa depositaria di paure, ansie e ossessioni maschili.[22] In una prospettiva opposta, invece, nella Gioconda di Michael Field vediamo una modalità di traduzione poetica che tenta di privilegiare il primato dell’oggetto attraverso il distanziamento dallo spazio circostante.[23]
Accentuando questa distanza tra oggetto e soggetto (che in questo caso è il “traduttore”), Field trascrive in versi quello che la studiosa Marion Thain descrive come l’impossibile combinazione di spazi e tempi caratteristica del poema ecfrastico. Il dipinto, continua Thain, è una questione di organizzazione spaziale (sincronica), mentre il poema è tipicamente associato a una narrazione o una struttura lineare (diacronica); quindi «the impossible combination of timelessness and temporality is the paradoxical key to ekphrasis».[24] L’enfasi del componimento sugli oggetti – statici – rispetto al movimento della narrazione sembra far sparire dalla scena le autrici. Infatti, il primo verso comincia con la descrizione del soggetto dell’opera d’arte, con i suoi «Historic, side-long, implicating eyes». La parola «historic» crea una distanza dell’oggetto dal traduttore-poeta, lontano nella storia. Nella serie petrarchesca di parti del corpo, gli occhi, la guancia, le labbra e le mani, Bradley e Cooper rivelano la costruzione ideologica del genere presentando allo spettatore una femme fatale in cui la femme non esiste se non come costellazione di dispositivi formali.[25] In questo modo la poesia di Field imita, con una sottile ironia, quella tradizione storica che vede la Monna Lisa come un concentrato di fantasie maschili, anziché come una donna reale.[26] Come spiega bene Deborah Ardilli nella Prefazione a Il corpo lesbico di Monique Wittig: «decomporre il corpo in parcelle infime, s/marcarlo dalla valorizzazione selettiva (labbra, seno, glutei, apparato riproduttivo) che compongono il mito della Donna, equivale a rianimarlo, a restituirgli una vitalità»[27] al di fuori della simbologia eterosessuale costruita dagli uomini.

Nella seconda parte del componimento l’attenzione si sposta dalla descrizione della fronte e del petto al paesaggio circostante fatto di «crystal rocks, a sea and skies / of evanescent blue on cloud and creek» (vv. 8-9). Questa lista dettagliata di oggetti non ha verbi attivi né predicati; appaiono, invece, frasi verbali, descrizioni degli oggetti. Per esempio, il componimento non racconta la Gioconda sorridente, piuttosto i versi restituiscono un’immagine della Gioconda con il sorriso che «leads upward» (v. 3) Sono proprio queste frasi verbali a darci quel senso della mancanza temporale, di staticità nella traduzione poetica. Ne consegue che la poesia canta di eventi che sono già avvenuti indipendentemente dall’osservatore che viene reso invisibile e inattivo per favorire la visibilità di Monna Lisa, non più ridotta a mistero inquietante.

 

4. Visibilità dello sguardo lesbico

Nel suo saggio del 1975 Visual Pleasure and Narrative Cinema, com’è noto, Laura Mulvey elabora una critica fondamentale della rappresentazione visiva delle donne in cui dimostra come le immagini diano forma all’inconscio culturale depotenziando le donne stesse: «Woman stands in patriarchal culture as a signifier for the male other, bound by a symbolic order in which man can live out his fantasies and obsessions […] by imposing them on the silent image of woman…the bearer, not maker of meaning».[28] Possiamo applicare questa prospettiva metodologica alla lettura dei testi di Sight and Song che di fatto anticipano l’analisi di Mulvey e denotano la coscienza protofemminista di Bradley e Cooper: le poetesse compresero che scardinare il canone dominante del male gaze rappresentava un’efficace arma politica contro lo sguardo patriarcale a cui sono sottoposte le donne.[29] Con consapevolezza e ironia, l’11 maggio del 1892 a proposito dell’uscita di Sight and Song, Katharine Bradley annota sul diario: «The Sight is fussy & assertive, & the Song soon fades away… We have written the queerest little book in the world. Our teeth chatter with fear».[30]

In contrapposizione all’interpretazione tradizionale delle arti visive, Michael Field costruisce degli speaking-spaces per i personaggi femminili e le modelle degli artisti, spazi concepiti appositamente per essere percepiti da un pubblico di lettrici e spettatrici. A proposito delle modelle degli artisti, Linda Nochlin documenta come, tra il Rinascimento e la fine del Diciannovesimo secolo, lo studio del nudo fosse una parte fondamentale dei corsi di arte per giovani artisti, soprattutto nella produzione di un’opera che aspirasse a guadagnarsi un posto di rilievo nella storia della pittura – considerata la più alta tra le arti. In quel periodo, di conseguenza, sia i singoli artisti che le scuole d’arte facevano largo uso di modelli nudi, sia uomini che donne. Tuttavia, alle aspiranti artiste non era consentito lo studio del corpo dal vero tramite nudi, quindi alle donne veniva negata la possibilità di creare opere d’arte. La maggior parte delle pittrici era perciò costretta ad accontentarsi di dipingere soggetti considerati minori, ma più consoni alle donne, come nature morte, paesaggi o ritratti.[31] Non sorprenderà quindi sapere che proprio nel Diciannovesimo secolo, e fino al 1907 quando fu chiuso per ragioni di ordine pubblico, l’obitorio di Parigi, La Morgue, diventò una tappa fondamentale non solo per gli scrittori – tra cui Dickens e Browning, per citarne alcuni[32] – ma per le artiste e le scrittrici che volevano studiare l’anatomia dei corpi dal vero. Quel teatro di cadaveri anonimi in attesa di essere identificati fu visitato anche da Bradley e Cooper nel 1891, proprio al loro arrivo a Parigi per l’inizio del tour europeo che avrebbe poi dato vita a Sight and Song. A sottolineare quanto fosse stata importante quella visita alla Morgue sono gli appunti di Edith Cooper sul diario condiviso in cui, oltre alla descrizione dettagliata dei corpi osservati quel giorno, si legge:

 

[…] It has been our worship; that temple of death, to us the temple of the living God. Liberte, egalite, fraternite – true there – realised – the gray marred faces within laid brotherlike freed from the mesh of life & equal at last in their destiny – bound all these voyages for God.[33]

 

Quanto abbia influito l’osservazione dei cadaveri all’obitorio parigino sulla creazione poetica di Bradley e Cooper è testimoniato dal fatto che un terzo dei componimenti di Sight and Song riguarda storie bibliche di martiri e torture mitologiche, tra cui: The Death of Procris, St. Jerome in the Desert, Apollo e Marsyas, The Blood of the Redeemer; vi sono anche due liriche dedicate a San Sebastiano trafitto dalle frecce e una alla passione di Santa Caterina alla ruota, per citarne alcuni. Se applichiamo la definizione di notional ekphrasis fornita da John Hollander in The Gazer’s Spirit: Poems Speaking Silent Works of Art (1995) come descrizione di un oggetto artistico immaginario, in queste liriche la strategia ecfrastica di Michael Field diventa strumento rivitalizzante nello sforzo di dare rilievo alla morte di personaggi mitologici o narrazioni astoriche di martiri ricreate dalla mente degli artisti. Sebbene questo possa in realtà richiamare la figura retorica della prosopopea, nel senso in cui la usa il poeta Robert Browning, mentore di Michael Field, cioè come descrizione di oggetti immaginari, non bisogna dimenticare che le liriche di Field hanno come riferimento dipinti realmente esistenti. Oltretutto, lontane dallo spirito necrofilo dei poeti Decadenti, le Fields si avventurano nella descrizione verbale della morte, pur sapendo che essa rappresenta la parte più impegnativa del progetto ecfrastico. Nel rappresentare la morte nelle scene di Santi, martiri e simili, gli artisti mettono un punto fermo in una narrazione spaziotemporale precisa che, di conseguenza, diventa impossibile da tradurre nella dinamicità di un discorso verbale. Tutto ciò rappresenta un problema filosofico di cui le Michael Field sono consapevoli, come spiega Janis McLarren Caldwell in Observing the Dead in Michael Field’s Ekphrastic Poetry. Allora perché, prosegue la studiosa, le Field insistono donchisciottescamente nell’elaborazione scritta di qualcosa che al massimo può rievocare la memoria di corpi resi fisicamente presenti a pieno solo nella pittura?[34] La risposta, a mio modo di vedere, si potrebbe trovare in quel cambiamento della percezione della morte e dei cadaveri nel Diciannovesimo secolo, documentato da Vanessa Schwartz, testimoniato anche dall’inserimento della Morgue nelle guide turistiche inglesi in quel periodo.[35] Mentre per gli artisti rinascimentali la morte del corpo era metafora di altre cose – la fede, il mito –, le Field invece posizionano il corpo senza vita all’interno del contesto spettacolarizzante della morte, aldilà della narrazione biblica, mitologica o agiografica, trasformandolo da eterno in effimero, normale, come qualcosa di cui il pubblico era già abituato a leggere sui giornali, dalle informative della polizia e perfino abituato a vedere al museo delle cere.[36]

Un’altra presenza importante in Sight and Song è quella delle diverse Venus che appaiono in ben sei dei trentuno componimenti della raccolta, e che costituisce il centro dell’esperimento ecfrastico del volume.[37] Anche questo dimostra l’impegno delle autrici nel mettere al centro delle loro “traduzioni” figure femminili indipendenti. Tre liriche sono dedicate alle opere di Botticelli osservate agli Uffizi e alla Galleria dell’Accademia: The Birth of Venus, Spring e The Venus in Botticelli’s Spring; The Sleeping Venus, invece, traduce il dipinto di Giorgione osservato alla Dresden Gallery. A queste si aggiungono Venus and Mars e Venus, Mercury and Cupid. Il viaggio in Italia segna un momento importante nella vita di Bradley e Cooper, ansiose di vedere con i propri occhi tutta una serie di opere d’arte consigliate loro dall’amico e autorevole critico d’arte, Bernard Berenson. Come si può immaginare, la figura di Venere in questo contesto è emblematica del piacere omoerotico che elude la norma eterosessuale. In The Birth of Venus, ad esempio, si noterà un crescendo dai termini sensuali dalla seconda metà della prima strofa all’immagine omoerotica della seconda strofa in cui entra in scena Flora a coprire Venere:

Coiling hair in loosened shocks,

Sways a girl who seeks to bind

New-born beauty with a tress

Gold about her nakedness.

 

And her chilled, wan body sweet

Greets the ruffled cloak of rose,

Daisy-stitched, that Flora throws

Toward her ere she set her feet

On the green verge of the world:

Flora, with the corn-flower dressed,

Round her neck a rose-spray curled

Flowerless, wild-rose at her breast,

To her goddess hastes to bring

The wide chiton of the spring.[38]

L’originalità del componimento risiede nello spostamento dell’attenzione dalla descrizione sensuale iniziale di Venere all’incontro con Flora, riletto in chiave lesbica come uno scambio erotico tra le due figure femminili. Anziché mettere in mostra Venere, il componimento mette in scena esplicitamente il desiderio lesbico.[39] Flora, dea romana della primavera, porta con sé tutta la simbologia floreale dei genitali femminili. Se già nella raccolta di poemi saffici Long Ago uno dei temi dominanti era proprio la simbologia floreale – in particolare le ghirlande come immagini di lesbismo – in questo componimento Michael Field dà corpo al desiderio lesbico nella figura e nel gesto di Flora che corre a coprire Venere. Flora sembra quasi voler proteggere Venere coprendone la nudità davanti a Zefiro e Borea «breathing hard»; l’accoppiata delle due divinità maschili che simultaneamente soffiano «one in wonder, one desire» sulla conchiglia su cui Venere raggiunge la riva suggerisce l’idea di collettività maschile dominante sotto la quale “nasce” la dea dell’amore, simbolo proprio di quella femminilità eteronormata alla quale Bradley e Cooper si sottraggono. Nel 1890 Edith Cooper annota sul diario un commento di Katharine Bradley sul dipinto di Botticelli in cui, riferendosi a Venere, si legge: «[…] she does not even by amorous bend of the head indicate her knowledge of that lusty swelling male force on the left. […] Zephyrus is covetous and blundersome».[40] Tra le due tipologie di desiderio, quello maschile e quello femminile, nella reinterpretazione di Field prevale quello omoerotico femminile, corredato di immagini floreali e incarnato da Flora con il suo gesto di accoglienza. L’idea di movimento data dall’incontro con Flora termina alla fine del componimento con una Venere triste e immobile che mostra «Tearful shadow in her eyes» e priva di amore: «by the sea-wind scarsely moved / She is Love that hath not loved» (v. 40). Flora, come il trascorrere delle stagioni, è già andata via lasciando l’altra dea sola e malinconica. L’interpretazione del dipinto di Botticelli da parte di Bradley e Cooper è del tutto diversa da quella di autori e critici loro contemporanei. Ad esempio, Bernard Berenson nel suo Florentine Painters of the Renaissance scrive: «the movement is directly life-communicating. The entire picture presents us with the quintessence of all that is pleasurable to our imagination of touch and of movement. How we revel in the force and rashness of the wind, in the life of the wave».[41] Analogamente, anche John Addington Symonds su Botticelli si esprime in maniera entusiastica dicendo «it would be impossible for any painter to design a more exquisitely outlined figure than that of his Venus, who, with no covering but her golden hair, is wafted to the shore by the zephyrs».[42] Come abbiamo visto, in Sight and Song la scena botticelliana è tutt’altro che serena e non è un caso che anche la critica d’arte e saggista Vernon Lee, contemporanea di Michael Field, in Renaissance Fancies and Studies veda nella figura di Venere un personaggio tutt’altro che trionfante, tristemente riluttante nella sua bellezza diafana.[43]

Questo sentimento di tristezza che avvolge The Birth of Venus si ritrova associato alla figura di Venere anche in un altro componimento riferito alla Primavera di Botticelli, Spring. Già in apertura il componimento mostra un’affermazione categorica: «Venus is sad» (v. 1) e poi procede velocemente a inquadrare Flora che stavolta appare «curst» e «uncertain-lipped» (v. 21), poi nel testo si chiede se, come Eos, anche lei lascerà Venere per il fascino maschile: «Will she deign / To toss her double-roses, or refrain?» (v. 23). Nella strofa successiva le Tre Grazie danzano mostrando la loro giovinezza verginale e il componimento prosegue con un’altra domanda: «does it touch their Deity with ruth / That they must fade when Eros speeds his dart? / Is this the grief and forethought of her heart? » (v. 24).

La stessa atmosfera malinconica si ritrova ancora nel componimento Figure of Venus in Spring, nel quale la domanda è riformulata direttamente dalla protagonista eponima, «simple lady full of heavy thought», la quale si chiede se «Must her coming cause / Their stately freedom quite to disappear?» (vv. 11-12). Nell’economia poetica di Michael Field queste Veneri tristi delle riscritture ecfrastiche dei dipinti di Botticelli mostrano la rottura dei legami tra donne ad opera del desiderio maschile in un contesto culturalmente eteronormato.

Per chiudere la panoramica delle Venus in Sight and Song come soggetti autodeterminati, mi interessa analizzare brevemente anche The Sleeping Venus ispirato all’omonimo quadro di Giorgione. Come nota Angela Leighton, la lirica «shows the extent to which “art for arts sake,” with its implication of pleasure for pleasure’s sake, free[s] Michael Field from a female heritage of repressed or displaced eroticism».[44] Se negli altri componimenti lo sguardo dei soggetti dipinti è rivolto agli altri soggetti partecipi alla scena o instaura attivamente un dialogo con chi guarda, in questo caso lo sguardo della Venere è rivolto a se stessa, superando straordinariamente l’economia della visione fallogocentrica tradizionale (osservatore maschile, donna oggetto dello sguardo).[45] Pionieristicamente le Michael Field scelgono il poema più lungo della raccolta per descrivere un atto di autoerotismo femminile, ma lungi dall’usare una prospettiva voyeuristica, il potenziale pubblico femminile può invece leggere in questa Venere un soggetto desiderato che desidera a sua volta. L’esperimento di Michael Field conduce così a una doppia triangolazione tra le due autrici che osservano il quadro e chi legge, e poi di nuovo tra chi legge, il quadro e il poema e così via in molteplici combinazioni.[46] La mise-en-scène del riferimento pittorico è data da «the verdant swell / Of a soft country flanked with mountain domes» (vv. 2-3). Il soggetto è descritto con parole semplici come se fosse un paesaggio naturale: infatti, a questo proposito, le scrittrici annotano sul loro diario le parole «as simple as our fields».[47] L’esperimento sullo sguardo è portato agli estremi se pensiamo che sia chi legge che chi guarda entra nel processo di creazione del significato. «No one watches her», scrivono le poetesse sul diario, ma ovviamente sono loro stesse a guardarla e noi attraverso di loro. Metaforicamente, inoltre, la vista è collegata alla sessualità, infatti le palpebre chiuse di Venere sono paragonate a «full buds that stay / Through the tranquil, summer hours, / Closed although they might be flowers» (vv. 80-82) sensualmente allusive come le labbra rosse che «shut in / Gracious secrets» che fanno parte dell’«oval space» del viso appoggiato al mantello descritto come di colore «ruddy pomegranate».

 Riprendendo quanto osservato da Kathy Alexis Psomiades sulle immagini femminili erotizzate alla fine del Diciannovesimo secolo, ovvero la tendenza a considerare quelle immagini come fruibili in un solo senso, con l’effetto di riaffermare la norma eterosessuale, quando invece uno spettro più ampio di osservatori è in grado di fruire di quelle immagini in modi diversi, possiamo concludere che proprio Michael Field in qualità di coppia di donne lesbiche, spettatrici/poetesse, nei panni di un singolo autore maschile, ci offre un modello radicalmente diverso di fruizione visiva dei corpi rappresentati in un’opera d’arte.[48] Lo sguardo del desiderio lesbico si appropria della figura di Venere attraverso la finzione della penna maschile, quasi parodiando le dinamiche di potere fallogocentriche osservatore/osservata, facendo di Venere la dea dell’amore tra donne. Irrompe, quindi, nel campo visivo, emergendo dall’invisibilità del male gaze in cui era reclusa, la sessualità lesbica. Un esempio chiarissimo di come Bradley e Cooper mettano al centro del componimento l’autodeterminazione di Venere attraverso l’autoerotismo si trova nel passaggio centrale, che lascia poco spazio ai sottintesi:

Her hand the thigh’s tense surface leaves,

Falling inward. Not even sleep

Dare invalidate the deep,

Universal pleasure sex

Must unto itself annex –

Even the stillest sleep; at peace,

More profound with rest’s increase,

She enjoys the good

Of delicious womanhood.[49]

Come nota Ehnenn, questi versi mostrano forse l’unico esempio positivo di descrizione della masturbazione femminile in epoca vittoriana.[50] Bradley e Cooper riescono nell’operazione senza bisogno di elencare parti del corpo né, nonostante i dettagli sensuali nelle altre strofe, ricorrere a uno sguardo che si fa lascivo od osceno. Tuttavia, la lunghezza – giudicata eccessiva – del poema e la complessità della versificazione, oltre alla dizione stravagante per la presenza di termini forse inusuali anche per l’epoca, sono stati motivo di contestazione dell’efficacia del componimento.[51] Secondo me, invece, proprio la lunghezza del poema e l’irregolarità della metrica e del ritmo, quasi singhiozzante per la varietà di accenti e cadenze, rendono efficacemente la riscrittura, nei termini di un atto autoerotico, del dipinto di Giorgione e l’immaginario appagamento sessuale. Non è la descrizione pornografica e sbrigativa ad uso e consumo di un pubblico maschile, è il manifesto autoerotico di due donne lesbiche che riscrivono la storia dell’arte fuori dal dogma eterosessuale del canone letterario dominato dagli uomini. Inoltre, sebbene Venere sia sempre l’oggetto/soggetto dello sguardo, essa non diventa mai merce di scambio. Infatti, quando Bradley e Cooper appuntano sul loro diario che nessuno la guarda, intendono specificatamente che nessun uomo la guarda, giacché loro come autrici-amanti-spettatrici (e quindi potenzialmente anche le altre donne, le altre lesbiche) sono comunque presenti nel poema senza invadenza: «while we gaze it seems as though / She had lain thus… [since] the ages far ago» (v. 104). Il componimento prosegue promettendo che Venere, sia come donna reale, sia come simbolo di omoerotismo e di autoerotismo, continuerà a riposare «In communion with the sweet / Life that ripens at her feet» (v. 105).

 

Conclusioni

La cultura popolare alla fine del Diciannovesimo secolo ci ha lasciato numerosi, spesso parodistici, esempi di come apparivano le donne dell’epoca – dalla New Woman coi libri a cavallo di una bicicletta alla High Art Maiden dalla mascella importante coi boccoli e le piume. Ma viene da chiedersi in che modo le donne tardo-vittoriane fruivano delle opere d’arte? Come guardavano alle altre donne o alla storia dell’arte e a tutto ciò che ad essa era associato? E in che modo tutto ciò influiva sul modo in cui le donne guardavano se stesse? Una risposta potrebbe risiedere in quell’attrito rappresentativo dato dall’ecfrastica, spesso reso possibile grazie all’evocazione di oggetti specifici permeati di estetica o di valenze di genere. In tutto ciò, Michael Field esercita il proprio sguardo, critica la cancellazione delle donne e delicatamente offre delle alternative.[52] La poesia ecfrastica lascia la responsabilità dell’interpretazione a chi guarda, permettendo allo spettatore – uomo o donna che sia – di giungere a conclusioni, ma solo chi guarda con spirito libero dal peso della tradizione potrà arrivare a comprendere che le rappresentazioni precedenti non erano a beneficio che di una sola parte. Bradley e Cooper, nella persona di Michael Field, colgono l’opportunità di rifiutare le interpretazioni tradizionali della bellezza dei corpi femminili e ne suggeriscono visioni alternative, creando – ancora una volta, come per Long Ago – uno spazio che le rappresenti.

I componimenti ecfrastici di Sight and Song riscrivono, rivedendole, le relazioni tra i corpi nei dipinti, ma anche tra quelle figure femminili e le donne che fruiscono della visione di quei quadri. A loro si aggiungono coloro che leggono i componimenti ed evadono dal contesto eteropatriarcale preferendo il desiderio femminile. Le nuove relazioni generate dai versi di Sight and Song hanno implicazioni significative nell’immaginare una comunità femminile interpretativa del sottotesto lesbico della raccolta che somigli allo spazio femminile co-autoriale in cui le stesse Bradley e Cooper agiscono. Nella loro esplorazione della sessualità lesbica tramite l’arte, le Michael Field non usano lo sguardo univoco e monoculare dell’uomo eterosessuale bensì lo sguardo binoculare di due donne che mettono in atto il desiderio lesbico scrivendo con uno pseudonimo maschile. Nella persona di Michael Field si costituisce uno spazio, un “campo” – giocando, non a caso, col significato di field – di incontro culturale, che permette l’abilitazione delle traduzioni creative tra l’arte figurativa e la poesia e la giustapposizione delle soggettività.[53] Non a caso, Bradley e Cooper descrivono la propria collaborazione creativa come un «mosaic work – the mingled, various product of our two brains».[54]

 

 

[1] M. Field, Sight and Song, London, Elkin Mathews and John Lane, 1892, p. v.

[2] H. Fraser, Women Writing Art History in the Nineteenth Century. Looking Like a Woman, Cambridge, Cambridge University Press, 2014, p. 83.

[3] J. Ehnenn, Looking Strategically: Feminist and Queer Aesthetics in Michael Field’s “Sight and Song”, «Victorian Poetry», XLII, 3 Fall, 2004, p. 213.

[4] M. Field, “Prologue,” Underneath the Bough, London, 1893, vv. 4-6.

[5] J. Ehnenn, Looking Strategically, cit., p. 215.

[6] K.  Lysack, Aesthetic Consumption and the Cultural Production of Michael Field’s “Sight and Song”, «Studies in English Literature», 1500-1900, XLV, 4, The Nineteenth Century, 2005, p. 941.

[7] J. Ehnenn, On Art Objects and Women’s Words: Ekphrasis in Vernon Lee (1887), Graham R. Tomson (1889), and Michael Field (1892), <www.branchcollective.org> [consultato il 10 gennaio 2023].

[8] S. Evangelista, Decadence and Aestheticism in D. Denisoff, T. Schaffer (a cura di), The Routledge Companion to Victorian Literature, New York, Routledge, 2020, p. 108.

[9] Ivi, p. 109.

[10] Si veda T. Schaffer, The Forgotten Female Aesthetes, Charlottesville, University Press of Virginia, 2000, in cui la studiosa dimostra come il famoso stile aforistico di Oscar Wilde sia modellato sui romanzi di successo, all’epoca, di Ouida (Marie Louise de la Ramée).

[11] In italiano su Michael Field si segnalano gli studi di S. Arcara, I classici ‘proibiti’ nell’età vittoriana tra pornografia e poesia saffica, «Enthymema. International Journal of Literary Criticism, Literary Theory, and Philosophy of Literature», XXIV, 2019, pp. 286-298 e C. Tempestoso, Michael Field: spazi poetici alternativi attraverso ispirazioni ecfrastiche, «Le Simplegadi», XVIII, 20, Novembre 2020 [online].

[12] K. Varnelis, The Education of the Innocent Eye, «Journal of Architectural Education», LI, 4, 1998, p. 1.

[13] M. Field, Sight and Song, cit., pp. V-VI.

[14] K. Lysack, Come Buy, Come Buy: Shopping and the Culture of Consumption in Victorian Women’s Writing, Athens, Ohio University Press, 2008, p. 121.

[15] M. Field, Sight and Song, cit., p. VI.

[16] A. Parejo Vadillo, “Sight and Song”. Transparent Translations and a Manifesto for the Observer, «Victorian Poetry» XXXVIII, 1, 2000, p. 15.

[17] W. Pater, The Renaissance: Studies in Art and Literature, London, Macmillan, 1922, p. 130.

[18] H. Fraser, Women Writing Art History in the Nineteenth Century. Looking Like a Woman, Cambridge, Cambridge University Press, 2014, p. 84.

[19] Z. Beare, Michael Field’s Renaissance: An Examination of Paterian Influence, Gender Play, and the Use of the Ekphrastic Form in ‘Sight and Song’, «The Pater Newsletter», LV-LVI, 2009, p. 13.

[20] M. Field, Sight and Song, cit., p. 8.

[21] W. Pater, The Renaissance, cit. pp. 124-125.

[22] J. Ehnenn, Women’s Literary Collaboration, Queerness, and Late-Victorian Culture, Aldershot, Ashgate, 2008, p. 78.

[23]  S. Brooke Cameron, The Pleasure of Looking and the Feminine Gaze in Michael Field’s “Sight and Song”, «Victorian Poetry», LI,  2, Summer 2013, p. 153.

[24] M. Thain, ‘Michael Field’: Poetry, Aestheticism and the Fin de Siècle, Cambridge, CUP, 2007, p. 80.

[25] K.A. Psomiades, Beauty’s Body: Femininity and Representation in British Aestheticism, Stanford, Stanford University Press, 1997, p. 202.

[26] J. Ehnenn, Women’s Literary Collaboration, cit. p. 77.

[27] M. Wittig, Il corpo lesbico, a cura di e trad. Deborah Ardilli, Milano, Vanda Edizioni, 2023, p.50.

[28] L. Mulvey, Visual Pleasure and Narrative Cinema, in L. Braudy and M. Cohen (eds.), Film Theory and Criticism: Introductory Readings, New York, Oxford University Press, 1999, p. 833.

[29] J. Ehnenn, Looking Strategically, cit., p. 113.

[30] I.C. Treby, Binary Star. Leaves from the Journal and Letters of Michael Field 1846-1914, London, De Blackland, 2006, p. 127.

[31] L. Nochlin, Women, Art and Power and Other Essays, London, Thames & Hudson, 1989, p. 158.

[32] Sugli intellettuali inglesi in visita all’obitorio parigino si vedano gli studi di P. Vita, Returning the Look: Victorian Writers and the Paris Morgue, «Nineteenth-Century Contexts» 25, 3, 2003, pp. 241-255; B. Martens, Death as Spectacle: The Paris Morgue in Dickens and Browning, «Nineteenth-Century Contexts», 25, 3, 2003, pp. 241-255; B. Tredennick, Some Collections of Mortality. Dickens, the Paris Morgue and the Material Corpse, «Victorian Review» 36, 1, 2010, pp. 72-88.

[33] M. Field, Michael Field Journals “Works and Days” of “Michael Field”, January 1890—July 1891, Vol. 4, <https://michaelfielddiary.dartmouth.edu/home> [consultato il 10 marzo 2023].

[34] J. McLarren Caldwell, Observing the Dead in Michael Field’s Ekphrastic Poetry, «Victorian Poetry», LV, No. 2, Summer 2017, p. 192.

[35] V.R. Schwarts, Spectacular Realities: Early Mass Culture in Fin-de-Siécle Paris, Berkeley, University of California, p. 150.

[36] Una delle attrazioni principali del museo delle cere londinese Madame Tussaud, aperto nel 1835, era la cosiddetta Camera degli Orrori che riproduceva esecuzioni capitali della Rivoluzione Francese oltre che scene sanguinarie di omicidi e fatti di cronaca nera.

[37] A. Parejo Vadillo, Sight and Song: Transparent Translations, cit., p. 31.

[38] M. Field, Sight and Song, cit., pp.13-14, vv. 7-20.

[39] K. Lysack, Aesthetic Consumption, cit., p. 129.

[40] M. Field, Michael Field Journals, cit. <https://michaelfielddiary.dartmouth.edu/home>.

[41] J. Ehnenn, Women’s Literary Collaboration, cit., p. 84.

[42] Ibidem.

[43] Ibidem.

[44]A. Leighton, Victorian Poets: Writing Against the Heart, New York, Harvester, 1992, p. 215.

[45] A. Parejo Vadillo, “Sight and Song”: Transparent Translations, cit., p. 30.

[46] H. Fraser, A Visual Field: Michael Field and the Gaze, «Victorian Literature and Culture», 34, 2 (Fin-de-Siècle Literary Culture and Women Poets), 2006, p. 556.

[47] M. Field, Michael Field Journals, cit., <https://michaelfielddiary.dartmouth.edu/home>.

[48] H. Fraser, A Visual Field, cit., p. 556.

[49] M. Field, Sight and Song, cit., p. 102, vv. 62-70.

[50] J. Ehnenn, Women’s Literary Collaboration, cit. p. 87.

[51] M.W. Mitton, The Poetic Oeuvre of “Michael Field”: Collaboration, Aestheticism and Desire in the Writings of Katharine Harris Bradley (1846 – 1914) and Edith Emma Cooper (1862 – 1913), PhD Thesis, University of Hull, 2008, pp.109-110.

[52] J. Ehnenn, On Art Objects and Women’s Words: Ekphrasis in Vernon Lee (1887), Graham R. Tomson (1889), and Michael Field (1892), <www.branchcollective.org>  [consultato il 10 marzo 2023].

[53] H. Fraser, Women Writing Art History in the Nineteenth Century, cit., p. 83.

[54] M. Field, Michael Field Journals, cit. <https://michaelfielddiary.dartmouth.edu/home>.


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MICHAEL FIELD , OMOEROTISMO , CORPO , EKPHRASIS , POESIA


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Letteratura

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