Grassitudini e altre in-visibilità

di Anita Fabiani

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1. Casto Avecilla, il transeunte

Tra il gennaio e il settembre del 1883 nelle pagine di La Ilustración ibérica[1] viene pubblicato, a puntate, Avecilla,[2] racconto di Leopoldo Alas “Clarín” (1852-1901), scrittore e critico letterario più conosciuto al di fuori della Spagna per La Regenta (1884) che non per la sua narrativa breve.

La vicenda dell’opera è stringata, e comunque non è nella fabula, d’ambientazione madrilena, che va ravvisato, credo, l’interesse del racconto, interesse da individuare, semmai, nelle derive concettuali dell’uscita serale della famiglia Avecilla per andare a teatro e, in particolare, del cambio di programma indotto dalle esigue risorse destinabili alla «contemplación de lo bello, lo bueno y lo verdadero»[3] – è questo il perno dell’intera storia, iniziata in «una tarde de las primeras frías de octubre» (p. 117) e conclusasi la mattina del giorno seguente.[4] In effetti, sarà proprio la limitata disponibilità economica a dirottare l’intero nucleo familiare prima verso l’“osceno” spettacolo della mujer gorda e, a seguire, verso una non meno “oscena” «zarzuela llena [...] de pantorrillas y de chistes verdes» (p. 145). Grazie a questo espediente, all’apparenza di contenuta rifrazione diegetica, scopriamo che il senso dell’opera è dato, soprattutto, da una teoria corporea fondata su una variabile e diversificata gradazione di visibilità-invisibilità, teoria al cui funzionamento testuale concorrono i processi di sublimazione/denegazione sia della sessualità, sia del desiderio sessuale rilevabili nel corso del racconto.

 

2. Alla ricerca del corpo perduto

Fatta eccezione per i tre membri della famiglia Avecilla – don Casto, la moglie, doña Petra, la figlia Pepa – e Mlle. Goguenard – la mujer gorda –, l’umanità che abita l’universo narrativo di Avecilla è, di fatto, anonima, rarefatta al punto di divenire personaggio collettivo di corredo, amorfo corpo sociale (immateriale, quindi) supinamente asservito al narratore onnisciente che se ne serve solo per far risaltare i tratti chiaroscurali di un umile scribacchino,[5]  don Casto, soberanamente disprezzato persino dagli usceri[6] dei quali lui, invece, invidia la divisa, «no por la vanidad de los galones, sino por el abrigo del paño» (p. 117). È a partire dai corpi dei personaggi nominabili, personaggi ai quali, cioè, è stato assegnato un nome proprio, tanto per anticiparne un senso identitario,[7] quanto per conferire loro maggiore densità corporea, che la teoria a cui mi sono poc’anzi riferita si va irradiando e definendo.

Fisiologico, astinente – lo lascerebbe intendere quel Casto, nome che rimanda a «[p]uro, honesto, opuesto a la sensualidad»[8] –, minuto (si presume) e ascrivibile a una innocua animalità – avecilla si riferisce a un uccello di piccole dimensioni[9] – è il corpo del protagonista, corpo che, almeno nella prima parte della storia, appare degenitalizzato, portatore di una sessualità coniugale implosa, tratti, questi ultimi, condivisi (lo si deduce da alcuni incisi narratoriali)[10] con doña Petra, la moglie. Nulla è dato sapere, in realtà, del corpo della donna, se non che è complemento di quello di Casto; difficile credere, infatti, che il ricorso all’espressione cara mitad[11] per introdurre nell’opera una delle protagoniste femminili, il cui nome, peraltro, verrà rivelato a narrazione inoltrata, non obbedisca a un preciso calcolo diegetico. Solo la scelta onomastica effettuata dall’autore – sospetta, dal momento che il termine petra (roccia), etimologicamente, e svincolato da più trascendentali e biblici significati,[12] evoca l’inanimato, il non organico, la dura e pura cosalità – e qualche cauta congettura contribuiscono a ridurre, in certa misura, questo vuoto descrittivo. I trascorsi e, con ogni probabilità, contenuti usi copulativi (Pepa è unica discendente della genia Avecilla) inducono a pensare che il corpo di Petra sia un corpo uterino, destinato, una volta ottemperati gli obblighi riproduttivi, a divenire materia inerte, un involucro invisibile le cui parti, o la cui totalità, non saranno mai esposte, né al proprio sguardo (l’unica a specchiarsi, nel racconto, è Pepa), né a quello altrui (maritale, pubblico, ecc.).

Visibile, sessuato ma ancora “integro” – la deshonra[13] è successiva al momento dei fatti narrati –, invece, è il corpo di Pepa, la figlia «de diecisiete años» (p. 118) dei coniugi Avecilla. Col pretesto di un’amara riflessione sull’impossibilità per i pobres (nello specifico, una famiglia piccolo-borghese) di lucir la hermosura, a posarsi sul corpo della giovane sarà lo sguardo, meno “casto” di quanto ci si attenderebbe, del padre. Agli occhi paterni (il richiamo ai sensi – ver, vista – non a caso è lessicalmente reiterato), infatti, non a quelli del narratore, è affidato il compito di catturare, sezionare, mostrare nella sua evidenza anatomica il cuerpo hecho a torno di Pepa. La superficie corporea sezionata, dunque visivamente “fruibile”, è compresa tra il finísimo collo, solcato da piccole gocce di sudore, e la linea di demarcazione corpo biologico/corpo erotico-del desiderio simbolicamente rappresentata dallo scollo della camisilla:

bien comprendía [el buen escribiente] que el abrigo de Pepilla era raquítico, muy corto y atrasado de moda y desairado; y ¡qué lástima! precisamente la chiquilla tenía un cuerpo hecho a torno. Pero por muy bien torneado que tuviera el cuerpo, cuando apretaba el frío no había más remedio que recurrir al abrigo desairado y tristón. Los pobres no siempre pueden lucir la hermosura. – Para ver a Pepilla hay que verla cosiendo en su guardilla, pensaba el padre, cosiendo en su guardilla, en verano, en enaguas, con un pañuelo de percal al cuello, la camisilla algo descotada, sudando gotitas muy menudillas por el finísimo cuello... y canta que cantarás... En invierno, la ropa mal hecha y no siempre hecha para ella, le roba a la vista algunos encantos... (p. 119).

Che i riferimenti alla biancheria intima (enaguas)[14] e ai fluidi corporei della giovane rispondano al gusto di Clarín per il dettaglio realista è una delle possibili ipotesi interpretative; a mio avviso, però, a suggerire anche altre letture è il rapporto parentale – non trascurabile, in sede ermeneutica, per i sottesi risvolti psicanalitici –, tra chi guarda e chi è oggetto di quello sguardo.

A tal proposito, e perché inerente, va innanzi tutto osservato che in Spagna, già a partire dai primi decenni dell’Ottocento, ai quotidiani e riviste con vocazione politica o intenti divulgativi si vanno via via affiancando pubblicazioni “per” le donne, espressamente pensate, cioè, per un gruppo umano “docile”, per natura frivolo e con limitate facoltà intellettuali, incapace quindi – la teoria delle sfere separate questo, e altro, affermava – di occuparsi di temi non attinenti alla domesticità (qui ampiamente intesa) o all’immagine corporea.[15]

In questi luoghi editoriali non è inusuale trovare rubriche di moda, rubriche che confermano, ancora una volta, quanto la donna sia indissociabile dal suo corpo sessuato-riproduttivo e quanto, su di lei, si siano sempre praticate, combinandole all’obbligo della bellezza e a un’educazione volta a farne solo una moglie-madre, forme di violenza/coercizione estetica.[16] Negli stessi anni in cui viene scritto e pubblicato Avecilla chi si occupa di moda comincia a prestare sempre più attenzione – ne sono esempio i passaggi che cito a seguire – alla ropa interior e, così facendo, contribuisce a giustificare usi metonimici “biancheria intima-corpo della donna” che diverranno, via via, semanticamente sempre più trasparenti e ricorrenti:

Para ir bien vestida la mujer alta ó pequeña de estatura no debe contar sólo con las prendas exteriores, es preciso ante todo que tenga muy en cuenta las enaguas: éste es el punto esencial. La enagua, en casa de las principales costureras de París, forma hoy casi parte de la toilette, pues la moda actual exige un cuidado extraordinario en la manera de vestirse interiormente.[17]

La elegancia de la ropa interior ha llegado á su apogeo y cada vez hay en ella más refinamiento de gusto. Las enaguas de franela fina con bordados de colores [...] son muy bellas; hay también enaguas ouatés de raso granate forradas de oro viejo con plissé de raso de este color ó tira de felpa del mismo. [...] enaguas de franela sencillas, con algun bordado, otras de seda negra con un encaje blanco, y varias blancas con bordados á la inglesa, que son los económicos por su gran resistencia, bastan á formar el equipo de una mujer elegante.[18]

En el cuidado y esmero de la ropa interior ponen las mujeres verdaderamente elegantes toda su atención, así es que esta parte de la toilette es cada dia más costosa por la profusion de encajes y riqueza de los bordados.[19]

Anche il Clarín scrittore mostra un particolare interesse per capi di abbigliamento – fra essi las enaguas, per l’appunto – metonimicamente associabili al corporeo femminile (perdipiù sezionabile), o meglio, per capi che, come è noto, nel corso dei secoli hanno subito un processo, a oggi in atto, di erotizzazione/feticizzazione/voyeurizzazione e del quale si può trovare traccia nelle riviste “licenziose” edite in Spagna (e rivolte, come si legge nel frontespizio di una di esse, El Fandango, «al bello sexo masculino») alla fine dell’Ottocento:

Las bailarinas se recogieron las faldas con ambas manos y avanzaban y retrocedían dando al aire gallardos puntapiés y marcando el compás de la música con recios taconazos. El público se había agrupado para verlas de cerca, formando un circulo. Conforme el tiempo pasaba, el desenfreno crecía; ya eran varios los puntos en que se bailaba el cancán, y las danzarinas se movían enloquecidas, echando sobre sus hombros sus enaguas bordadas y luciendo sus pantalones.... cosidos prudentemente para no enseñar secretos que la costumbre exige tener pudorosamente velados.[20]

A mio avviso, è sfruttando questo surplus concettuale, o rinunciando, comunque, da inquieto esploratore delle zone grigie dell’umano qual è Clarín, a usi diegetici ingenui del vestiario femminile, che l’autore introduce le enaguas – lo stesso si potrebbe dire di altri capi e di alcune parti del corpo femminile – nelle sue opere. Due esempi, da sommare a quello già estrapolato da Avecilla e che sembrerebbero accreditare usi testuali “erotizzati”, se non feticizzati, dell’intimo:

Nieves aprovechaba la moda de las faldas ceñidas para lucir las líneas esculturales de su hermosa pierna. Enseñaba el pie, las enaguas blanquísimas que resaltaban bajo la falda negra. Sus ojos grandes, lascivos, bajo el manto recobraban fuerza, expresión. Podía aparecer apetitosa a uno de esos gustos extraviados que se enamoran de las ruinas de la mujer apasionada, de los estragos del deseo contenido o mal satisfecho.[21]

Don Fermín volvió a sentarse en su sillón. Desde allí veía, distraído, los movimientos rápidos de la falda negra de Teresina, que apretaba las piernas contra la cama para hacer fuerza al manejar los pesados colchones. Ella azotaba la lana con vigor y la falda subía y bajaba a cada golpe con violenta sacudida, dejando descubiertos los bajos de las enaguas bordadas y muy limpias, y algo de la pantorrilla.[22]

Quanto fin qui rilevato autorizza a pensare, quindi, che sul corpo di Pepa en enaguas, con la camisilla algo descotada, col sudore che le scivola lungo il collo, Casto-padre attui un inconscio – sublimato, comunque, poiché “incestuoso”[23] – trasferimento libidico (Petra → Pepa), desumibile, comunque, anche da altri passaggi testuali.[24]
Per quanto azzardata, questa ipotesi interpretativa troverebbe ulteriore conforto nell’onomastica riferita alle due protagoniste che rinsalda, col concorso di valori identitari addizionali, il preesistente rapporto di consanguineità. Trovo singolare, e dunque degna di attenzione, benché destinata a non ripetersi, l’improvvisa alternanza di nomi coi quali prima il narratore e, a seguire, Casto, indicano la signora Avecilla:

En el teatro los hombres eran hombres efectivamente ¡vaya una gracia! el caso era parecerlo y no serlo. El encanto del engaño, de la imitación de lo humano, era el único placer estético que comprendía doña Josefa. Aunque ella oculte el deseo de que hablo, porque sabe que a su marido le parece indigno de la esposa de un Avecilla, bien recuerda don Casto el placer intenso que experimentó Petra en Zaragoza durante las ferias de la Pilarica, contemplando la exposición de figuras de movimiento de Mr. Brunetiére (pp. 127-128, corsivo mio).

¿Pues qué mejor escultura que las figuras de cera? - se atrevió a replicar la buena señora. [...]. Pero mejor están las figuras de cera que traen ropa como las personas [...]. ¿No te acuerdas de la madre de Cabrera en la prisión? [...]. ¿Y aquel oficial moribundo? [...] ¿y aquel señor chiquitín que se llamaba el señor Tres o Tries?... - Thiers, Josefa, el gran repúblico. - Pues ese (pp. 128-129, corsivo mio).

A rendere singolare la combinazione Petra/Josefa è, da una parte, la mancanza di continuità, fosse anche irrisoria, tra i due nomi e, dall’altra, l’estrema prossimità, invece, di Josefa/Pepa, giacché quest’ultimo è, guarda caso, l’ipocoristico di Josefa.[25] Non soltanto stento a credere che Clarín, nei luoghi citati, sia incorso in una svista grossolana[26] ma ritengo, al contrario, che abbia condotto, riuscendo nell’intento, un consapevole gioco di sostituzioni madre/figlia, tale che oggetto del desiderio di Casto, pur se interdetto e rimosso, diviene Pepa. Questo spiegherebbe perché, ad esempio, nel corso della storia viene lasciata immaginare a chi legge la svestizione di Pepa, colta dal narratore nel suo spazio privato (la camera da letto), nell’atto di cambiarsi non già gli abiti, come la “pia” madre – che la donna preghi, perdipiù nella stanza da letto matrimoniale, avvalora l’idea che il corpo coniugale sia un corpo dematerializzato –, ma la biancheria intima:

Desde la alcoba donde se está mudando las enaguas y toda la ropa interior, [Pepita] habla con su padre que se pasea muy satisfecho por la salita única de la casa. En la otra alcoba, la del matrimonio, la Sra. de Avecilla se está mudando el traje también, y al mismo tiempo reza las oraciones de su devoción, segura de que al volver del teatro el sueño no le dejará concluir ni un “Padre nuestro” (p. 133, corsivo mio).

 

3. Il fascino sottile della grassitudine

Nella visione clariniana del corporeo, quale essa si va profilando in Avecilla, il corpo coniugale (Casto, Petra) è disincarnato, amorfo, sostituibile, dunque in-significante/in-desiderabile/in-visibile, a differenza del corpo giovane (Pepa) incarnato, sessuato, desiderabile, frazionabile, visibile che, però, appartiene al tabuizzato.

Al perturbante, invece, appartiene, sempre per un preciso disegno diegetico, il corpo esondante della verdadera mujer gorda,[27] Mlle. Goguenard, di colei, cioè, che per pochi denari mette in scena ed esibisce, a beneficio di un pubblico popolare, scomposto, impudico e voracemente voyeur,[28] generosissime porzioni, tanto visibili, quanto palpabili (nel senso letterale del termine), della propria grassitudine. Spettacolarizzare il corpo grasso,[29] come è noto, non è certo invenzione clariniana; la “donna-cannone”, infatti, rientra tra le attrazioni di maggior richiamo del cosiddetto freak show[30] che nel XIX secolo riscuoteva un largo consenso di pubblico, tanto più in Spagna, paese nel quale l’interesse per le “anomalie/deformità” viventi è stato sempre particolarmente avvertito.[31] A Clarín si deve, semmai, l’avere restituito alla categoria dell’umano il “fenomeno da baraccone” – “questo” è la donna grassa – e, al contempo, l’avere svelato la ferocia antropofaga insita nello sguardo di chi se ne serve per il proprio piacere sessuo-visivo e/o per confermare la propria “normalità”.

Fuori misura, eccessivo, straripante, debordante, ma solo perché, sulla scorta del paradigma pesocentrico,[32] sono stati normativizzati i perimetri corporei, il corpo grasso nell’Occidente bianco, (alto)borghese, etnocentrico, darwiniano, oltre ad essere oggetto di scherno è intrappolato in un paradosso. Per secoli, nei confronti di questo corpo ipervisibile, in quanto espanso e volumetricamente ingombrante, è stata esercitata un’invisibile violenza discorsivo-simbolica (il freak show non è l’unica prova adducibile) e, con essa, l’altrettanto invisibile, nonché reiterata, espropriazione reificante, condotta/agita con maggiore accanimento se quel corpo, oltre ad essere grasso, era anche di “donna”. Sulla donna infatti, più che sull’uomo, grava(va) l’obbligo della magrezza,[33] tanto che ad esso, in tempi a noi vicini, viene esposto di fatto, e «contrariamente a quella che era la valorizzazione del corpo florido, simbolo di abbondanza per comunità che conoscevano la fame, e particolarmente diffusa, in passato, presso le società agropastorali»,[34] persino il corpo del simulacro religioso.[35]

Quando in Spagna il corpo grasso approda al testo letterario – o di altra intenzione – tardo ottocentesco, lo fa nei modi che indico a seguire e dai quali si evince, senza alcuno sforzo ermeneutico, che esso è recepito, dunque narrato, come (a) eccedente e sgradevole alla vista, (b) patologico-mostruoso, (c) portatore di alterità subumana/animale, (d) ridicolo al punto di suscitare la comune ilarità:

(a) aconsejaré á las señoras gruesas que no se manden hacer nunca sus trajes demasiado justos: este sistema disminuye muy poco la obesidad y da en cambio al cuerpo un aspecto molesto y oprimido que es del peor efecto [...]. Sucede lo mismo con los guantes y el calzado: aunque la mano y el pié sean de un tamaño mayor que el que la belleza prescribe, no se deben llevar metidos los piés, y presas las manos en un continente menor que el contenido, porque esto no amenguará su tamaño [...]. [...] hay que adoptar para la figura, el sistema de la homeopatía para la salud y curar los semejantes con los semejantes: es decir, la grosura excesiva con los trajes holgados y cómodos, bajo la pena si no se hace así, de que los defectos aumenten en vez de disminuir. Un buen corsé es lo más esencial para vestir bien, y sea cualquiera el grado de gordura de que una señora esté afligida, su corsetera puede hacer que su talle sea siempre relativamente fino y elegante.[36]

(b) Según la Nouvelle Iconographi de la Salpetriere, el doctor Paul Segond ha dirigido una comunicación á la Sociedad de Cirugía dando cuenta del fenómeno que ha sido puesto á su cuidado. Es una mujer de cuarenta y siete años, llamada Catalina C., que padece lipomatosis monstruosa. La hipertrofia y la deformación del sistema celulo adiposo alcanzan proporciones extraordinarias. Las caderas son terribiles y las piernas se asemejan á las de un elefante. [...]. Llegó á pesar [esta mujer] 225 kilos, pero actualmente sólo pesa 180. [...]. La hipertrofia en Catalina ha respetado el rostro, que es muy agradable, y la parte superior del tronco. Las masas gruesas se agolpan á partir de las caderas por delante y por detrás en proporciones tan tremendas, que en la fotografía que con esta descripción publica La Nouvelle Iconographie se ofrece un tipo único è imposible de concebir por lo monstruoso.[37]

(c) Hermosos ojos, dientes que pudieran rivalizar con perlas, una graciosa figura, una nariz delicadamente modelada, [...], todo esto bastaría para constituir á los ojos de nosotros, los europeos, el ideal de la belleza africana; mas para los hombres de Tuat, nada son todas estas calidades físicas si no las acompaña la gordura, en lo cual se parecen á los turcos, para quienes las odaliscas no tienen mérito, si su cuerpo no está modelado, por decirlo asi, como el de un hipopótamo. [...]. Esta predilección por las mujeres gordas es por lo demás general en Argelia, así como en todos los países musulmanes.[38]

(d) Un profesor infatigable, conocido por las muchas conferencias que da en el Ateneo, está á punto de casarse con una mujer obesa, de un vientre monstruoso.

Con tal motivo, dijo uno de sus amigos: -Ahí tienen ustedes un hombre que de conferenciante va á convertirse en circunferenciante.[39]

Mlle. Goguenard, l’entità ibrida[40] che, «vestida de pastora de los Alpes» (p. 140), si esibisce nottetempo su uno squallido palco di fiera cittadina, presenta, enfatizzati, tutti i tratti costitutivi della “grassona”;[41] per sovradosare l’effetto perturbante di questo corpo inusitatamente eccedente e grottesco è sufficiente aggiungere agli elementi identitari sedimentati l’ipersessualizzazione, ottenuta non già esplicitandola in sede testuale, bensì sfruttando gli immaginari collettivi e gli operanti principi biopolitici – Mlle. Goguenard è una donna che rifiuta il confinamento negli spazi domestici, viola la norma dell’invisibilità/controllo femminile, e ha un qualche legame (se non per nascita, almeno per lingua) con la Francia, paese associato, in quel momento, all’edonismo sessuale.[42]

Vale la pena riportare nella sua interezza la scena in cui Mlle. Goguenard, beffarda di nome (è una delle accezioni attestate di goguenard)[43] e di fatto, fa la sua prima e ultima apparizione nel racconto:[44]

Estaba sentada en una silla de paja, y en la mano derecha tenía [...] una enorme tranca; la mano izquierda acariciaba en aquel momento una barba de macho cabrío que descendía por las turgencias hirsutas que revelaban de manera indudable la autenticidad del sexo [...].

Mlle. Goguenard hablaba en francés con una mujer de la barraca inmediata que iba a visitarla de vez en cuando. Decía [...] que el oficio era horroroso y que ya estaba cansada de aquella estupidez. Las miradas que repartía por la asamblea eran de desprecio y de cólera.

-C’est bête! ¡C’est bête!- repetía la mujer gorda, y gruñía moviendo la feísima cabeza. [...].

Un redoble de tambor que resonó fuera anunció al público que empezaba la exposición.

-Cuarenta y ocho veces me he ensenado (sic) al ilustrado público, dijo la mujer gorda a su amiga. [...] acercó la silla a las candilejas y comenzó su relato en un mal español y con voz ronca y gesto displicente.

La familia de Avecilla se había colocado en primera fila, y como don Casto era a todas luces la persona de [...] más estatura de las del teatro, a él se dirigían las miradas y las palabras de la Goguenard. [...].

La relación de la mujer gorda era muy sencilla. No había en ella [...] asomo de lubricidad; se trataba la cuestión de sus buenas carnes desde un punto de vista puramente antropológico. Don Casto así lo comprendió, prestándose gustoso a ser [...] el testimonio vivo del concurso, mediante el sentido del tacto.

La Goguenard decía: -Señores, esta pantorrilla- y levantando la falda de color de rosa y las enaguas mostró una mole cilíndrica de carne que se transparentaba bajo me-

dia de seda calada, -esta pantorrilla [...] es de carne verdadera, aquí no hay nada falso, puede palpar el señor y se convencerá de ello...

Don Casto [...] no tuvo inconveniente en palpar, previa una mirada de consulta a su esposa [...].

Bien sabe Dios que don Casto iba a tocar aquella carne libre de todo mal pensamiento, pero fuera que su vida exageradamente casta [...] le hubiera conservado fuegos interiores ocultos, apagados generalmente en los de su edad, fuera la emoción de la notoriedad, o lo que fuera, Avecilla se puso pálido, tragó saliva y por sus ojos pasó una nube que los oscureció por un momento. Lo que sintió don Casto es un misterio, pero es lo averiguado que tardó algunos minutos en reponerse, y no sin trabajo pudo decir al numeroso público:

-¡Carne, carne y dura! (pp. 140-143).

È proprio in questi passaggi che trova pieno compimento il teorema corporeo di Clarín, con lesposizione degradante (non solo perché mercificata) e feticizzata[45] della carne dura di Mlle. Goguenard, il mostro discinto, sezionato (come Pepa), con indosso las enaguas (come Pepa), interdetto/tabuizzato (come Pepa): al suo corpo possono, anzi, devono accedere, servendosi prima della vista, poi del tatto, i maschi della specie (a rappresentarli è Casto, non il rispettabile padre di famiglia, bensì l’uomo attem-

pato in preda a occulti fuegos interiores),[46] e devono farlo affinché quella smisurata superficie venga percepita come reale, umana, desiderabile,[47] “femminile”.

Eppure, nel momento stesso in cui la mujer gorda, categoria ontologica a sé stante, rivolge al pubblico convenuto – i coniugi Avecilla, che «tení[an] ardientes deseos de ver un fenómeno» (p. 140), e Pepa ne fanno parte – occhiate sprezzanti, cariche d’ira, o quando rivendica la proprietà esclusiva del suo corpo tanto grasso, quanto “umano”,[48] non soltanto ribalta la logica capitalistica dello sguardo asimmetrico, unidirezionale e cannibalizzante ma contravviene, col “peso” della riaffermata umanità, a quel tacito patto contrattuale che la vorrebbe ridotta a uno scarto di produzione acquistabile, per soli «quince céntimos» (ibidem), da chiunque.[49]

 

 

[1]* Il presente studio, per temi trattati e metodologia utilizzata, rientra in una ricerca già avviata all’interno del progetto Medioevo romanzo e orientale. Manifestazioni, forme e lessico dell’eros dal Medioevo al Moderno (EROS2020), Piano di Incentivo per la Ricerca di Ateneo (PIACERI) 2020, coordinato dal prof. Gaetano Lalomia, del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania (DISUM).

1  Sottotitolata semanario científico, literario y artístico, redactado por los más reputados escritores de España y Portugal é ilustrado por los mejores artistas del Universo, l’Ilustración si ripropone di «populariza[r] en España la literatura portuguesa y los conocimientos respecto al vecino reino y en Portugal la literatura y las noticias sobre el estado, condiciones y verdadera índole del pueblo español» (Prospecto, in «La Ilustración ibérica», 6 de enero de 1883, pp. 1-4, p. 2). È, inoltre, promotrice di un iberismo culturale al quale sembrerebbe sensibile anche Clarín: «Leopoldo Alas va demanar el 1882 [...] la creació d’una Liga Literaria Hispano-Portuguesa que havia de consistir bàsicament en la difusió de les respectives literatures feta pels que s’hi adherissin. Els articles de Clarín sobre la qüestió són una bona mostra dels equilibris i de les intencions que presidien aquest iberisme cultural» (V. Martínez-Gil, “La Ilustración Ibérica” i la creació d’un mercat literari peninsular, «Els Marges», 71, 2002, pp. 37-55, pp. 39-40).

[2] Inizialmente viene intitolato Los transeúntes. Avecilla. Verrà poi inserito col titolo abbreviato Avecilla nel volume madrileno edito da Fernando Fé nel 1886 che include altri racconti brevi (Pipá, Amor’ è furbo, Mi entierro, Un documento, El hombre de los estrenos, Las dos cajas, Bustamante e Zurita). L’idea della raccolta «encabezad[a] por Pipá» data, secondo Sanz de Villanueva (Obras completas de Leopoldo Alas “Clarín”. Edición y prólogo de S. Sanz de Villanueva, Madrid, Fundación José Antonio de Castro, 1995, vol. II, p. XV), al 1884; Clarín ne decise il «contenido final en 1885. El plan inicial tenía menos amplitud que el que vio luz en letra de imprenta: Pipá lo abría y Zurita lo cerraba, y en medio iban otros cuatro cuentos: Mi entierro, Amor’ è furbo, Un documento y Las dos cajas».  Nel volume del 1886 il racconto appare siglato Zaragoza 1882; è possibile, quindi, che l’autore l’abbia redatto nel periodo saragozzano, quando ha occupato (nel 1882, per l’appunto) la cattedra universitaria di Economia Politica (cfr. L. de los Ríos, Los cuentos de Clarín. Proyecciones de una vida, Madrid, Ediciones de la Revista de Occidente, 1965, p. 36).

[3] L. Alas “Clarín”, Teresa. Avecilla. El hombre de los estrenos. Edición, introducción y notas de L. Romero Tobar, Madrid, Castalia, 1981, pp. 115-150, p. 126. D’ora in avanti farò sempre riferimento a questa edizione, indicando nel testo, tra parentesi tonde, il numero della pagina (o delle pagine) corrispondente al passaggio citato.

[4] Nei passaggi finali del racconto si fa cenno, ma solo perché è conseguenza degli avvenimenti occorsi «aquella maldita noche» (p. 150), a quanto accaduto «años después» (ibidem) a Pepita, vittima dei «pérfidos halagos del amor» di un giovane militare (ibidem).

[5] «Don Casto Avecilla había pasado del Archivo de Fomento, pero sin ascenso, a la dirección de Agricultura, y de todos modos seguía siendo un escribiente, el más humilde empleado de la casa», p. 117.

[6] «Los porteros [...] despreciábanle soberanamente. Él fingía no comprender aquel desprecio, creyéndose superior en jerarquía a tan subalternos personajes, siquiera ellos cobrasen mejor sueldo y tuvieran gajes que a don Casto ni se le pasaban por las mientes, cuanto más por los bolsillos», p. 117, corsivo mio.

[7] Come da altri osservato, per Clarín «the selection of a significant name is one more in the variety of lesser avenues of character portrayal open to a writer» (J. W. Kronik, The Function of Names in the Stories of Alas, «Modern Language Notes», LXXX, 1965, pp. 260-265, p. 261). Il nome, per esempio, può cifrare «[k]ey aspects of [...] [the] physical appearance» (ivi, p. 262) del personaggio; in generale, comunque, nel ricorso reiterato dell’autore a nomi “marcati” sarebbe da rintracciare «the ironic posture towards life and people that marks all his writings» (ivi, p. 264), ironia «waged war on two levels: he could destroy, but he could also arouse tenderness and compassion» (ibidem). Don Casto Avecilla, «despite the touch of caricature applied to his appearance and personality in both his name and the text of the story, is another case of a humble and helpless little man towards whom Alas directs an ironic smile that has the unmistakable mark of benignity» (ibidem).

[8] Real Academia Española, Diccionario de la lengua castellana, Madrid, Imprenta de D. Gregorio Hernando, 1884, p. 225, alla voce casto. Accedendo al Nuevo Tesoro Lexicográfico de la Lengua Española (https://apps.rae.es/ntlle/SrvltGUISalirNtlle) è possibile consultare online tutti i dizionari della RAE (per i quali utilizzerò l’acronimo DRAE), nonché altri repertori lessicografici.

[9] Nel Diccionario de Autoridades (1726) il termine avecilla, registrato come «s. f. dimin. de Ave», indica «las pequeñas de cuerpo: como los Gilguéros, Canarios y otros paxaritos»; in seguito (DRAE 1884), comunque, viene rubricato, insieme alle varianti avecica, avecita, come semplice diminutivo del sostantivo ave.

[10] Un esempio possibile è il seguente: «Cuando don Casto estuvo solo con su esposa, en esa hora en que los matrimonios bien avenidos y de larga vida conyugal, se acarician comunicando ideas, hablando de los hijos y de la hacienda, en esa hora, resumen del día, Avecilla miró [...] a Petra», p. 146.

[11] «Muchas veces, cuando salía el buen escribiente a paseo con su cara mitad [...] iba pensando cosas así», p. 118, corsivo mio. L’uso colloquiale di cara mitad come sinonimo di consorte è attestato dall’edizione del 1884 del DRAE: «Cara mitad. fam. Consorte, 2ª acep. Ú. m. con algún pronombre posesivo» (alla voce mitad).

[12] Si veda, per esempio, J. A. Alcaín, La tradición, Deusto, Universidad de Deusto, 1998, p. 380. Petra, comunque, è nome gradito a Clarín, che se ne serve anche ne La Regenta per la doncella (delatrice) di Ana Ozores.

[13] «Pero cuando, años después, la pobre Pepita, como tantas otras, sucumbió a los pérfidos halagos del amor de infantería y fue víctima de los engaños de un subteniente, huésped de la casa, don Casto, llorando su deshonra, se atribuyó toda la culpa de tan grande infortunio...», p. 150, corsivo mio. Nella Spagna del XIX secolo, ricordo, non soltanto vige la doppia morale sessuale (permissiva con l’uomo, repressiva e punitiva con la donna), ma concetti quali honra (4ª accezione, «pudor, honestidad y recato de las mujeres», DRAE 1884) e honor (3ª accezione, «honestidad y recato en las mujeres, y buena opinión que se granjean con estas virtudes») sono ancora utilizzati per controllare, socialmente e politicamente, i corpi delle donne, nubili o coniugate che siano. L’adulterio, la “perdita della verginità” prima del matrimonio, quindi, oltre ad essere causa di disonore familiare, fanno della donna-peccatrice una reietta, perdipiù “di facili costumi”: «La doncella que se atrevía a  violar la estricta norma de la virginidad antes del matrimonio se convertía en una proscrita social y la “deshonra” caía sobre toda la familia»; «Una mujer que había perdido de forma inadecuada el preciado don de la virginidad se convertía automáticamente en una variante de la prostituta», M.-H. Sánchez Ortega, La “pecadora” como disidente social, in Disidentes, heterodoxos y marginados en la historia, a cura di S. Carrillo, C. Astarita, H. Vogel, J.-G. Petit y otros, Novenas Jornadas de Estudios Históricos, organizados por el Departamento de Historia medieval, Moderna y Contemporánea. Edición a cargo de Á. Vaca Lorenzo, Salamanca, Ediciones Universidad de Salamanca, 1998, pp. 145-179, rispettivamente pp. 150 e 158.

[14] «Vestidura que usan las mujeres, y cubre desde la cintura, donde se atan, hasta los pies. En la mayor parte de nuestras provincias sólo dan este nombre á las que se hacen de lienzo blanco y sirven interiormente debajo de los guardapiés», DRAE 1884, alla voce enaguas, corsivo mio.

[15] Questa tendenza è ben esemplificata da El Correo de las Damas, che inizia la tiratura nel giugno del 1833: «Al lado de la Revista Española, del Correo, del Boletín de Comercio, del Vapor, y á la par de los demás periódicos, á cuyos esfuerzos debe estar el pais en gran manera agradecido, solo un periódico faltaba; un periódico que asi huyese de la larga compilación de datos de todas especies, como de la aridez de los largos artículos científicos ó literarios: un periódico ameno, ligero, florido, propio en fin de las BELLAS á quien se consagra. Este es el vacío que pretendemos llenar con EL CORREO DE LAS DAMAS. Como periódico DE MODAS las extrangeras y nacionales ocuparán en gran manera nuestra atención, que seguirá siempre y aun prevendrá á veces sus variados y brillantes caprichos», Prospecto, «Correo de las Damas. Periódico de modas, bellas artes, amena literatura, musica, teatros, etc.», 3 de junio de 1833, pp. 1-4, pp. 2-3, corsivo dell’A.

[16] Non a caso molta letteratura, e non solo quella costumbrista, si accanisce contro la “zitella” (solterona) e la “brutta” (fea), alle quali la collettività imputa, in buona sostanza, la perdita/mancanza di bellezza; segnalo, perché coeve ad Avecilla, María del Pilar Contreras y Alba, La solterona (in Las mujeres españolas, americanas y lusitanas pintadas por sí mismas. Obra dedicada á la mujer por la mujer y redactada por las mas notables escritoras hispano-americano-lusitanas bajo la dirección de la señora Doña Faustina Saez de Melgar, Barcelona, Establecimiento Tipográfico-Editorial de Juan Pons, 1881, vol. I, pp. 359-375), Concepción Gimeno de Flaquer, La solterona («El Álbum de la Mujer», 26 de julio de 1885, p. 32) e Pedro A. de Alarcón, La fea. Autopsia (in Id., Cosas que fueron. Cuadros de costumbres, Madrid, Imprenta y Fundición de M. Tello, 1882, pp. 157-171).

[17] V. de Castelfido, Revista de modas, «La Moda elegante. Periódico de señoras y señoritas», 30 de marzo de 1876, p. 95, corsivo dell’A.

[18] J. Balmaseda, Revista de modas, «El Correo de la Moda», 2 de noviembre de 1880, pp. 321-322: p. 321.

[19] Alice, Revista de modas, «La Guirnalda. Periódico quincenal dedicado al bello sexo», 20 de febrero de 1881, p. 26, corsivo dell’A.

[20] Un Boulevardier, Desde Paris, «La Vida galante», 27 de noviembre de 1898, pp. 43-45, p. 45.

[21] L. Alas Clarín, Benedictino, in Id., El Señor y lo demás son cuentos, Madrid-Barcelona, Calpe, 1919, pp. 178-195, p. 192, corsivo mio.

[22] L. Alas “Clarín”, La Regenta. Edición de J. Oleza con la colaboración de J. Lluis Sierra y M. Diago, Madrid, Cátedra, 1984, vol. I, p. 491, corsivo mio.

[23] Ricordo che «[i]l rapporto padre-figlia è una figura che parla di rapporti reali, ma anche di ordine simbolico, e ha sempre sullo sfondo, più o meno oscuro, il fantasma dell’incesto» (M. S. Sapegno, Figlie del padre. Passione e autorità nella letteratura occidentale, Postfazione di C. Comencini, Milano, Feltrinelli, 2018, p. 13). Secondo Fiedler nell’incesto padre-figlia, tabuizzato, è possibile ravvisare «another metaphor for the ultimate yearning of aging males to recapture simultaneously those beloved women of their youth whose flesh has withered with their own, and the mother they have never really known: the Virgin Mother, lost forever with the act of love to which they owe their own begetting, except as reborn in the Virgin Daughter, their sister, or their own female children» (L. Fiedler, Tyranny of the Normal. Essay on Bioethics, Theology & Myth, Boston, David R. Godine, 1996, p. 61).

[24] Al corpo-desiderabile di Pepa-figlia rimandano i seguenti passaggi: «-Mi hija- piensa [don Casto],- está más bonita cuando no viste sus galas. Ese abrigo, ese maldito abrigo me la desfigura», p. 133; «La poca práctica no la permite [a Pepita] ser hábil en su tocado [...]. [...] no es aquella la Pepita de todos los días y bien lo conoce su padre», ibidem.

[25] «Pepe, Pa. m. y f. n. p. de pers. Josef, fa», Vicente Salvá, Nuevo diccionario de la lengua castellana, 1846, alla voce pepe (consultabile all’indirizzo https://apps.rae.es/ntlle/SrvltGUIMenuNtlle?cmd=Lema&sec=1.0.0.0.0.).

[26] Cfr.: «El cambio de nombre de la esposa de Avecilla – doña Josefa por doña Petra –, es un olvido del autor o rasgo de perspectivismo de estirpe cervantina?», p. 128, nota 19.

[27] A farle concorrenza sleale è una fantomatica e inesistente “gigantessa” del Maryland: «Desde una doble escalera de mano, de pie en el más alto peldaño, un charlatán, cubierto de larguísima camisa que llegaba al suelo, comenzó a predicar la buena nueva de Mademoiselle Ida, la señorita giganta de Maryland en los Estados Unidos de l’Amerique», p. 138, corsivo dellA.

[28] «[E]l público llegaba poco a poco, y en pie todos, en semicírculo, se colocaban cerca del escenario con religioso silencio. Predominaba [...] el elemento militar, y no faltaban cinco o seis muchachuelas de la hez del pueblo, andrajosas, que procuraban vestir sus harapos con la rigidez manolesca, y que reían y cuchicheaban y se decían al oído mil picardías que les inspiraba la presencia del monstruo», p. 141.

[29] Trovo del tutto condivisibile quanto osserva A. Erdman Farrell (Fat Shame. Lo stigma del corpo grasso [Fat Shame: Stigma and the Fat Body in American Culture, 2011], trad. di D. Theodoli, Città di Castello, Tlon, 20202, pp. 59-60) a proposito degli usi marcati di “obeso”, «eufemismo [...] [e] termine medico che oggettiva i grassi»; ugualmente condivisibile è l’uso rivendicativo e politico della grassezza coi suoi correlati quali, per l’appunto, “grasso” che, come suggerisce la studiosa, «dovrebbe diventare un termine comune e liberato da connotazioni negative, non più controverso del chiamare qualcuno alto o castano».

[30] Freak, ricordo, «è un’abbreviazione di freak of nature (scherzo di natura), traduzione letterale del latino lusus naturae, espressione dalla quale si deduce che un bambino con due teste o un ermafrodita sono ridicoli oltre che anomali», L. Fiedler, Freaks. Miti e immagini dell’io segreto (Freaks: Myths and Images of the Secret Self, 1978), trad. di E. Capriolo, Milano, Il Saggiatore, 2009, p. 15, corsivo dell’A.

[31] «Desde los tiempos de Carlos V, los Reyes gustaron tener retratados a los tipos de placer, bufones y niñas grotescas, que siempre eran fenómenos teratológicos, monstruosidades de la Naturaleza que [...] venían al mundo [...] para ser acogidos [...] con la risa burlona y el sarcasmo de los Reyes que precisamente nada tuvieron que envidiar a nuestra madre la naturaleza. Y que por esto mismo burlábanse de aquellas deformes criaturas, como si con ello se hubiesen vengado de su herencia física», F. Pompey, Juan Carreño de Miranda. Notas críticas para un estudio sobre el arte de Carreño, «Revista de Bellas Artes», X, 8, agosto de 1922, pp. 4-9, p. 7. A Carreño si devono due famosi ritratti (1680) di Eugenia Martínez Vallejo (appellata la monstrua), che all’età di cinque anni raggiungeva i 57 chili di peso.

[32] Il weight-centric paradigm o il weight-centric approach sono ampiamente contestati, giacché discriminanti e stigmatizzanti, da chi si occupa di fat studies; si veda, fra altri studi possibili, C. O’Reilly & J. Sixsmith, From Theory to Policy: Reducing Harms Associated with the Weight-Centered Health Paradigm, «Fat Studies: An Interdisciplinary Journal of Body Weight and Society», 1, 2012, pp. 97-113.

[33] Un’utile lettura per capire su cosa si fonda il “culto della magrezza” può essere S. Nagy Hesse-Biber, The Cult of Thinness (New York, Oxford University Press, 2007), versione ampliata e riveduta di Am I Thin Enough Yet (1996), della stessa autrice.

[34] E. Silvestrini, Vestire i simulacri, «Erreffe. La Ricerca Folklorica», 62, 2010, pp. 3-6: p. 3.

[35] Nello specifico Silvestrini (ibidem, nota 2) si riferisce alla Madonna del Carmine o Madonna Fiumarola, «oggetto di culto a Roma [...] dove viene [...] celebrata nella festa detta comunemente “Festa de’ Noantri”».

[36] P. Sinués María, Ecos de la moda, «Diario de la Marina», 9 de diciembre de 1886, p. 2.

[37] Una mujer monstruosa, «El Correo militar», 24 de agosto de 1899, p. 3.

[38] Usos y costumbres de los pueblos: Argelia, «Semanario familiar pintoresco», 136, (1879-1881?), p. 92. Di questa pubblicazione è possibile indicare, con certezza, soltanto il numero e la pagina, giacché mancano i dati relativi all’anno/giorno di pubblicazione; si veda https://hemerotecadigital.bne.es/hd/es/card?sid=a76d9b92-51cb-449d-84b4-d94d83b1a93d.

[39] Casos y cosas, «El Liberal», 29 de septiembre de 1899, p. 4, corsivo dell’A.

[40] La barba de macho cabrío (p. 140) sposta Mlle. Goguenard dal femminile/umano al maschile/animale: «Al físico desbordante que delata “la autenticidad del sexo” se añade una barba que parece sugerir no solo características masculinas sino incluso un parentesco con el mundo animal», R. Espejo-Saavedra, El monstruo en el espejo: diversiones públicas e identidad individual en Avecilla (1882) de Clarín, «Hispanic Review», 1, 2022, pp. 63-82, p. 71.

[41] “Grassona”, insieme a “cicciona”, “balena”, “vacca”, ecc., appartiene all’ampio ambito lessicale dell’injuria gorda; interessante, a tal proposito, L. Masson, Epistemología rumiante, Valéncia, FEA, 2017.

[42] E lo è al punto che una delle prime riviste “erotiche” edite in Spagna – a Barcellona, in questo caso –, si intitola París alegre. Sin dal primo numero si insiste sulla «vida de París; la espléndida y pintoresca vida del boulevard y el cabaret, del mareante molino y la perfumada bombonera que guarda entre sus sedosos interiores el caramelo más sabroso que puede apetecer el hombre de las salas de los teatros y de los misterios de bastidores; del café artístico y del hipódromo gigantesco; la vida, en suma, que ha hecho de París el punto de mira de los juerguistas internacionales y aspira con deleite lo mismo el provinciano que quiere ganarse la vida como el príncipe que desea derrochar su fortuna; esa vida bulliciosa que alegra el corazón, como las plateadas burbujas del champagne alegran las cabezas; esa vida á ninguna otra comparable, que tiene por diosa, hada, sacerdote, y altar los cuerpos aterciopelados de las mujeres», ¡Ah,... Señores!, «París alegre», I, 1, 15 de abril de 1901, p. 2.

[43] «[En parlant d’une pers. ou d’un trait de son comportement] Qui raille, se moque d’autrui. Air, regard, sourire goguenard. Guillaume sentit à l’attitude goguenarde de ses nouveaux camarades qu’il se trouvait en pays hostile (ZOLA, M. Ferat, 1868, p. 52). J’aperçois (...) Conan, son béret sur l’oreille, les mains derrière le dos, goguenard et indulgent (VERCEL, Cap. Conan, 1934, p. 36). -Emploi subst. Il fait le goguenard (Ac. 1835, 1878). C’est un goguenard (Ac. 1835-1932)», Trésor de la Langue Française informatisé, consultabile online all’indirizzo http://atilf.atilf.fr/, alla voce goguenard.

[44] Benché questa scena sia fondamentale per la comprensione di Avecilla, nell’adattamento teatrale dell’opera realizzato nel 1987 per la televisione spagnola (TVE) da S. García Serrano, con la regia di E. García Toledano, è stata eliminata.

[45] La propensione di Clarín, o meglio, dello scrittore Clarín per il feticismo è stata già più volte segnalata. La Regenta, per esempio, è un’opera «plena de referencias a la materialidad física y al placer -lujurioso por lo común- de lo material, de la sensualidad de los sentidos, [...] plena de una corriente sexual subterránea anticipatoria. Esta sensualidad, anticipatoria ya de la que colonizará el fin de siglo, afecta fundamentalmente por igual a los objetos y, con la misma intensidad, a las partes del cuerpo», L. Etxebarría - S. Núñez Puente, En brazos de la mujer fetiche, Barcelona, Ediciones Destino, 2003, p. 127.

[46] Secondo R. Espejo-Saavedra (El monstruo en el espejo, cit., p. 75), la «figura de Mlle. Goguenard, y sobre todo la desconcertante atracción que ejerce sobre Avecilla, pone al descubierto la incapacidad del protagonista de encarnar el ideal masculino de “austerity, bodily restraint, and rigorous self-discipline” y hace tambalear toda la estructura de sus creencias».

[47] Il mostro, come è noto, «suscita orrore, ma la deformità è affascinante. I “normali” subiscono la seduzione degli “anormali”, e scoprono la sensualità e l’erotismo del mostro, il fascino sinistro e la bellezza del corpo mostruoso», F. Giovannini, Mostri. Protagonisti dell’immaginario del Novecento da Frankenstein a Godzilla, da Dracula ai cyborg, Roma, Castelvecchi, 1999, p. 19.

[48] «[E]l espectáculo, hasta entonces compatible con el más recatado pudor, cambió de aspecto cuando dos o tres mozalbetes se acercaron a repetir la experiencia de don Casto. Como durase la prueba del tacto más de lo que parecía regular a la mujer gorda, ésta levantó la tranca y amenazó con ella, diciendo a la vez a los atrevidos y concupiscentes mancebos: - ¡Fuera, canalla!... ¡Id a palpar!... ¡Y añadió horrores!» (pp. 142-143).

[49] Per ragioni di spazio non posso approfondire, in questa sede, elementi diegetici che andrebbero indagati, quali l’incubo di Casto («soñó que le llevaban al patíbulo [...], y que por el camino del patíbulo había tendidas mujeres gordas, entre cuyas piernas mal cubiertas tenía que pasar don Casto, pisando carne por todos lados», p. 148), l’“esperpentizzazione” di Pepa (per la quale rimando a L. de los Ríos, Los cuentos de Clarín, cit., p. 50 e R. Espejo-Saavedra, El monstruo en el espejo, cit., pp. 77-78) e, non ultimo, la predilezione di Petra per un altro tipo di “perturbante ”, le statue di cera (si veda P. Conte, Sembra viva! Estetica del perturbante nell’arte contemporanea, «atque», 17, 2015, pp. 265-281, in particolare p. 269 e ss.).


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