I professionisti museali in Italia, storia di lavoratori invisibili

di Federica Maria Chiara Santagati

 

1. Il mancato riconoscimento dei professionisti museali nel quadro di un lavoro di primario interesse sociale

Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze.

Da tale definizione di museo dell’International Council of Museums (ICOM), approvata a Praga nel 2022, si evince la missione di un’istituzione culturale democratica e accessibile, portata a compimento grazie al lavoro svolto silenziosamente dai professionisti museali in sinergia col progetto culturale dell’istituzione museale.
 Il museo offre opportunità educative non solo al giovane cittadino in formazione, ma a tutti i pubblici e promuove conoscenze e comportamenti potenzialmente generatori di cittadinanza attiva e di fruizione altamente consapevole.

Malgrado l’importanza di tale lavoro svolto nei musei, continuano a manifestarsi da anni due fenomeni negativi, uno costituito dal mancato riconoscimento delle professioni museali da parte dello Stato italiano, l’altro rappresentato dall’assenza di percorsi formativi universitari adeguati ad avviare i professionisti museali del futuro. Ciò induce una situazione surreale, perché i professionisti museali sono i primi a saper mettere in atto le nuove teorie scientifiche nelle pratiche museali. Ma le loro condizioni di lavoro si rivelano talmente difficili da ledere anche il diritto al riconoscimento della dignità professionale.[1] Sono lavoratori invisibili che da anni si battono senza successo ma con tenacia, per il riconoscimento statale del loro lavoro e della loro identità professionale.

Intendiamo ripercorrere le tappe di questo percorso lungo, accidentato e poco lineare verso tale mancato riconoscimento, che mette a rischio un lavoro di primario interesse sociale. Tale difficoltà è costituita principalmente dall’assenza di dialogo fra il Ministero della Cultura e il Ministero dell’Università e della Ricerca, ma tale assenza è solo la punta delliceberg.

 

2. Le vicende della mancata costruzione dei profili professionali museali in Italia fra XX e XXI secolo

I primi passi avvengono dagli anni Settanta e fino alla metà degli anni Novanta, quando alcune regioni assunsero delle norme volte all’individuazione dei profili professionali dei musei locali.[2] Con la Direttiva Ciampi-Cassese (1994) i titolari di esercizi pubblici era previsto adottassero e pubblicassero standard di qualità e quantità generali e specifici, ma senza conseguenze sul personale dei musei. Invece con l’Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (decreto legislativo 112 del 1998), che contemplava il passaggio di gestione dei musei statali agli enti territoriali – grazie al lavoro congiunto di Stato, Regioni ed enti locali – si decise di adottare criteri tecnico-scientifici e standard minimi di funzionamento, che avrebbero potuto avere un impatto anche sul personale delle strutture museali. Era prevista infatti la presenza di addetti con profili professionali e ruoli diversi, ai quali si accedeva attraverso specifici requisiti e non solo per i musei di cui era previsto il trasferimento della gestione dallo Stato agli enti locali.[3]
Si trattava di una normativa che non poteva però imporre obblighi, né misure di trasparenza delle azioni intraprese da parte delle istituzioni pubbliche.[4] In mancanza di obblighi, di misure di trasparenza e del riconoscimento statale, le pur presenti figure professionali dei musei restano del tutto invisibili e senza alcun potere contrattuale.
Al contempo, anche nel caso dei musei ecclesiastici, con la Lettera circolare sulla funzione pastorale dei musei ecclesiastici (2001), stilata dalla Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, si affermava la necessità che tali strutture museali si dotassero di personale specializzato.

Per i beni culturali pubblici il Codice dei Beni Culturali (D.lgs. 42/2004) prevedeva l’obbligo di fissare i livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione su beni di pertinenza pubblica (art. 114). Sempre nel 2004 si istituiva la Commissione Montella che «si propose non solo di arricchire i contenuti dell’Atto di indirizzo del 2001, ma di trovare anche il modo di renderli effettivi attraverso correlate attività di valutazione o autovalutazione dei musei, quale presupposto indispensabile per ricevere sussidi pubblici e conseguenti processi di accreditamento, intesi come fondamentale strumento di accountability».[5] Tale commissione quindi lavorò fino al maggio 2008 alla definizione dei livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione su beni di pertinenza pubblica richiesti dal Codice dei Beni Culturali, proponendo importanti soluzioni. Per l’accreditamento dei musei la Commissione Montella si richiamava alla necessità di riconoscere ufficialmente una classe professionale già presente a livello nazionale, sia nelle strutture pubbliche sia in quelle private. Per questo motivo, si proponeva un riordino delle professioni al fine di porre un freno alla formazione professionale caratterizzata da un eccesso di offerta formativa e frutto non certo di una visione attenta della sua articolazione globale. La natura dei corsi dell’offerta formativa doveva divenire multidisciplinare e assolutamente trasversale, superando le solide barriere imposte dalle discipline teorico-speculative (storia dell’arte, archeologia, etc.), ma anche da quelle tecnico-scientifiche. L’impostazione speculativa tradizionale di tali discipline era ritenuta non collegata a  discipline giuridico-istituzionali ed economico-gestionali, considerate invece dalla Commissione assolutamente necessarie per i servizi museali.[6]

Nel 2005, in occasione della prima Conferenza Nazionale dei Musei d’Italia, si adottò un documento che definiva il personale museale come essenziale e si auspicava che alle amministrazioni fosse sottoposta la Carta Nazionale delle Professioni museali redatta da ICOM.[7] Il documento contemplava la presenza di venti profili professionali delineati anche in termini di formazione universitaria e di specifiche competenze. Tali profili sono relativi alle seguenti quattro aree funzionali,[8] coordinate dal direttore del Museo:

ricerca, cura e gestione delle collezioni;

servizi e rapporti con il pubblico;

amministrazione, finanze, gestione e relazioni pubbliche;

strutture, allestimenti e sicurezza.

Relativamente ai venti profili[9] le competenze di natura giuridico-istituzionale e quelle di natura economico-gestionale, richiamate dalla Commissione Montella e non previste dalle discipline di formazione tradizionale, naturalmente sono presenti perché funzionali alle attività da svolgere nel Museo. Volendo evidenziare la differenza fra le figure professionali di formazione tradizionale (archeologo, storico dell’arte, antropologo, etc.) e i venti profili previsti dalla Carta Nazionale delle Professioni Museali, potremmo affermare che nessuno dei venti profili si fonda esclusivamente sulle discipline accademiche della formazione tradizionale; anzi, tali discipline forniscono esclusivamente una solida conoscenza dei materiali delle raccolte museali, conoscenza che solo in parte rientra nella formazione di alcuni specifici profili professionali del museo.[10] Malgrado le necessità formative espresse nella Carta Nazionale in merito a specifiche funzioni e competenze, le discipline accademiche della formazione tradizionale vennero invece riproposte per il nuovo impianto delle scuole di specializzazione (2006).[11] Nel frattempo, la Commissione Montella nel 2008 aveva concluso il suo lavoro, ma i documenti prodotti allora non furono mai adottati attraverso l’emanazione di un decreto ministeriale, malgrado avessero ricevuto un unanime apprezzamento; la legislatura che aveva promosso la Commissione Montella purtroppo era stata oggetto di un’interruzione anticipata.
Potremmo affermare che le più antiche discipline teorico-speculative (archeologia, storia dell’arte, etc.) presso le sedi governative abbiano goduto di un “credito” maggiore rispetto alla quasi neonata museologia; ciò ha comportato che i professionisti museali, nella loro invisibilità, siano diventati non attori ma comparse di un teatro caratterizzato da scelte politiche ben poco lungimiranti.

In seno all’associazionismo museale internazionale e nazionale, alla fine del primo decennio del XXI secolo vennero approvati alcuni documenti a favore del riconoscimento dei professionisti dei musei. Nel 2008 avvenne la pubblicazione del Manuale Europeo delle Professioni Museali dell’International Committee for the Training of Personnel (ICTOP),[12] utile per «promuovere il riconoscimento nazionale e internazionale delle professioni museali e la mobilità dei professionisti»[13] in ambito europeo. Un ulteriore contributo ancora legato al tema delle professionalità è rappresentato dalla Conferenza Nazionale dei Musei del novembre 2008, che ribadiva l’esigenza di formare figure professionali rispondenti alle necessità dei musei, figure sottoposte a precisi criteri di selezione e a continuo aggiornamento attraverso una formazione continua. Nel 2010 la traduzione italiana dei Curricula Guidelines for Museum Professional Development di ICTOP forniva nuova linfa al dibattito e indicava competenze e abilità connesse alle diverse professioni museali; nello stesso anno il progetto Professioni e mestieri per il patrimonio culturale, voluto dalla Regione Lombardia in collaborazione con altre regioni italiane e con la provincia autonoma di Bolzano (unico ente a statuto speciale), prese in esame vari profili professionali nell’ambito della valorizzazione e conservazione del patrimonio culturale connessi a livelli europei di riferimento (EQF) e tracciò linee guida per la formazione di tali figure.
I documenti dell’associazionismo museale rappresentano un chiaro tentativo di evadere da quel limbo dell’invisibilità entro il quale il mancato riconoscimento statale ha relegato tali professionisti.

Malgrado tali passi avanti nella delineazione nazionale e internazionale dei profili professionali museali, i Profili professionali nel Ministero per i Beni e le Attività Culturali[14] individuavano nel 2010 ventuno figure di funzionari che ricadevano ancora, esclusivamente, nel campo delle discipline tradizionali (archeologo, storico dell’arte, demoetnoantropologo), tutte abilitate a curare l’ordinamento dei musei e la loro gestione in relazione ai beni di specifica competenza. «Unica eccezione le figure del funzionario restauratore conservatore e del funzionario per la promozione e la comunicazione, già prevista dal MiBAC nel 2001».[15] Tutte le altre figure dei professionisti museali ne rimanevano escluse.
Successivamente venne avviata una discussione sul mancato riconoscimento dei professionisti non iscritti a ordini o collegi ed emanata la legge del 14 gennaio 2013 n. 4 Disposizioni in materia di professioni non organizzate. Questo strumento normativo sembrava potesse consentire anche a tali professionisti di costituire ufficiali associazioni professionali, ma purtroppo non si rivelò sufficiente per conseguire l’ambito riconoscimento statale.

Nell’anno successivo (2014) un nuovo passo verso il riconoscimento delle professioni museali pareva fosse rappresentato dal Repertorio regionale delle competenze e dei profili formativi della cultura, tavolo di lavoro organizzato dalla Regione Lazio e promosso da ICOM. Malgrado l’individuazione in tale sede di vari profili professionali in base a uno standard condiviso, il lavoro svolto è apparso superato dall’approvazione di una nuova normativa indicata dalla legge Madia.[16] Tale legge «ha modificato il Codice dei beni culturali e del paesaggio affidando gli interventi operativi di tutela, conservazione, valorizzazione, gestione dei beni culturali ad archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte».[17]

Tutte queste figure professionali sono state riconosciute attraverso la legge Madia, ma ancora una volta non quelle dei professionisti museali.
Ciò avveniva «mentre il Decreto Ministeriale del 23 dicembre 2014, Organizzazione e funzionamento dei musei statali, ribadiva l’esigenza di stabilire degli standard di funzionamento e sviluppo coerenti con quelli formulati dall’ICOM e dall’Atto di indirizzo del 2001, di verificarne il rispetto, di valutare la economicità, l’efficacia e l’efficienza della gestione e la qualità dei servizi di valorizzazione, di adottare forme ancorché imprecisate di accountability».[18] Tale decreto del ministro Franceschini, legato anche al sistema museale nazionale, avviò l’emanazione di bandi di direttori di musei statali, senza che fossero stati definiti criteri «ponderati e certi»[19] che definivano le figure professionali dei musei. I direttori vincitori di concorso sono stati assunti e in alcuni casi anche riconfermati, a tutt’oggi, senza la definizione di competenze, abilità e percorsi formativi di settore.

Un ulteriore smacco ai danni dei professionisti museali fu rappresentato dall’istituzione della Scuola dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (2014) «ad uso interno del MiBACT, anziché ridisegnare organicamente il sistema della formazione universitaria e professionale».[20] L’istituzione della Scuola dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, a uso interno del MIBACT, quindi potrebbe rendere più difficile ai professionisti esterni al MIBACT l’ingresso nelle file di coloro che potrebbero lavorare nei musei pubblici, in un sistema formativo a dir poco farraginoso.

Ancora una volta gli sforzi maggiori per far uscire dall’anonimato gli invisibili professionisti museali sono stati compiuti da ICOM. In questi decenni ICOM non ha mai perso di vista l’obiettivo del riconoscimento dei professionisti museali e nel 2015 ha stipulato una convenzione con il Ministero della Cultura, convenzione che prevedeva fra i vari obiettivi comuni anche (art. 2) «l’individuazione di figure professionali idonee» e la «formazione e l’aggiornamento dei professionisti dei musei».[21] ICOM, con maggiore coerenza rispetto al Ministero, pone il problema della formazione degli operatori museali da anni, supportando anche le battaglie sostenute da Massimo Montella per un nuovo percorso formativo finalizzato alla creazione di figure professionali costruite «su conoscenze, competenze e abilità necessarie per ciascuna di esse»,[22] non più sui percorsi connessi agli ambiti disciplinari delle collezioni.

ICOM  ha preso parte attiva a una discussione con il supporto delle commissione tematiche (anche per un aggiornamento della Carta Nazionale delle professioni museali) dando vita al documento Professionalità e funzioni essenziali del museo alla luce della riforma dei musei statali (2017),[23] in cui si puntualizzava:

Oggi non esiste un percorso formativo specifico per le professioni museali. Le numerose lauree esistenti non offrono la possibilità di ottenere un’adeguata formazione in museologia. Le scuole di specializzazione - organizzate per ambiti disciplinari e non per funzione - non risultano attualmente professionalizzanti in questo campo, anche se alcune di esse hanno introdotto nei piani di studio insegnamenti di museologia, educazione al patrimonio, legislazione di settore, gestione museale. ICOM ritiene opportuno ripensare la formazione per ambiti disciplinari legati alle collezioni proponendo una formazione legata alle funzioni (es: responsabile della mediazione e dei servizi educativi, conservatore, ecc.), certamente più adatta al ruolo del museo contemporaneo.[24]

La posizione di ICOM si avvicinava quindi alle valutazioni formulate in seno alla Commissione Montella.

Un’ulteriore svolta sembrava poter giungere dai lavori avviati dalla Commissione Paritetica Consiglio Superiore dei Beni Culturali e del Paesaggio - Consiglio Universitario Nazionale, insediata nel luglio del 2017 e istituita a seguito della cosiddetta legge Madia.[25] Tale Commissione Paritetica vedeva il lavoro congiunto dei due Ministeri (MUR-MIC) nel delineare una formazione universitaria che tenesse maggiormente conto dei profili professionali nel campo del patrimonio culturale. In seno a tale Commissione finalmente venne stilata, alla fine dei lavori nel 2018, una scheda relativa alle figure professionali museali (nove profili professionali con relativi requisiti di accesso)[26] e un’attenzione particolare fu dedicata alla formazione delle scuole di specializzazione, immaginate di durata triennale e con un ultimo anno di tirocinio da spendere nei musei.[27] Ma dato che tale Commissione Paritetica CSBCP-CUN era stata istituita a seguito della legge Madia «il cui art. 9-bis35 non fa riferimento alle professioni dei musei»,[28] ciò «ha comportato che il conseguente esito normativo, il D.M. 244 del 20 maggio 2019,[29] non preveda, tra i profili lavorativi dei beni culturali, quelli museali».[30]

Ancora una volta si registra l’incongruenza del Ministero della Cultura e il peso di una tradizionale impostazione che attribuisce valore unicamente ai criteri disciplinari e non a quelli professionali; infatti, – come ha notato Patrizia Dragoni – per corollario si assume «che uno storico dellarte, un archeologo, un antropologo posseggano, a percorsi formativi rimasti pressoché identici da tempo salvo poche eccezioni, le abilità e le competenze per potere dirigere un museo o lavorarvi».[31]

Impossibile che le figure professionali dei musei possano uscire dal regno delle ombre senza un deciso e coerente intervento dello Stato.

Malgrado l’intesa stipulata con ICOM nel 2015, il Ministero della Cultura registra in quegli anni un ennesima contraddizione, non tenendo conto di un ulteriore proprio decreto emanato un anno prima (rispetto al D.M. 244 del 20 maggio 2019),[32] il D.M. 21 febbraio 2018 n. 113 Adozione dei livelli uniformi di qualità per i musei e i luoghi della cultura di appartenenza pubblica e attivazione del Sistema Museale Nazionale.[33] In base a tale decreto:

la presenza di specifiche figure professionali nell’organigramma di un istituto o nella struttura dell’ente titolare costituisce un aspetto essenziale per assicurare la corretta gestione di un museo, e la capacità di definire un efficace progetto culturale, coerente con la missione del museo e con adeguate azioni di fruizione e valorizzazione. Nei documenti di riconoscimento/accreditamento per i musei non statali prodotti dalle Regioni, l’individuazione delle figure professionali e/o delle funzioni, che necessariamente devono essere assicurate da ogni istituto (o nell’ambito di una rete museale), costituisce un presupposto fondante.[34]

Sebbene l’individuazione di tali figure sia stata dunque ritenuta «presupposto fondante» e la loro presenza nei musei sia stata definita «un aspetto essenziale», nulla è cambiato e gli effetti della pandemia hanno indebolito la posizione dei professionisti museali intensificando, all’opposto, la loro invisibilità.

 

3. Dal periodo pandemico per Covid-19 a oggi

La pandemia ha indotto una temporanea attenzione verso i professionisti museali a causa delle chiusure dei musei, con la conseguente perdita del lavoro da parte soprattutto dei professionisti freelance o dei consulenti.[35] Al contempo, in quella fase, i musei sono stati costretti a elaborare nuove metodologie, modalità comunicative e inediti strumenti per conservare attiva la relazione educativa con i pubblici. Un enorme lavoro è stato svolto dagli educatori museali, dai digital media curators, dagli storytellers;[36] ad essi si sono aggiunti i professionisti museali di altri ambiti, quali i direttori di musei e i conservatori che hanno in remoto presentato e illustrato il museo (in quella fase di chiusura) e le relative collezioni esposte e in deposito. Malgrado tali attività straordinarie, nulla è stato loro attribuito, considerato che nessuna identità professionale è stata ottenuta da tale categoria di lavoratori rimasti invisibili.

Nel 2020 è stato siglato un altro documento fra MIC e MUR al fine di (art. 3) «garantire una maggiore omogeneità dei percorsi formativi, una maggiore aderenza alle necessità professionali del mercato del lavoro, a vantaggio della qualificazione degli studenti, degli specializzandi e dei dottorandi».[37] Ma in tutto il documento i termini musei/museale ricorre un’unica volta e non nel senso auspicato. Stesso risultato deludente indica il documento redatto dalla Fondazione Scuola Beni Attività Culturali (2020), che offre una sintesi delle innumerevoli occasioni mancate fra MIC e MUR per giungere all’auspicato riconoscimento e illustra il quadro di un’offerta formativa con inutili e dannose sovrapposizioni.[38] Al fine di rimarcare il dialogo interdisciplinare che dovrebbero costituire un ponte tra il sistema universitario  e la gestione dei beni culturali, l’Università di Macerata ha voluto ricordare con un convegno l’eredità del portato culturale di Massimo Montella. Gli atti (2022) delineano il contesto culturale e formativo in cui devono innestarsi le abilità, le competenze e i percorsi formativi dei professionisti museali.[39] 

Malgrado tutto il lavoro svolto in ambito accademico e in seno a ICOM, ancora nel 2023 la categoria dei professionisti museali è spesso sottoposta a un indegno sfruttamento, e ancora non ne sono state definite «[…] competenze, abilità e i relativi percorsi formativi».[40] A titolo esemplificativo, nei Musei Civici di Milano nel 2022 ai lavoratori esternalizzati era conferita una paga oraria inferiore a cinque euro, come nel caso dei Musei Civici di Trieste; talvolta erano previsti turni di lavoro di dieci ore consecutive.[41] Le misere paghe sono quindi orarie (o a giornata), ovviamente non rientrano nel salario minimo[42] e i profili di chi le riceve (soprattutto donne) sono iperspecializzati e in maggioranza possessori di laurea magistrale. Secondo Umberto Croppi, direttore di FederCulture, «il livello di istruzione qui è molto più alto che in altri settori, ma il corrispettivo retributivo è assurdo».[43]

I dati sulle condizioni di lavoro sono stati raccolti nel 2022 attraverso il questionario sui lavoratori nel campo dei beni culturali (in cui naturalmente rientrano anche i musei) elaborato dall’associazione Mi Riconosci?[44] e presentato in sala stampa alla Camera dei Deputati nel gennaio 2023. Le risposte rivelano un sistema del lavoro basato su dinamiche che immiseriscono al contempo sia i lavoratori (che le subiscono in prima persona), sia il contesto socio-culturale nazionale in cui vengono attuate e in cui i lavoratori purtroppo rimangono totalmente invisibili, senza un concreto supporto da parte delle istituzioni.

Dalla lettura delle risposte che i migliaia di lavoratori[45] hanno rilasciato tramite il questionario, emerge che la prima causa di questa mortificante situazione possa attribuirsi alla legge Ronchey (L. 14.1.1993, n. 4) approvata nel 1993 dal Parlamento e che prevede l’esternalizzazione dei servizi di biblioteche, archivi e musei e la possibilità di utilizzare anche volontari per svolgere i servizi richiesti da tali istituzioni culturali. Tale legge, secondo i dati elaborati da Mi Riconosci?, ha deresponsabilizzato la pubblica amministrazione e generato «un sistema contrattuale che può funzionare solo abbassando il costo del lavoro, […] con un Ministero immobile e disinteressato».[46] Il Ministero non analizza infatti i salari dei lavoratori del settore, né indaga sul numero e sulla condizione di tali lavoratori per averne un quadro d’insieme.[47] In base al sondaggio di Mi Riconosci?, il 63,8% dei lavoratori è stato obbligato dal datore di lavoro ad aprire la partita Iva, pur non rientrando nella categoria dei lavoratori autonomi.[48] Ancora una volta sul palcoscenico del teatro/museo agli operatori museali è stato imposto un travestimento, tale da renderli invisibili agli occhi dello Stato.

 Per quanto concerne i musei e soprattutto i pericoli insiti nell’esternalizzazione dei servizi della didattica, la Commissione Educazione e mediazione di ICOM Italia nel 2009 scriveva:

esternalizzare attività di divulgazione e di didattica non deve coincidere con il demandare a soggetti terzi la funzione educativa del museo e il progetto educativo, inteso quale azione cruciale e complessa;

assegnare a soggetti terzi le suddette attività non solleva in alcun modo il museo dalle responsabilità ad esse collegate;

esiste una differenza sostanziale tra la gestione dei servizi aggiuntivi quali la caffetteria o il bookshop, rispetto a quella delle attività di mediazione.[49]

 

Per uscire dall’anonimato e tentare di avere maggiore potere contrattuale, gli educatori museali italiani si sono costituiti nel 2021 in associazione (Associazione Italiana Educatori Museali, AIEM) e hanno intrapreso diverse attività, quali

 

invio di lettere aperte agli enti (pubblici o privati) che indicono bandi per «addetti alla didattica museale», richiedendo esclusivamente un titolo di studio di istruzione secondaria di primo grado;[50]

 proposta di emendamento a un comma del DDL n. 2087, relativo alle linee guida per la professione della guida turistica, per difendere e distinguere le prerogative degli educatori museali da quelle delle guide turistiche.[51]

 

Il mancato riconoscimento delle figure dei professionisti museali da parte dello Stato, se venisse ulteriormente perseguito nelle scelte fortemente miopi del Governo italiano, potrebbe non solo ridurre drasticamente il numero dei lavoratori del settore e degli studenti che prediligono tali ambiti, ma anche mettere presto in luce conseguenze negative, relativamente a teorie e pratiche museali lontane dagli obiettivi che il Museo democratico dovrebbe porsi. Verrebbero a mancare i professionisti museali (e nello specifico la categoria degli educatori museali) nella loro funzione educativa di rispetto dei beni culturali, disattendendo la mission del Museo in termini di inclusione sociale e di integrazione culturale in relazione con le comunità del territorio. Si verrebbe così a spezzare la necessaria, delicata e sensibile relazione comunità/territorio vivamente promossa dalla stessa Convenzione di Faro.[52]

 

 

 

 

Riferimenti bibliografici

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 Montella M., Dragoni P. (a cura di), Musei e valorizzazione dei Beni culturali. Atti della Commissione per la definizione dei livelli minimi di qualità delle attività di valorizzazione, Bologna, Clueb, 2010.

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Raicovich L., Lo Sciopero della Cultura, Varese, Nomos, 2022 (ed. orig. Culture Strike – Art and Museums in an Age of Protest, New York, New Left Books, 2021).

Sabatini M. 2022, L’Università per l’educazione al patrimonio culturale, tra storia, possibilità e prospettive, «Il Capitale Culturale», n. 25, 2022, pp. 585-602.

Sciullo G., Musei e codecisione delle regole, «Aedon», n. 2, 2001, <http://www.aedon.mulino.it/archivio/2001/2/sciullo.htm> [consultato il 22 marzo 2023].

     Taormina A., Lavoro culturale e occupazione, Milano, Franco Angeli, 2021.

 

[1] Oltre allo sfruttamento con paghe e orari al di fuori di qualsiasi equilibrato contratto di lavoro si aggiungono, presso il Ministero della Cultura, l’assenza della copertura del turnover e un’età media dei lavoratori intorno ai sessant’anni. Presso alcuni musei (fra cui il Museo Archeologico Nazionale di Taranto) si è dovuto ricorrere all’esternalizzazione (ditte private che spesso si avvalgono di liberi professionisti a partita iva), a causa della drammatica carenza di personale. Su questi temi cfr. S. Mazza, ll Manifesto sui Diritti e i Doveri Culturali: bene, ma manca il segno sul diritto al lavoro, 16/12/2021, <https://www.finestresullarte.info/opinioni/manifesto-sui-diritti-e-doveri-culturali-bene-ma-manca-segno-su-diritto-al-lavoro>; G. Giaume, Si può ancora lavorare nel mondo della cultura?, «Artribune», 21 Ottobre 2022 <https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/politica-e-pubblica-amministrazione/2022/10/lavoro-cultura-problemi/>; L. Raicovich, Lo sciopero della cultura. Arte e musei nell’epoca della protesta, Varese, Nomos, 2022 (ed. orig. Culture Strike – Art and Museums in an Age of Protest, New York, New Left Books, 2021).

[2] Si trattava almeno delle regioni Emilia Romagna, Lombardia, Umbria Toscana e di norme tecniche e norme legislative. Cfr. Criteri Tecnico-scientifici e standard di qualità per i musei, «Notiziario del Ministero per i beni e le attività culturali», XV, gennaio-dicembre 2001, pp. 65-67; G. Marchi, Criteri e standard per la gestione dei musei, «Aedon», n. 2, 2001, <http://www.aedon.mulino.it/archivio/2001/2/marchi.htm>; M. Negri, M. Sani, Museo e cultura della qualità, Bologna, Clueb. 2001; G. Sciullo, Musei e codecisione delle regole, «Aedon», n. 2, 2001, <http://www.aedon.mulino.it/archivio/2001/2/sciullo.htm>; M.T. Polito, L’indagine della Corte dei Conti sui musei di enti locali, «Notiziario», Ufficio Studi del Ministero per i beni e le attività culturali, n. XXI, 2006, pp. 61-64; D. La Monica, E. Pellegrini (a cura di), Regioni e musei: politiche per i sistemi museali dagli anni Settanta a oggi, Atti del Convegno (Pisa, Scuola Normale Superiore, 4 dicembre 2007), Pisa, LARTTE, 2009; I. Colpo, A. Di Mauro, F. Ghedini (a cura di), Standard nazionali di qualità per le professioni nei musei, Roma, Quasar, 2010, pp. 15- 22; M. Montella, P. Dragoni (a cura di), Musei e valorizzazione dei Beni culturali. Atti della Commissione per la definizione dei livelli minimi di qualità delle attività di valorizzazione, Bologna, Clueb-eum, 2010.

[3] Col decreto ministeriale del 10 maggio 2001, Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei si indicarono le undici figure professionali previste nelle strutture museali; cfr. Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (D.lgs. 112/98, art. 150, comma 6), Microsoft Word - 01 - copertina.doc (beniculturali.it). Sempre nel 2001 la Legge Costituzionale n. 3 aggiungeva alla funzione di tutela quella di valorizzazione.

[4] Cfr. P. Dragoni, «La logica del mondo alla rovescia»: una lunga strada verso lauspicato riconoscimento delle figure professionali dei musei, «Il capitale culturale», Supplementi 12, 2022, pp. 107-121. Il testo di Dragoni offre una chiara ricostruzione delle vicende del mancato riconoscimento statale ed evidenzia la necessità di riflettere su una comune strategia di intervento.

[5] Ivi, p. 112.

[6] Cfr. M. Montella, P. Dragoni (a cura di), Musei e valorizzazione dei beni culturali, Clueb, 2010, p. 224; P. Dragoni, La logica del mondo alla rovescia, cit., p. 112.

[7] Ispirata ai Curricula Guidelines for the Museum Professional Development (ICTOP, 2001) e all’ICOM Code of Ethics (2001), la Carta Nazionale ha avuto più edizioni; vedi ICOM, Carta nazionale delle professioni museali, 2005, https://www.icom-italia.org/wp-content/uploads/2018/07/ICOMItalia.CartaNazionaleProfessioniMuseali.2005-2006.pdf.

[8] Cfr. ivi, p. 7.

[9] Si indicano tali profili suddivisi in base alle aree funzionali. Ricerca, cura e gestione delle collezioni: conservatore, catalogatore, responsabile del servizio prestiti e della movimentazione delle opere, restauratore, assistente addetto alle collezioni. Servizi e rapporti con il pubblico: responsabile dei servizi educativi, educatore museale, coordinatore dei servizi di accoglienza e custodia, operatore dei servizi di accoglienza e custodia, responsabile dei servizi di documentazione, responsabile della biblioteca. Area amministrativo, finanziario, gestionale e delle relazioni pubbliche: responsabile amministrativo e finanziario, responsabile della segreteria, responsabile dell’ufficio stampa e delle relazioni pubbliche, responsabile per lo sviluppo (fund raising, promozione e marketing), responsabile del sito web. Strutture e sicurezza: responsabile delle strutture e dell’impiantistica, responsabile della rete informatica, responsabile della sicurezza, progettista degli allestimenti degli spazi museali e delle mostre temporanee. Cfr. ivi p. 2.

[10] La conoscenza dei materiali è prevista per figure quali il direttore o il conservatore, invece ne sono del tutto escluse figure quali quella del responsabile amministrativo e finanziario, del responsabile della sicurezza, del responsabile della rete informatica, solo per menzionarne alcune.

[11] Cfr. D.M. 31 gennaio 2006, Riassetto delle Scuole di specializzazione nel settore della tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio culturale, http://attiministeriali.miur.it/anno-2006/gennaio/dm-31012006.aspx .

[12] Il documento è basato sul confronto di carte nazionali delle professioni museali di vari paesi europei (Svizzera, Francia e Italia). Cfr. International Committee for the Training of Personnel, Manuale Europeo delle Professioni Museali, 2008, https://www.icom-italia.org/wp-content/uploads/2018/04/ICOMItalia.ManualeEuropeoProfessioniMuseali.2005.pdf.

[13] International Committee for the Training of Personnel, Manuale Europeo delle Professioni Museali, 2008, https://www.icom-italia.org/wp-content/uploads/2018/04/ICOMItalia.ManualeEuropeoProfessioniMuseali.2005.pdf, p. 5.

[14] MIC, Profili professionali nel Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 2010, https://noidelpolocisl.files.wordpress.com/2013/12/profili-mibac.pdf.

[15] P. Dragoni, La logica del mondo alla rovescia, cit., p 114.

[16] La cd. legge Madia è la Legge 22 luglio 2014, n. 110, Modifica al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di professionisti dei beni culturali, e istituzione di elenchi nazionali dei suddetti professionisti.

[17] P. Dragoni, La logica del mondo alla rovescia, cit., p 115.

[18] Ibidem.

[19] Ivi, p. 109.

[20] Ivi, p. 115.

[21] ICOM-MIC, Accordo di collaborazione tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e l’International Council of Museums, 2015.

[22] Cfr. A. Maresca Campagna, Intervento alla tavola rotonda I profili professionali dei beni culturali e dei musei dopo il D.M. 244 del 20 maggio 2019, «Il capitale culturale», Supplementi 12, 2022, p. 132.

[23] ICOM, Professionalità e funzioni essenziali del museo alla luce della riforma dei musei statali, 2017, https://www.icom-italia.org/wp-content/uploads/2018/07/ICOMItalia.Professionalit%C3%A0FunzioniEssenzialiMuseo.2017.pdf

[24] Ivi, p. 13.

[25] Cfr. supra, nota 13.

[26] Cfr. Allegato 2. I profili professionali nel campo dei beni culturali. Un contributo per una migliore qualificazione dei percorsi universitari, https://www.cun.it/uploads/6791/Iprofiliprofessionalidelpatrimonioculturale.pdf?v=.

[27] Cfr. P. Dragoni, La logica del mondo alla rovescia, cit., p. 117.

[28] Ivi, p. 118.

[29] <https://dger.beniculturali.it/wp-content/uploads/2021/02/Guida-alle-professioni-deibeni-culturali-individuate-dall’art.-9-bis-del-Codice-dei-Beni-Culturali-e-del-Paesaggio.pdf> [D.M. 244 del 20 maggio 2019, Procedura per la formazione degli elenchi nazionali di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, esperti di diagnostica e di scienza e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso dei requisiti individuati ai sensi della legge 22 luglio 2014, n. 110].

[30] Ibidem. Cfr. il Decreto Ministeriale 244 del 20 maggio 2019, Regolamento concernente la procedura per la formazione degli elenchi nazionali di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, esperti di diagnostica e di scienza e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso dei requisiti individuati ai sensi della Legge 22 luglio 2014, n. 110 (Modifica al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, in materia di professionisti dei beni culturali, e istituzione di elenchi nazionali dei suddetti professionisti, https://dgeric.cultura.gov.it/wp-content/uploads/2019/07/1559200768238_D.M._20_MAGGIO_2019_REP._244.pdf.

[31] P. Dragoni, La logica del mondo alla rovescia, cit., p. 118.

[32] Su questo decreto si veda supra, nota 26.

[33]Cfr. D.M. 21 febbraio 2018, https://storico.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1523359335541_REGISTRATO_D.M._21_FEBBRAIO_2018_REP._113.pdf. Tale decreto teneva conto anche di vari documenti dell’ICOM (compreso il Codice Etico) e di altri decreti ministeriali (fra cui l’Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento dei musei del 2001).

[34] D.M. 21 febbraio 2018, Livelli Uniformi di Qualità dei musei, Allegato I - LUQ (beniculturali.it), p. 11. In merito alle figure professionali e/o funzioni da assicurare, tale decreto specifica quanto segue: «Il riferimento è alle figure del direttore del museo, del curatore delle collezioni, del responsabile dei servizi educativi, del responsabile delle procedure amministrative ed economico-finanziarie, del responsabile delle pubbliche relazioni, marketing e fundraising, e del personale addetto ai servizi di vigilanza e di accoglienza. Altre figure, come quella del responsabile della sicurezza, sono conseguenti alla necessaria applicazione di normative nazionali, cui tutti gli istituti aperti al pubblico sono tenuti a uniformarsi. In alcuni casi, ove necessario, dette funzioni possono essere svolte dal direttore del museo». Ibidem.

[35] Cfr. ICOM, Report Museums, museum professionals and COVID-19, 2020, https://icom.museum/wp-content/uploads/2020/05/Report-Museums-and-COVID-19.pdf , p. 2.

[36] Un grande lavoro è stato svolto da Silvia Mascheroni nel coordinare il gruppo di lavoro Educazione al patrimonio culturale. Musei-scuole-territorio e professionalità, https://www.icom-italia.org/educazione-al-patrimonio-culturale-musei-scuole-territorio-e-professionalita/#azionintraprese .

[37] MIC-MUR, Protocollo d’intesa, 17 febbraio 2020, https://dgeric.cultura.gov.it/wp-content/uploads/2021/07/Protocollo_MIBACT-MUR_2020-signed__00000002_-signed-1.pdf .

[38] Cfr. Fondazione Scuola Beni Attività Culturali, Competenze per il patrimonio culturale, RapportoFinale_CompetenzePatrimonioCulturale.pdf (fondazionescuolapatrimonio.it), 2020. Sull’occupazione nel campo del patrimonio culturale, cfr. A. Taormina, Lavoro culturale e occupazione, Milano, Franco Angeli, 2021.

[39] Cfr. M. Cerquetti, P. Dragoni (a cura di), L’eredità di Massimo Montella, Atti della giornata di studio (Macerata, 25 novembre 2021), «Il capitale culturale», Supplementi 12 (2022), pp. 161-169.

[40] P. Dragoni, La logica del mondo alla rovescia, cit., p. 109. Su percorsi di formazione legati a competenze necessarie nel settore delle professioni inerenti al patrimonio culturale, si veda il progetto europeo (Erasmus Plus) Charter: European Cultural Heritage Skills Alliance, concepito per professionalizzare le figure dei lavoratori di tale settore in Europa e per analizzare tale ambito in virtù delle relative potenzialità economiche ancora non censite. Cfr. Charter: European Cultural Heritage Skills Alliance 2021.

[41] Cfr. Mi Riconosci?, Lavorare nel settore culturale, https://www.miriconosci.it/istruzioni-questionario-lavoro-culturale/, 2022. Sulle difficoltà dei lavoratori nel settore delle professioni legate al patrimonio culturale cfr. A. Taormina, Lavoro culturale e occupazione, cit.

[42] In Italia il salario minimo è indicato dalla contrattazione collettiva nazionale esclusivamente per le categorie professionali riconosciute. I professionisti museali non rientrano purtroppo in nessuna di tali categorie. Cfr. Camera dei Deputati, Documentazione parlamentare, Salario minimo, https://temi.camera.it/leg19/temi/salario-minimo.html , 14 novembre 2022.

[43] Mi Riconosci?, Lavorare nel settore culturale, cit.

[44] Cfr. ibidem.

[45] Di essi il 75% lavora per i privati (a dimostrazione della grande politica della L. Ronchey a favore delle esternalizzazioni), il 22% lavora nella pubblica amministrazione. Ibidem.

[46] L. Montagnoli, Lavoro nella cultura: contratti precari e salari inadeguati. Il questionario di Mi Riconosci?, «ArtTribune», 17 gennaio 2023, https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/politica-e-pubblica-amministrazione/2023/01/lavoro-cultura-contratti-precari-salari-inadeguati-questionario-mi-riconosci/?utm_source=Newsletter%20Artribune&utm_campaign=7dd3450bfa-EMAIL_CAMPAIGN_2023_01_18_02_13&utm_medium=email&utm_term=0_dc515150dd-7dd3450bfa-%5BLIST_EMAIL_ID%5D&ct=t%28%29&goal=0_dc515150dd-7dd3450bfa-154255471Gli%20educatori%20museali%20in%20Italia,%20storia%20di%20lavoratori%20invisibili .

[47] Legato agli effetti della pandemia sulla chiusura delle istituzioni culturali è stato il cosiddetto tavolo permanente per i lavoratori dei musei, degli archivi e delle biblioteche, istituito dal ministro Franceschini nel gennaio del 2021 (cfr. Tavolo permanente per i lavoratori dei musei, degli archivi e delle biblioteche, https://www.beniculturali.it/comunicato/franceschini-nasce-il-tavolo-permanente-per-i-professionisti-della-cultura) e che successivamente non ha certo avuto alcun carattere “permanente”.

[48] Cfr. L. Montagnoli, Lavoro nella cultura: contratti precari e salari inadeguati, cit.

[49] ICOM Italia, Commissione Educazione e Mediazione, La funzione educativa del museo e del patrimonio culturale: una risorsa per promuovere conoscenze, abilità e comportamenti generatori di fruizione consapevole e cittadinanza attiva, https://www.regione.toscana.it/documents/10180/70936/La%20funzione%20educativa%20del%20museo%20e%20del%20patrimonio%20culturale/1f18f179-4bd9-4478-8c04-04bcce7c2462 .

[50] Per svolgere le attività educative gli educatori museali rivendicano invece la necessità di una laurea almeno triennale, accompagnata da corsi di formazione specifici nell’ambito della pedagogia del patrimonio o della didattica dell’arte; cfr. AIEM, Lettera aperta alla SI.GE.RI.CO. SpA., www.aiem-educatorimuseali.it/aiem/articolo-articolo-3, 20 luglio 2022.

[51] AIEM, L’educatore museale e al patrimonio e la guida turistica, due professioni a confronto. Riflessioni sugli emendamenti al DDL guide turistiche, L’educatore museale e al patrimonio e la guida turistica, due professioni a confronto. Riflessioni sugli emendamenti al DDL guide turistiche. - AIEM (aiem-educatorimuseali.it), 15 giugno 2022.

[52] Consiglio d’Europa, Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, 2005, http://musei.beniculturali.it/wp-content/uploads/2016/01/Convenzione-di-Faro.pdf.


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