Per Giancarlo Magnano San Lio
di Santo Burgio, Corrado Giarratana, Luigi Ingaliso, Ivana RandazzoLa complessa vicenda intellettuale di Giancarlo Magnano San Lio va letta e compresa attraverso la fitta trama di relazioni umane e professionali che egli ha saputo tessere lungo tutta la sua carriera accademica a partire dalle persone che più gli sono state accanto nelle sue peregrinazioni scientifiche, amici e allievi in primo luogo. Questo spiega la necessità di scrivere a più mani il ritratto di un amico e di un maestro con cui si è spezzato il pane quotidiano della ricerca e dell’insegnamento nella più antica istituzione accademica della Sicilia.
Questa parabola esistenziale la si intende ancora meglio se si guarda all’orizzonte culturale, in particolare storico-filosofico, in cui Magnano San Lio si è formato e ha prodotto i suoi primi lavori da studioso di storia della filosofia, cioè alla scuola catanese di Corrado Dollo. In questo senso, c’è un incontro che riveste un’importanza cruciale per questa tradizione di pensiero, che determinerà non solo un nuovo approccio all’analisi dei problemi filosofici, ma la stessa visione storiografica di Dollo e dei suoi allievi di prima e seconda generazione, ed è quello con la scuola storicistica napoletana. La costruzione di un orizzonte storicista a Catania si era nutrito del dialogo tra Corrado Dollo e Giuseppe Giarrizzo che non solo fu il tramite con Fulvio Tessitore e, poi, con Giuseppe Cacciatore, ma divenne costante riferimento, soprattutto dopo la morte di Dollo, nel 2001, per tutti i suoi allievi. Non è un caso che, assieme a Giuseppe Giarrizzo e a Enrico Iachello, Magnano San Lio pubblicherà nel 2008 un saggio per celebrare i primi venti anni dell’Archivio di storia della cultura, cioè di quella rivista nella quale Fulvio Tessitore, in un celeberrimo articolo-manifesto, delineava gli obiettivi e le premesse filosofiche del nuovo periodico che, nel tempo, avrebbe accolto tanti contributi della scuola filosofica di Catania. La filosofia della storia affrancata dalla dialettica è diventata il caposaldo per ogni ricerca filosofica successiva, non solo per gli storici della filosofia, ma anche per lo stesso Giarrizzo che l’ha pienamente sperimentata nelle sue ricerche sul Settecento siciliano ed europeo. Non sorprenderà quindi che il ricordo di Giarrizzo, dopo la sua scomparsa nel 2015, venne affidato a Giuseppe Cacciatore, e che lo stesso Magnano San Lio curerà un volume Per Giuseppe Giarrizzo (2019).
Lo storicismo, quindi, all’interno della scuola catanese aveva progressivamente assunto la funzione di una bussola per orientare le ricerche e la methodus con cui affrontare l’analisi dei temi storico-filosofici, a cui però mancava una riflessione storiografica che si ponesse in rapporto dialettico con quella napoletana. Giancarlo Magnano San Lio fu, tra gli allievi di Dollo, quello che intraprese il percorso di ricostruzione della coscienza storicistica fin dalle sue origini e questo si tradusse in un confronto serrato con la produzione diltheyana sulla quale, già Cacciatore (ricordato come «maestro autorevole ed amico generoso»), aveva pubblicato diversi lavori a partire dagli anni Settanta del secolo scorso.
Nella fertile produzione scientifica che conta oltre 150 titoli, la riflessione diltheyana ha assunto negli anni la struttura di un fiume carsico che, pur apparendo in superficie in modo discontinuo, traccia inesorabilmente il corso dell’acqua fino al grande mare della conoscenza. Guardando agli scritti di Magnano San Lio, è indubbio che il filosofo di Biebrich ha fornito, nel tempo, al nostro studioso, non solo i temi, ma anche un approccio metodologico, un’ermeneutica e un’euristica filosofica per comprendere meglio il dipanarsi del pensiero filosofico tedesco contemporaneo e non solo: in altre parole, c’è l’idea chiara, fin dalle scritture giovanili di Giancarlo, che la comprensione dell’ultimo Dilthey, quello de L’essenza della filosofia (1907) e de La costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito (1910), possa essere considerata da un lato la cifra più alta dell’intera parabola speculativa diltheyana e, dall’altro, uno strumento per leggere un’intera tradizione di pensiero che affonda le sue radici nella Mitteleuropa, e sulla quale Magnano San Lio aveva già iniziato a riflettere con la pubblicazione del volume su La filosofia austriaca contemporanea (1991), ma in modo più sistematico nella seconda metà degli anni Novanta in un corposo saggio Wissenschaftliche Grundlegung und geschichtliches Bewußtsein: die Weltanschauungslehre und die Philosophie der Philosophie als abschliessendes Ergebnis des Diltheyschen Denkweges (1996), e poi con la fondamentale monografia Filosofia e storiografia. Fondamenti teorici e ricostruzione storica in Dilthey (2000), preceduta di qualche anno dalla traduzione de La dottrina delle visioni del mondo (1998) di Dilthey. Lo storicismo critico e problematico di Dilthey ha rapito Magnano San Lio non solo per la capacità di ricollocare l’uomo intero al centro della riflessione filosofica, ma anche perché era in grado di parlare, di fornire risposte, probabilmente non esaustive, al nostro tempo: l’uomo è storia.
L’attenzione al fatto storico, mediata dalla lente dello storicismo, permea profondamente gli studi e l’interesse di Magnano San Lio tanto da costituire un vero e proprio programma di ricerca di lungo periodo che trova nell’Archivio di Storia della cultura, fondato da Tessitore nel 1988 e diretto dallo stesso Tessitore con Domenico Conte e Edoardo Massimilla, il principale strumento di questa azione. In altre parole, come già aveva scritto nella monografia del 2000, si consolida in lui, sempre di più, il convincimento storiografico che il nucleo forte della riflessione di Dilthey si fonda sull’idea di storicizzare le principali forme dell’esperienza umana. Non è un caso che Magnano San Lio scelga di iniziare questa lunga collaborazione con l’Archivio pubblicando la traduzione de L’idea di Lebensphilosophie in Dilthey di Georg Misch, uno dei maggiori esponenti della “corrente diltheyana” del Novecento, evidenziandone la più compiuta interpretazione del percorso speculativo di Wilhelm Dilthey. Questi temi si uniscono ad altre ricerche come quella sulle riflessioni “gestaltiche” di Christian von Ehrenfels, sul positivismo di Du Bois-Reymond e sul contesto storico-filosofico della Germania tra Sette e Ottocento.
Il primo quindicennio di ricerche è quindi dedicato ad un’indagine serrata dei fondamenti diltheyani a partire dalle scritture giovanili. In particolare, vengono prese in esame le due componenti del pensiero maturo del filosofo tedesco, cioè l’istanza storico-filosofica, che si realizza attraverso l’analisi e la ricostruzione della storia della filosofia, e l’esigenza autenticamente gnoseologica che guarda alla fondazione delle scienze dello spirito. Tutto ciò obbediva alla necessità del filosofo tedesco di creare una sintesi tra una critica della ragione storica, svincolata da ogni metafisica che avesse pretese di oggettività dogmatica, e una fondazione scientifica delle scienze dello spirito capace sia di superare – contrariamente alla metodologia degli anni precedenti – i limiti di una lettura meramente psicologista, sia le metodologie delle scienze dure. Questi temi, in quei decenni, ebbero grande importanza in Germania e basterebbe, a questo proposito, ricordare il dibattito suscitato dalla pubblicazione de La filosofia come scienza rigorosa di Husserl. Pur avendo dissezionato il pensiero filosofico diltheyano fino alle più piccole parti, il quadro che Magnano San Lio analizza e ricompone in questi anni non è caratterizzato dalla sistematicità assoluta; del resto, come ha scritto più volte, questa sarebbe in qualche modo in contraddizione con lo stesso filosofare di Dilthey, cioè con «una dimensione infinita e molteplice della vita, che l’uomo da sempre ha tentato di cogliere e di rappresentare con modalità il più possibile esaustive e rassicuranti». Certo è che la critica della ragione storica e la fondazione delle scienze dello spirito, pur costituendo delle ricerche in qualche modo indipendenti, nella vicenda intellettuale di Dilthey hanno finito spesso per incontrarsi e intrecciarsi, specie nell’ultima parte della sua vita. Infatti, proprio dalla critica della ragione storica, cioè dal riconoscimento della storicità dell’uomo e del mondo trae linfa la “filosofia della filosofia”. In altre parole, l’idea di pensare la filosofia come prodotto umano: essa, quindi, può essere compresa solo nel suo darsi nella storia, cioè solo quando la si considera come storia del pensiero che rimanda, come nel più perfetto circolo ermeneutico, al suo creatore, cioè all’uomo che vive in un tempo, nel suo tempo storico. Come notato da Magnano San Lio, il ruolo della filosofia sembra in questo caso fortemente ridimensionato – specie se lo si confronta con le grandi costruzioni metafisiche del passato –; questa apparente deminutio la si comprende bene solo se la si legge assieme alle ricerche diltheyane sulle visioni del mondo, cioè unitamente a tutti quei saperi, a quelle forme culturali – religione e poesia, ad esempio – che cercano di comprendere la totalità attraverso un’intuizione o una visione dell’intero. In questo contesto, la filosofia svolge un ruolo di primo piano non solo perché connette le varie visioni del mondo, ma perché, attraverso un processo di ascensione storica, comprende le sue articolazioni e assurge al ruolo di disciplina fondativa e chiarificatrice delle altre, fuggendo ogni tentazione metafisica. Consapevole dell’importanza di questi temi, Magnano San Lio dedica al concetto di Weltanschauung due significativi volumi – probabilmente i più originali e impegnativi di questo periodo – con lo scopo di far emergere tutta la sua complessa valenza culturale nella Kulturgeschichte europea degli ultimi due secoli in cui la vicenda diltheyana assume la funzione di snodo cruciale: c’è in altre parole, un prima e un dopo Dilthey secondo un piano di ricerca che va da Kant al Novecento. Queste riflessioni sembrerebbero riguardare solo il registro di una ricerca che si fa teoresi, ermeneutica, probabilmente lontana dagli interessi dei non filosofi, ma in realtà nella riflessione di Magnano San Lio tutto ciò non è privo di conseguenze sulla propria singolarità. Infatti, se da un lato è vero che la Lbenphilosophie si costruisce attraverso lo studio delle Weltanschauungen, dall’altro essa non smette di interrogare il singolo individuo che attraversa la sua parentesi esistenziale, che vive la sua storia: ampliando l’orizzonte semantico dell’affermazione diltheyana sulla poesia, si potrebbe dire che è necessario «capire la vita partendo dalla vita stessa». Un ancoraggio al reale, quello appena delineato, che permetteva così di richiamare e sottolineare anche la lettura criticamente aperta ma mai scettica e relativa della storia delle «forme del sapere intorno all’uomo».
All’elemento storiografico delle ricerche si unisce, già a partire dagli anni Duemila, quello biografico con l’intento di analizzare il nesso biografia/storiografia all’interno della speculazione filosofica di Dilthey per meglio comprendere la storia culturale tedesca a cavallo tra XVIII e XIX secolo, tra Illuminismo e Romanticismo: questi interessi porteranno alla pubblicazione della traduzione della biografia di Federico II di Prussia, e poi, oltre un lustro più tardi, allo studio del manoscritto diltheyano su Haym i cui temi saranno ripresi nella monografia Biografia, politica e Kulturgeschichte in Rudolf Haym (2009).
Nel corso degli anni, la riflessione critica intorno al mondo delle Geisteswissenschaften diviene il nucleo tematico della Kulturgeschichte, che muove dall’analisi della fondazione e dello sviluppo delle diverse attività dello spirito:
un itinerario speculativo che, a partire dall’opera di Hermann Usener e fino alle considerazioni di Aby Warburg e di Ernst Cassirer, non senza talune “curiose deviazioni” (per esempio verso Tito Vignoli), ha posto l’attenzione su una più ampia morfologia della cultura e, per certi aspetti, persino della conoscenza scientifica, rifiutando di porre in esclusiva o primaria evidenza qualunque forma di sapere scientifico-naturale e quantificante.
Così l’interesse per la filologia classica, teorizzato da Usener, diviene un punto di partenza per meglio comprendere l’agire umano in una dimensione storica: in una prospettiva di profonda interrelazione tra i vari campi del sapere Usener, così come Warburg e Cassirer, riteneva fondamentale, attraverso l’analisi dei documenti raccolti, evidenziare tratti comuni di popoli e culture lontane e diverse tra loro. Sulla scia di Usener, Cassirer interpreta il mito come forma simbolica in stretta relazione con le altre, in un’ottica di comprensione del mondo in cui ogni ambito assume uguale dignità, realizzando così il passaggio dalla critica della conoscenza alla critica della cultura, dalla critica della ragione a quella civiltà.
Si trattava dunque di ampliare la gnoseologia, di kantiana memoria, alle altre forme di cultura. Cassirer riscontra una radice comune delle varie forme simboliche all’interno di una storia della cultura unitaria, mostrando il legame tra scienza e mito (quest’ultimo inteso come il primo tentativo di comprensione del mondo nella storia dell’umanità) e tra tutte le forme simboliche. Linguaggio, mito, arte sono manifestazioni diverse di un unico processo di attività formatrice dello spirito. Sia Cassirer che Warburg si muovono, come notato da Magnano San Lio, sulla scia di Usener seguendo un metodo che procede per comparazione tra le diverse forme, anche tra forme culturali apparentemente lontane tra loro quanto alla loro manifestazione storica. Nello specifico Warburg rintraccia nello studio delle culture primitive tratti presenti nella civiltà odierna, convinto dell’esistenza di connessioni tra forme di rappresentazione come il mito e quelle moderne come la scienza, secondo l’idea di memoria che immagazzina immagini e suoni, a partire dalla quale si sviluppa il pensiero simbolico che contraddistingue la vita dell’uomo.
Il contatto tra Cassirer e Warburg, come Magnano San Lio ricorda in più occasioni, riprendendone il carteggio, va oltre l’influenza che lo storico dell’arte ha avuto per gli scritti storiografici e per la costruzione della Filosofia delle forme simboliche, riguarda in primo luogo il metodo di lettura ed interpretazione della storia dello spirito e delle scienze della cultura, in cui i vari ambiti risultano interconnessi in un’ottica unitaria dell’uomo inteso come totalità. Forme, simboli, epoche pur con dei momenti di innovazione non sono altro che strumenti di comprensione del mondo che si dispongono secondo una linea di continuità. Magnano San Lio sottolinea come le diverse manifestazioni storiche dello spirito siano uniche ma allo stesso tempo legate alle altre e in questa visione non manca di evidenziare le molte affinità che legano le ricerche warburghiane a quelle cassireriane all’interno della cornice più generale della Kulturgeschichte.
La riflessione sulla cultura tedesca e, in particolare, su quella diltheyana, dipanata in un “rapporto” scientifico quasi trentennale, ha consentito a Magnano San Lio di essere considerato uno degli «studiosi più noti di Dilthey», in Italia e all’estero. Questo fa emergere il senso profondo della sua ultima fatica, dedicata ai rapporti tra vita e storia nel pensiero di Dilthey, nella quale Magnano San Lio mette in luce la complessa eredità kantiana presente nella riflessione filosofica diltheyana, ma anche le grandi novità e, tra queste ultime, la fondazione delle scienze dello spirito. In questa rinnovata prospettiva, scienze dello spirito e scienze della natura cooperano ad una comprensione e ad una spiegazione della vita che non risulta mai completa, mai definitiva proprio perché entrambe vivono nella vita e non possono totalmente astrarsi da essa come fa un osservatore che guardi un quadro: non è un caso che proprio Dilthey per descrivere il complesso rapporto tra noi e la realtà utilizzi la diade io/mondo e non quella di soggetto/oggetto. Questa ermeneutica diltheyana sembrerebbe portare così ad un esito funesto e inevitabile in cui l’essere umano è vittima del mondo. In realtà per Dilthey – e in queste pagine Giancarlo sembra condividere il pensiero del filosofo – «l’enigma della vita va affrontato e, per quanto possibile, compreso, e non già semplicemente subito e vissuto in modo, per così dire, rassegnato ed inevitabilmente fatalistico». Probabilmente una delle possibili strade per comprendere meglio questo enigma è legata proprio alla considerazione dell’uomo intero nel suo farsi storia, osservato da una prospettiva privilegiata come quella offerta dai saperi umanistici. Proprio nel primo editoriale di questa prestigiosa rivista, di cui è stato direttore dal 2015 al 2024, e che in questo numero ospita diversi contributi di amici e colleghi a cui va la nostra gratitudine, Magnano San Lio ribadiva la sua posizione diltheyana avvertendo il lettore che era necessario non «perder di vista l’unità critica e problematica del sapere, umanistico e non, come fondamentale e costitutiva espressione dell’essere umano».
In oltre un trentennio di attività di ricerca, Magnano San Lio ha tessuto il fitto ordito della Kulturgeschichte otto-novecentesca tedesca ed europea con risultati originalissimi riconosciuti da tutta la comunità degli storici della filosofia. Ha saputo, inoltre, trasformare con garbo e gentilezza queste sue peregrinazioni filosofiche in prassi, guardando sempre all’uomo nella sua interezza e nel suo essere individuo nella storia. Questa spiccata ‘umanità’, riconosciutagli dai colleghi e dalle persone più care, è probabilmente, tra i molti pregi del suo carattere, quello che ci mancherà di più.
G. Magnano San Lio, Vita e storia. Materiali per Dilthey, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2024, p. 15.
W. Dilthey, L’essenza della filosofia, Brescia, La Scuola, 1971, p. 120.
G. Magnano San Lio, Introduzione, in W. Dilthey, La dottrina delle visioni del mondo. Trattati per la filosofia della filosofia, Napoli, Guida, 1998, p. 10.
G. Magnano San Lio, Mito e Kulturgeschichte tra Hermann Usener ed Ernst Cassirer, in F. Lomonaco (ed.), Simbolo e cultura. Ottant’anni dopo la Filosofia delle forme simboliche. Atti del Convegno internazionale su “Simbolo e cultura. Ottant’anni dopo la Filosofia delle forme simboliche”, Napoli, 15-16 novembre 2010, Milano, Franco Angeli, 2012, p. 70.
G. Cacciatore, Prefazione, in G. Magnano San Lio, Per una filosofia dello storicismo. Studi su Dilthey, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2017, p. 7.
G. Magnano San Lio, Vita e storia. Materiali per Dilthey, cit., p. 26.
G. Magnano San Lio, Il «Siculorum Gymnasium» e il dibattito attuale sul sapere umanistico, «Siculorum Gymnasium. A Journal for the Humanities», LXVIII, I (2015), p. 14.
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