La pratica della riflessione filosofica nella sua declinazione storiografica
di Rosella Faraone
1. Filosofia e storia della filosofia: una divaricazione
L’ordinamento accademico italiano ha da tempo suddiviso l’area della ricerca filosofica nei diversi “settori scientifico-disciplinari” che tutti conosciamo e che, ancorché riorganizzati recentemente secondo una nuova suddivisione, istituiscono nell’ambito della stessa disciplina distinzioni relative ai temi specifici e ai metodi di ricerca che caratterizzano ciascun settore. Tra queste distinzioni una sembra assumere una valenza più dirimente delle altre, vale a dire quella tra le discipline che confluiscono nel Gruppo Scientifico Disciplinare denominato Storia della filosofia e quelle invece inserite negli altri Gruppi, denominati tutti come “Filosofia” e poi declinati secondo differenti orientamenti teorico-problematici. Sebbene risolta senza ambiguità al livello della sistemazione accademica, che inserisce le discipline storico-filosofiche a pieno titolo tra quelle del Gruppo filosofico, la distinzione tra le prime e quelle definite filosofiche tout-court e la loro reciproca relazione è stata oggetto di accesi dibattiti teorici, che si sono articolati secondo peculiari configurazioni a seconda del contesto culturale entro il quale sono sorti.
Essenzialmente le questioni concernenti questo tema possono essere ricondotte a due fondamentali ambiti problematici: il primo discute se la storia della filosofia non debba essere annoverata tra le discipline storiche propriamente intese, e dunque se possa esserle riconosciuta una intrinseca caratura “filosofica”; il secondo si interroga invece su quale possa essere il rapporto tra lo studio della filosofia nella prospettiva storica e l’esercizio effettivo della disciplina, implicitamente ammettendo dunque, in via preliminare e senza pertanto sottoporre questo dato alla discussione, che esista una netta distinzione tra la pratica filosofica e la sua considerazione in chiave storiografica. La radicalità nella posizione di quest’ultima alternativa arriva in molti casi anche a ritenere del tutto superflua per l’esercizio effettivo del filosofare non soltanto l’attività storiografica, ma finanche il richiamo agli autori che costituiscono il canone della disciplina.
I due ambiti problematici qui individuati sembrano in qualche modo divaricare il legame che tiene insieme storia e filosofia nella disciplina di cui si sta discutendo, la storia della filosofia appunto, con il risultato di assolutizzare ciascun termine a scapito dell’altro, che viene dunque svuotato di rilevanza e di fatto eliminato dalla corrispondente pratica di ricerca. Una storia che non si caratterizza in maniera peculiare in quanto riferita alla filosofia ne perde interamente la specificità contenutistica e l’intrinseca problematicità, mentre una filosofia che non annette rilevanza teorica alla sua declinazione storiografica assolutizza la propria caratura teoretica, che intende sganciare dal riferimento alla tradizione disciplinare nel solco della quale tuttavia costitutivamente si colloca, ancorché senza riconoscerne il radicamento.
Le questioni legate all’una e all’altra delle due impostazioni problematiche risultano concretamente riferibili ad altrettanti ambiti culturali entro i quali hanno goduto di un’attenzione privilegiata, anche se ovviamente non esclusiva. Il tema del rapporto tra la filosofia e la storia, e segnatamente la “sua” storia, è stato al centro di un ampio e articolato dibattito che ha caratterizzato la filosofia italiana del Novecento, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta e durante i decenni successivi.[1] Attorno a questo problema si è coagulato infatti l’interesse dei protagonisti della nostra cultura filosofica, e non soltanto perché la questione della storia della filosofia veniva percepita come uno dei temi più rilevanti per il superamento dell’orizzonte filosofico del neoidealismo. In questo contesto è emersa come particolarmente influente e significativa la posizione di Eugenio Garin, che ha rivendicato la natura “storica” del sapere filosofico, e di conseguenza la necessità di comprenderlo e di studiarlo a partire dalle concrete dinamiche storiche – dunque sociali, politiche, economiche – tra le quali si inserisce e dalle quali scaturisce.[2] L’affermazione della natura della filosofia quale «sapere storico» era dunque la premessa affinché gli studi di storiografia filosofica si congedassero definitivamente dal modello delle “storie filosofiche della filosofia” della tradizione idealistica per incontrare moduli metodologici orientati alla ricostruzione empirica del contesto, dei rapporti, dei legami e degli scontri, delle differenze e delle somiglianze tra le idee di uomini e di gruppi «che “filosofando” cercano di rendersi conto del corso del proprio lavoro e della sua funzione nel complesso di una civiltà».[3]
La posizione gariniana diede adito negli anni successivi ad un articolato dibattito circa lo statuto metodologico della storiografia filosofica, che testimonia come in questo campo di ricerca si sia costituita nel nostro paese un’ampia, radicata e consapevole tradizione di studi, che ha sempre sentito l’esigenza di mettere a fuoco le premesse teoriche e metodologiche dalle quali scaturiva il proprio concreto operare storiografico.[4] E in effetti la declinazione storiografica può essere intesa come una caratterizzazione peculiare della pratica filosofica italiana, e come tale viene spesso recepita all’estero, anche se non sempre in senso positivo, tanto che «il legame esclusivo di filosofia e storia» che caratterizzerebbe la nostra impostazione accademica e culturale è stato giudicato addirittura «nocivo […] in quanto privilegia la storiografia filosofica a scapito del pensiero teoretico, invece di metterla a disposizione di quest’ultimo».[5]
Questa sorta di divaricazione tra la storiografica filosofica e l’esercizio della pratica teoretica è al centro del secondo ambito problematico concernente il rapporto tra la filosofia e la storia della filosofia. La radicalizzazione della distinzione tra l’obiettivo della ricerca storiografica e quello della ricerca filosofica discende dall’accentuazione della pretesa “veritativa” e “argomentativa” della filosofia e assume molteplici configurazioni anche in relazione alle tradizioni filosofiche entro le quali si presenta. Un esempio paradigmatico di questo atteggiamento teorico può essere quello che proviene dalla tradizione anglosassone della filosofia analitica, nell’ambito della quale la ricerca filosofica mira a guadagnare una sorta di “verginità” rispetto alle ipoteche culturali e concettuali del passato per ristabilire la ricerca su basi verificate e veramente solide.[6] Dal punto di vista squisitamente teorico, si tratta di un modello che conserva una visione per così dire “forte” della filosofia, ancorché declinata secondo il modulo analitico, immune dal depotenziamento della sua ambizione veritativa conseguente sia all’affermazione della coscienza storica à la Dilthey che all’instaurarsi del punto di vista ermeneutico.[7]
2. La filosofia è una storia
Sebbene assunte quali modelli di riferimento, e come tali suscettibili di infinite gradazioni e sfumature, le due configurazioni della divaricazione tra filosofia e storia della filosofia non esauriscono lo spazio di pensabilità della relazione tra queste due forme di pratica filosofica. Esiste invece la possibilità di concepirle come intrinsecamente congiunte, come ha fatto François Wahl scrivendo che «la filosofia – bisogna davvero ricordarlo? – è una storia», e formulando, di fronte alla domanda su quale sia il ruolo della storiografia nell’elaborazione della teoria, una sua originale posizione: «La storia della filosofia resta necessariamente la sostanza della teoria, in quanto ne costituisce, nel senso più rigoroso del termine, la posta e lo spessore».[8] Così come le due precedenti soluzioni al problema del rapporto tra la filosofia e la sua storia, allo stesso modo anche questa soluzione discende da una precisa definizione della filosofia. Una definizione che è preliminare, implicita o esplicita che sia, a qualsiasi discorso che la filosofia intenda fare su sé stessa o sul metodo che le appartiene intrinsecamente. Nel caso della definizione di Wahl si tratta di una concezione dell’atto del filosofare che si radica nella struttura esistenziale della temporalità, quale singolarità che emerge nella triangolazione tra Realtà, soggetto ed evento, portando in sé stessa il riferimento alle tre “ec-stasi” temporali che la scoperta della natura ermeneutica dell’essere-nel-mondo rivela. In questa logica ogni filosofia, in quanto “singolarità” di un sistema, è innestata nel presente in cui si esprime, che è un momento del tempo che si rapporta al passato e tende al futuro: non può darsi se non in questa sua strutturale storicità.[9]
Per questa ragione la storia della filosofia è intrinsecamente costitutiva della filosofia stessa, perché quest’ultima sarebbe inintelligibile senza il riferimento al passato in relazione al quale assume di volta in volta la sua configurazione. Di fronte alla domanda su quale sia «il ruolo della “storiografia” nell’elaborazione della teoria», Wahl passa in rassegna le posizioni classiche in proposito, secondo le quali la storia della filosofia dovrebbe essere soltanto una parte dell’attività filosofica dedicata alla tecnica della lettura e contestualizzazione dei testi, oppure una ipoteca dalla quale liberarsi con opportune tecniche di purificazione o di decostruzione dalle aberrazioni del passato, oppure infine un deposito dal quale riprendere, nichilisticamente, i frammenti che di volta in volta risultano più convenienti.[10] Ma nessuna di queste opzioni rende conto del legame profondo che la filosofia in sé stessa intrattiene con un passato che ne costituisce lo “spessore” e la “posta” che è in gioco in ogni sua riproposizione. Osserva ancora Wahl:
Se togliamo il susseguirsi di sequenze incrociate che vanno da Platone a Heidegger, cosa resta di intelligibile nel campo dei filosofemi? Non si può, qui, prescindere dai nomi propri, dal momento che si tratta sempre di sistemi (o di frammenti sistematici) definiti nella propria costituzione come singolarità. Certo, dall’una all’altra vi è passaggio, scambio di problemi e di tentativi di risposta, perché la filosofia può ambire alla costituzione di un campo; ma sono proprio questi passaggi a organizzare la filosofia come storia – con tutti i relativi ritorni e opposizioni – e non come ordine sparso, privo di determinazioni cronologiche.[11]
La posizione di Wahl ci consente di affrontare il problema del rapporto tra filosofia e storia della filosofia sia in relazione alla prospettiva che tende a collocare la ricerca storico-filosofica nell’ambito genericamente storiografico, sia in relazione a quella che tende invece ad accentuare la caratterizzazione teoretica dell’attività filosofica e ad assolutizzarne la tensione veritativa a scapito del collocamento storico ed esistenziale. Ammettere la costitutiva storicità di ogni ricerca speculativa implica infatti che se ne debba riconoscere il radicamento in un orizzonte storico che può essere caratterizzato secondo una duplice prospettiva. In primo luogo, è innegabile che il soggetto che intraprende la via della ricerca filosofica sia un individuo collocato esistenzialmente e storicamente, e in quanto tale influenzato da un insieme di fattori biografici, culturali e storici nel senso più largo. Ma in secondo luogo è pur necessario riconoscere che ogni filosofia si afferma in quanto tale in quanto si riconnette alla tradizione disciplinare, nella continuità della quale si colloca. Ogni filosofia si caratterizza in quanto ripensamento e singolare risoluzione di uno dei problemi che questa tradizione ha fatto propri, secondo stili sempre diversi e tuttavia peculiari del suo domandare. Poiché affermazione singolare e determinata ogni filosofia inoltre, nega quelle che l’hanno preceduta in quanto tende a distinguersene, e tuttavia si riconnette ad esse poiché ne condivide e perpetua la peculiare forma della ricerca speculativa. Ogni filosofia porta pertanto in sé stessa la sua storicità, e dunque non è possibile praticarla senza inserirsi nella tradizione culturale che ha sempre cercato di restituire nella forma della riflessione razionale la complessità dell’esperienza del reale.
Se si prende seriamente in considerazione questa costitutiva storicità del filosofare[12], intesa nel duplice senso di collocazione nel proprio tempo e di radicamento nella tradizione, diventa allora veramente difficile poter concepire separate l’una dall’altra la pratica della filosofia nella forma teoretica e in quella storiografica. In particolare la storiografia filosofica, attraverso il suo caratteristico approccio ai testi e ai loro contesti, attraverso l’attenzione alla continuità e alla discontinuità di orientamenti teorici e approcci metodologici, attraverso la scelta e il periodizzamento con il quale introduce configurazioni determinate nella continuità della tradizione della disciplina, esercita a pieno titolo un lavoro che si caratterizza come eminentemente teorico e speculativo.
3. Il carattere speculativo della ricerca storico-filosofica
Il primo aspetto per il quale la ricerca storico-filosofica si caratterizza come disciplina autenticamente speculativa risiede nella necessità che ogni ricerca storiografica definisca l’oggetto del proprio interesse e ne definisca il campo di riferimento. Anche la storiografia filosofica, come la filosofia intesa in senso generale, deve dunque sottomettersi a quella necessità peculiare propria della disciplina, di definire preliminarmente sé stessa e il suo problema. Lo si è visto anche brevemente passando in rassegna le differenti affermazioni circa lo statuto della storia della filosofia e il suo rapporto con il filosofare: ogni posizione scaturisce da una preliminare definizione di cosa sia la filosofia. E la stessa cosa emerge con evidenza se, considerando i “modelli” di storiografia filosofica, ci si sofferma su ciò che costituisce la premessa delle scelte contenutistiche e metodologiche di ciascuno di essi. Anche se non è possibile discutere nel dettaglio queste posizioni, tuttavia basti pensare che in età contemporanea a modelli “forti” di storiografia filosofica basati su definizioni altrettanto cogenti della specificità del sapere filosofico, come ad esempio il modello speculativo idealistico[13] o quello kantiano e neokantiano della “storia della ragion pura”,[14] sono succeduti modelli più “deboli”, perché relativi a concezioni della filosofia che non le attribuiscono un carattere aprioristico o razionale, ma ne fanno emergere la storicità, come nel caso della visione diltheyana,[15] o addirittura tendono a stemperarne la pretesa specificità teoretica come nel modello, così fecondo di sviluppi, della storia delle idee.[16] A ogni filosofia, o meglio a ogni concezione della filosofia, corrisponde dunque una specifica forma di storia della filosofia, che per questa ragione è quindi originariamente impegnata in una scelta di campo di carattere squisitamente teorico. Ma è anche da sottolineare che storia delle idee, storia della cultura, storia dei concetti, storia intellettuale – vale a dire le varie declinazioni metodologiche della storiografia filosofica contemporanea – hanno ridefinito le categorie concettuali dei loro oggetti di indagine ma nello stesso tempo, in molti casi, hanno contribuito anche all’avvio di riflessioni teoriche innovative e rivoluzionarie rispetto a quelle tipiche della tradizione.[17]
Un altro aspetto che caratterizza in senso schiettamente speculativo la storia della filosofia risiede nella specificità della terminologia filosofica. Come ha mostrato in maniera pienamente convincente Adorno, la terminologia filosofica non è suscettibile di definizioni univoche o definitive[18]. Anzi, è caratteristica tipica dei termini propri della filosofia quella di assumere significati anche molto distanti tra loro a seconda dei diversi contesti teorici nei quali vengono usati. Basti pensare ad esempio al significato del termine idea in Platone, Kant o Hegel. Pur nella consapevolezza di questa difformità, la tradizione filosofica ha mantenuto l’uso dei suoi termini chiave, e questo non a causa di una presunta “sciatteria” dei filosofi che non saprebbero imporsi la disciplina di usare le stesse espressioni nello stesso significato. Si tratta invece della forma nella quale si è concretizzata una caratteristica specifica della tradizione della filosofia, nel corso della quale, scrive Adorno,
è innegabile individuare una sorta di connessione logica continua, di sviluppo razionale e fondato, in modo che nonostante tutto si può parlare di continuità – certo solo all’interno di certi limiti […]. Un problema viene trasmesso da una filosofia all’altra, e in questo passaggio la tradizione del problema è in larga misura conservata nella forma dei termini, mentre il cambiamento, ciò che accade di qualitativamente nuovo si esprime nel nuovo uso che viene fatto dei termini.[19]
La storia della filosofia delinea dunque una sorta di «connessione critica progrediente» nella quale la comprensione della reale sostanza dei problemi e delle soluzioni non può essere attinta senza la concreta percezione del richiamo che, proprio attraverso l’uso della terminologia, ogni pensatore fa a quanti lo hanno preceduto. Se quindi il riferimento allo spessore storico dei concetti espressi nei termini filosofici è condizione ineludibile per il loro uso consapevole da parte del pensatore teoretico, è impossibile per lo storico prescindere, nel corso del suo lavoro critico e ricostruttivo, da questa dimensione schiettamente speculativa dell’oggetto del suo studio. La storia della filosofia non può dunque non essere filosofica nella misura in cui non può appiattire su mere dinamiche fattuali, culturali, sociologiche o economiche la densità e lo spessore concettuale che caratterizza i suoi oggetti di studio. Lo storico della filosofia deve pertanto mettere in campo un esercizio autenticamente teorico, in quanto il suo compito di comprensione implica la capacità di penetrare nella profondità speculativa del suo oggetto per mostrarne, proprio alla luce di questo rapporto di radicamento/distanziazione rispetto alla tradizione, l’effettiva portata e l’autentico significato.
Molto vicina alla questione che concerne la penetrazione del significato dei concetti, che non può essere meramente teorica ma calata nella loro concreta determinazione storica, si colloca l’esigenza che scaturisce dalla contrapposizione tra due modelli opposti e parimenti unilaterali di storiografia filosofica, ai quali fa riferimento Richard Rorty in un saggio particolarmente interessante del 1984. In questo contributo, dal titolo La storiografia filosofica: quattro generi,[20] il filosofo contrappone quelli che definisce rispettivamente modello della «ricostruzione razionale» e modello della «ricostruzione storica». Il primo, praticato soprattutto nell’ambito della filosofia analitica, è il tentativo di restituire il senso delle argomentazioni razionali dei grandi filosofi del passato «nella speranza di poter considerare questi filosofi come contemporanei, come colleghi con i quali fosse realizzabile uno scambio di opinioni», esponendosi ovviamente ad accuse non infondate di anacronismo.[21] In netta contrapposizione a questa posizione si colloca quella sostenuta da Quentin Skinner, paradigmatica del modello della «ricostruzione storica», che invece richiama la storiografia alla necessità di restituire fedelmente il significato e l’intenzione delle tesi sostenute dai filosofi del passato.[22] Secondo Rorty nessuno dei due modelli può essere assolutizzato ad esclusione dell’altro poiché entrambi esprimono aspetti diversi e legittimi dell’interesse della filosofia a intessere una continua «conversazione» con il suo passato:
Se vogliamo, come dice Skinner, l’“autoconsapevolezza”, allora dobbiamo cercare di evitare il più possibile ogni anacronismo. Se vogliamo un’autogiustificazione attraverso la conversazione con il pensatore del passato su problemi attuali, allora possiamo indulgere ad ogni sorta di anacronismo, purché siamo consapevoli di quello che facciamo.[23]
Entrambe queste forme sono perciò per Rorty necessarie, la prima «per aiutare noi filosofi contemporanei a pensare fino in fondo i nostri problemi», la seconda «per ricordarci che questi problemi sono dei prodotti storici, dimostrandoci che erano sconosciuti ai nostri predecessori».[24] Una terza forma, che il filosofo definisce quella della Geistesgeschichte, risulta da una sorta di ibridazione delle prime due, nonostante abbia una finalità propria: essa costituisce ogni volta un canone di riferimento per la filosofia sulla base di una premessa di carattere razionale, e ne rappresenta con consapevolezza lo svolgimento, tenendo dunque presente la relatività storica della posizione dei problemi e delle soluzioni. Questo terzo modello «è autogiustificatorio come lo è la ricostruzione razionale», perché muove da una scelta circa quali siano i problemi essenziali della filosofia, e dunque da una decisione teoretica ben precisa che diventa il criterio di ricostruzione della tradizione, e tuttavia «è mosso da quella stessa speranza di maggiore autoconsapevolezza che induce ad impegnarsi nelle ricostruzioni storiche», al fine di mettere in luce la diversità dei contesti teorici che si sono succeduti nella storia.[25]
In tutti e tre questi “modelli”, che coprono l’area teorica dei diversi approcci alla storiografia filosofica che Rorty considera validi,[26] è pienamente efficace un lavoro teorico di elaborazione concettuale. Soprattutto il terzo caso, quello della Geistesgeschichte, sembra addirittura esemplificare in maniera perfettamente calzante quella esigenza di definizione preliminare della filosofia nella quale si era visto in precedenza consistere il primo aspetto per il quale anche l’attività storico-filosofica si caratterizza in senso eminentemente speculativo.
È possibile però andare ancora oltre in questa direzione, e scoprire come anche la pratica storiografica, così come la ricerca filosofica declinata in chiave teoretica, sia un modo per formulare e tentare di risolvere una precisa domanda speculativa. Nella tesi di Wahl citata più sopra, quella per la quale la filosofia «è una storia» perché muove da un presente del quale coglie e formula la problematicità, è implicita la consapevolezza che ogni ricerca filosofica nasce da una relazione profonda con la vita e con il proprio tempo. Ma la problematicità del presente, che la filosofia avverte e che cerca di risolvere alla luce della sua peculiare interpretazione dell’esperienza, può anche essere illuminata e chiarita attraverso un percorso teorico per così dire indiretto, che si rivolga al passato per raggiungere la necessaria “dilucidazione” delle categorie concettuali feconde per una rinnovata comprensione della vita. Si tratta della tesi della «contemporaneità» di ogni storiografia, che è tale non semplicemente perché nell’atto della comprensione e del giudizio rende presente in senso trascendentale l’oggetto cui si riferisce, ma soprattutto perché il problema da cui nasce e alla luce del quale si realizza l’atto storiografico lo congiunge intrinsecamente al presente.[27] La «scelta», dunque, di un determinato quesito storiografico, se è veramente tale e non mossa da un estrinseco interesse meramente dossografico o antiquario, è uno dei possibili modi di esercitare il filosofare attraverso una «via lunga» che possiamo riconoscere efficace per l’effettiva comprensione e risoluzione dello spessore problematico degli interrogativi che il presente ci pone. Lungi dunque dal caratterizzarsi come una forma di disimpegno teoretico, un’autentica storiografia filosofica è originariamente ingaggiata dalla formulazione di un quesito teorico che, attraverso il rispecchiamento critico nel passato, cerca di guadagnare uno sguardo consapevole circa il presente e aperto verso il futuro.
[1] Un momento cruciale di questo dibattito fu il convegno tenuto a Firenze nel 1956 sul tema La storiografia filosofica al quale parteciparono gli esponenti del gruppo del cosidetto neoilluminismo italiano. In quell’occasione furono messe in discussione le categorie storiografiche tipiche della tradizione idealistica, quelle dell’unità, del superamento e del precorrimento, nelle tre relazioni principali del convegno, tenute rispettivamente da Eugenio Garin, Mario Dal Pra e Enzo Paci. Queste relazioni, e una sintesi del dibattito che ne scaturì, sono ora disponibili nel volume M. Pasini, D. Rolando (a cura di), Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia (1953-1952), Milano, Mondadori, 1991, pp. 139-172.
[2] «Pensare significa pensare entro una cultura e una civiltà, con precisi legami, entro un complesso di “condizioni” precise». E. Garin, L’«unità» nella storiografia filosofica, in M. Pasini, D. Rolando (a cura di), Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia (1953-1952), cit., p. 151.
[3] Ibidem.
[4] Cfr. P. Rossi, La storia della filosofia in Italia: il vecchio e il nuovo [1988], in Id., Un altro presente. Saggi sulla storia della filosofia, Bologna, il Mulino, 1999, pp. 111-132. Per una discussione delle risultanze di quel dibattito, e la riproposizione attualizzata di quei problemi si rinvia a G. Bonacina, Filosofia e storia: una relazione ancora possibile?, «Giornale critico di storia delle idee», 2, 2020, pp. 13-30.
[5] Cfr. W. Büttemeyer, Rapporti tra la filosofia italiana e la filosofia tedesca, in La filosofia italiana in discussione, a cura di F. P. Firrao, Bruno Mondadori, Milano 2001, pp. 265-266.
[6] Nell’ampia letteratura sulla materia mi limito a citare T. Sorrell, G. A. J. Rogers (eds.), Analytic Philosophy and History of Philosophy, Oxford, Oxford University Press, 2005. Per un punto di vista riassuntivo circa le posizioni in campo in ambito analitico rispetto allo studio della storia della filosofia rinvio a A. Marmodoro, In dialogo con la storia della filosofia, in «Giornale critico di storia delle idee», 2, 2020, pp. 31-34.
[7] Per un approccio ermeneutico al tema della storia della filosofia si rinvia a G. Vattimo (a cura di), Filosofia ’87, , Roma-Bari, Laterza, 1988, ma per la pregnanza e l’essenzialità nella discussione del tema si veda soprattutto V. Verra, Ermeneutica e storia della filosofia, nel volume L. Malusa (a cura di), La trasmissione della filosofia nella forma storica, Atti del XXXIII Congresso Nazionale della Società Filosofica Italiana, Genova 30 aprile-3 maggio 1998, Milano, FrancoAngeli, 1999, vol. I, pp. 71-86.
[8] Cfr. F. Wahl, Ma cos’è mai la filosofia senza la sua storia?, in G. Vattimo (a cura di), Filosofia ’87, cit., pp. 131-132.
[9] Cfr. ivi, pp. 136-139: naturalmente Wahl si riferisce e tiene presenti sia le riflessioni heideggeriane sia quelle di Ricoeur a proposito del carattere narrativo della nostra esperienza della temporalità.
[10] Ivi, pp. 131-132.
[11] Ivi, p. 131.
[12] L’identificazione in chiave speculativa di filosofia e storia è, com’è noto, uno dei capisaldi teorici qualificanti lo storicismo di Benedetto Croce, e viene espressa in maniera cogente per la prima volta dal filosofo nella sua Logica del 1908. Cfr. B. Croce, Logica come scienza del concetto puro, a cura di C. Farnetti, con una nota al testo di G. Sasso, vol. I, Napoli, Bibliopolis, 1996, pp. 223-235.
[13] «La filosofia è sistema in svolgimento, e così pure la storia della filosofia. […] Affermo che la successione dei sistemi filosofici, che si manifesta nella storia, è identica alla successione che si ha nella deduzione logica delle determinazioni concettuali dell’idea» (G. W. F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, trad. di E. Codignola e G. Sanna, vol.1, Firenze, La Nuova Italia, 1998, pp. 39 e 41).
[14] Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, trad. di G. Gentile e G. Lombardo Radice riveduta da V. Mathieu, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 519 e ss., “Dottrina del metodo”, cap. IV, “La storia della ragion pura”.
[15] Cfr. W. Dilthey, L’essenza della filosofia, in W. Dilthey, Critica della ragione storica, Introduzione e traduzione a cura di Pietro Rossi, Torino, Einaudi, 1954, pp. 387-428.
[16] Cfr. A. O. Lovejoy, Lo studio della storia delle idee, Introduzione al volume Arthur O. Lovejoy, La grande catena dell’essere, trad. di L. Formigari, Milano, Feltrinelli, 1966, pp. 11-29.
[17] Il modello storiografico della storia delle idee, ad esempio, è stato particolarmente fecondo e anche in virtù del suo impulso sono scaturite le analisi innovative di Foucault (Storia della follia nell’età classica, a cura di M. Calzigna, Milano, Rizzoli, 2025) o quelle di Thomas Kuhn (La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 2009).
[18] T. W. Adorno, Terminologia filosofica, Prefazione di S. Petrucciani, Torino, Einaudi, 2007, pp. 11 e ss.
[19] Ivi, p. 12.
[20] Il saggio in questione, dal titolo The historiography of philosophy: four genres apparve nel 1984 nella raccolta R. Rorty, J. B. Schneewind, Q. Skinner (eds.), Philosophy in History. Essays on historiography of philosophy, Cambridge, Cambridge University Press, 1984, pp. 49-76; è stato poi pubblicato in traduzione italiana con il titolo La storiografia filosofica: quattro generi, in G. Vattimo (a cura di), Filosofia ’87, cit., pp. 81-114 da dove saranno tratte le citazioni.
[21] Ivi, p. 81.
[22] «Di nessun agente si può alla fine affermare che ha inteso o ha fatto qualcosa che egli non potrebbe essere indotto ad accettare come una corretta descrizione di quello che ha inteso dire o ha fatto»: questo passaggio, citato da Rorty alle pp. 82-83 del suo contributo, si trova nell’articolo di Skinner del 1969 dal titolo Meaning and understanding in the History of Ideas, «History and Theory», 8 (1), 1969, pp. 3-53, che si può leggere ora in traduzione italiana nel volume di Q. Skinner, Dell’interpretazione, Bologna, il Mulino, 2001, pp. 11-58; la frase citata da Rorty si trova a p. 41.
[23] R. Rorty, La storiografia filosofica: quattro generi, cit., p. 89.
[24] Ivi, p. 105.
[25] Ivi, p. 97.
[26] Il quarto modello discusso da Rorty è quello definito «dossografico», banale ripetizione manualistica del canone tradizionale privo di qualsiasi ripensamento teorico, che in quanto tale appare al filosofo sostanzialmente inutile (Ivi, pp. 98 e ss.).
[27] Cfr. B. Croce, Teoria e storia della storiografia, a cura di E. Massimilla e T. Tagliaferri, con una nota al testo di F. Tessitore, Napoli, Bibliopolis, 2007, pp. 11-12.
FILOSOFIA , storia , STORIOGRAFIA , MODELLI , TEORESI
Filosofia
Scarica il PDF